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ARTIGIANI

21/12/2019

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Vivo in un paese di artigiani.
Sono nato, in una terra di artigiani.
E' domenica pomeriggio e sto passeggiando lungo le vie di Padova, tra poche ore è Natale.

Guardo le luminarie, e penso che ci sono mestieri che dispongono di una vetrina. In tutte la parti del mondo. Si tratta perlopiù di falegnami, maestri del vetro, calzolai...
Altri non si mettono in mostra. O, per meglio dire, le loro botteghe consistono nelle realizzazioni medesime. Le pareti degli imbianchini, le carrozzerie dei meccanici e restauratori, le tende dei tappezzieri...
Talvolta capolavori a chilometro zero. Altre, opere più ordinarie. In ogni caso vi è stata riversata attenzione, perizia; non di rado fatica e sudore.

Si, è vero: da queste parti, in quelle che furono paludi dell'entroterra veneziano, l'arte di arrangiarsi ha costituito da sempre una virtù. Il valore aggiunto che ha consentito a molti, con un pizzico di iniziativa specialmente negli anni dell'onda economica portante, di costruirsi delle piccole fortune.
Come minimo, un benessere.
O un ben-avere, più probabilmente.

Casa/capannone. Ricordo come questa architettura diffusa nella campagna padovana sconvolgesse un mio amico bolognese, venuto a trovarmi poco tempo fa.

Mi trovo adesso in via Altinate. Esco da una visita alla mostra di un amico che realizza quadri lignei di una impressionante bellezza e originalità, componendo con talento e fantasia pezzi di imbarcazioni sfasciate raccolte lungo il Delta del Po.
Attraverso la strada, entro nella libreria dirimpetto.

Caspita, mi dico, anche qui trovo esposte opere di artigiani.
Dentro questa bottega, il materiale è la parola.
Lo strumento, la lingua italiana.
Il banco di lavoro le idee, i pensieri.

Mi raffiguro le finestre che illuminano i loro laboratori: vedo entrare - sempre mutevole e cangiante - la luce delle emozioni. Ora intensa, squillante e forte. Altre volte sbrillucicante, incerta o francamente spenta.

Ci trascorrerei intere giornate, qui dentro.
Può bastare una vita sola, a leggere tutti i libri che uno vorrebbe?

Due tra tutti, mi colpiscono e mi soffermo a sfogliare. “Sul lettino di Freud” di Irvin Yalom, ultimo romanzo edito di uno dei miei scrittori preferiti. Già autore de “Le lacrime di Nietzsche”; “Il problema Spinoza”, “La cura Schopenhauer”.
L'altro, un testo “per ragazzi curiosi”, come recita il sottotitolo. Curato da Umberto Galimberti.
Il titolo è “Perché? 100 storie di filosofi”. Un libro illustrato, tanto semplice quanto chiaro e accattivante. Strutturato seguendo l'efficace e collaudato stile delle domande-risposte, racchiude in sintesi il profilo biografico del pensatore e le idee-chiave della sua rappresentazione del mondo. Riflessioni sul senso dell'esistenza, sulla politica, sulle paure e l'esercizio critico dei pensieri.
Ciò di cui si occupa la filosofia, in sostanza.

Formare artigiani del pensiero. Capaci di tenere assieme razionalità ed emozioni, senza che l'una uccida le altre, e viceversa. Ho sempre pensato dovrebbe consistere in questo, il compito della scuola. Di questi tempi, un ruolo fondamentale. A smascherare l'inganno del fomentare torbido il vento oscuro e irrazionale delle paure, al fine di trar vantaggio dalla tempesta delle difese semplicistiche, egoiste e irrazionali. Uno stratagemma della retorica, peraltro. Vecchio quanto il mondo.

Mi piacciono queste piazze di ogni città, stracolme di migliaia di persone, dove esattamente di questo “artigianato”, si parla, si evoca, si fa memoria, si pubblicizza e si rappresenta.
Belle piazze di gente, che torna - finalmente - a liberare la Parola dalla compulsione, il Desiderio dall'angoscia mortifera, la Legge dall'alienazione, per dirla con gli arnesi della psicanalisi.

Belle, perché?
Apri lo sguardo - e l'ascolto - a questo lavoro di un poeta, e pure cantautore:

“Perché le idee sono come farfalle
Che non puoi togliergli le ali
Perché le idee sono come le stelle
Che non le spengono i temporali
Perché le idee sono voci di madre
Che credevamo di avere perso
E sono come il sorriso di Dio
In questo sputo di universo”


       - chiamami ancora amore -

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E NON CI LASCEREMO MAI

28/10/2019

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Chi non conosce la storia?
Mowgli è un trovatello. Viene adottato da un branco di lupi. Lo affidano a Bagheera, la pantera, con il compito di riportarlo al “villaggio degli uomini”.

E' la funzione genitoriale. Bagheera assume la parte normativa, quella della Legge.
Baloo, l'orso burlone, quella ludica/affettiva.

Mowgli viene affascinato dalla gioiosa “pazzia” trasgressiva di Baloo.
Si crea un legame di attaccamento profondo.
Arriva a giurargli che nulla e nessuno potrà separarli, “mai, mai e poi mai”.
Caro papà orso...

Facciamola breve, nel riassunto: arriviamo dritti al momento in cui Mowgli, accompagnato al limitare del villaggio dopo mille peripezie, incrocia lo splendido sguardo di una fanciulla, rimanendone irrimediabilmente conquiso.

L'impossibile diventa pensabile.
L'impensabile, realtà.

E' un duro colpo, per papà e mamma.
Per chiunque, nella vita, si trovi a vario titolo ad aver svolto una funzione genitoriale.
E' il momento della rinuncia all'idea della propria insostituibilità.
Il tempo della accettazione del distacco, in qualche modo della perdita.
Come avviene - inevitabilmente - quando giunge l'età dell'adolescenza.

E' qui, che il gioco si fa duro.
Quando la cosa giusta da fare è “lasciar andare”.

      - amore che vieni, amore che vai -

https://youtu.be/HPOrNoZsKpw


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JOKER

21/10/2019

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“Joker è un film che solo chi ha sofferto può capire veramente”.
Così Josh Brolin, attore statunitense la cui travagliata biografia familiare e affettiva ne testimonia la veridicità.

Ed è davvero così.
Al di là della distruttività disperata e senza scampo nella trama, ciò che emerge in questa pellicola è la è la descrizione di ciò che le ferite di attaccamento possono produrre nell'esistenza di un individuo.
Quando addirittura di veri abusi infantili si tratta, l'esito del disagio psichico è pressoché scontato.

Lo sfogo in una violenza cieca come tentativo “riparatore” può riguardare un'intera parte della società, qualora le frustrazioni di una moltitudine trovino un catalizzatore che ne attivi i processi di identificazione. Così la maschera da clown, così per certi versi i gilet gialli, così ogni forma di rivoluzione che a partire da reali ragioni di ingiustizia si trasformi - senza capacità di autoregolazione - in tirannide cieca e foriera di morte.

Il paradosso, anche qui come nella vita reale, sta nel rovesciamento di prospettiva che la conoscenza della reale storia di vita delle persone può fornire.
La vittima diviene colpevole; Il colpevole vittima, senza soluzione di continuità.
L'assassino di oggi è stato il bimbo abusato di ieri.
L'anafettivo contemporaneo, il figlio cui nessuno ha badato per ciò che era in se stesso, piuttosto che come prolungamento o parentesi dell'ego genitoriale.

Di drammatica verità, tornando alla psicopatologia individuale, una delle constatazioni che il protagonista scrive nel proprio diario:
“La cosa divertente delle malattie mentali è che la gente pretende che ti comporti come se non ce l’avessi”.

         - ti regalerò una rosa -


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PICCOLE DONNE CRESCEREBBERO

31/8/2019

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Dove c'eravamo lasciati?

Ah, si: da quella figlia scappata di casa.
Quell'adolescente ribelle, con la quale il padre tenta in ogni modo un dialogo, che risulta purtroppo impossibile. Una storia tormentata, davvero.

Il genitore cerca di capire dove ha sbagliato e cosa può fare per cambiare la situazione, la ragazza risponde con siluri tipo: “Sei tu che mi hai messa al mondo, non io; sei tu che hai creato questa situazione, non io; sei tu che vi devi porre rimedio, non io”.
Così agisce la critica sterile dell’adolescente rivoltoso.
Il mondo degli adulti, agli occhi massimalisti della figlia, è disonesto. Falso, impuro e merita solo di essere insultato. Per definizione. Aprioristicamente.

Un'adolescente ribelle, balbuziente, prima aderente a una banda di terroristi e poi a una setta religiosa che obbliga a portare una mascherina sul viso per non uccidere i microrganismi che popolano l’aria.
L'altro, chi la pensa diversamente da sé, è visto irrimediabilmente fuori gioco, incapace di comprendere e immeritevole di confronto.

E' la storia di “Pastorale americana”, il celebre libro di Philip Roth, dal quale anche un film.
Nulla di nuovo, nella sostanza. Una trama che si ritrova sovente nelle famiglie, dove i tentativi di dialogo con un ragazzo ostaggio della fase puberale dell'intolleranza spesso naufragano addosso agli scogli dell'intransigenza, del rifiuto pregiudiziale. Del “Voi non mi capite”.
O, parimenti, del “O si fa come dico io, o non se ne fa nulla” della contraerea genitoriale.

Stili di dialogo fallimentare.
Relazioni bacate dall'immaturità, dell'egocentrismo ancora irrisolto.

E poi basta, per oggi.
Altrimenti mi dite che parlo sempre di politica.

        - non ho l'età, per amarti -


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ILLIBATA OFFRESI

25/8/2019

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“E' più facile distruggere, o costruire?”
“Promettere, o mantenere?”

Sono domande difficili, lo so.

E senti questa:
“Stare all'opposizione, o governare?”

Dai, l'hai capito: si tratta di domande retoriche.
Cioè una strategia dialettica che consiste nel porre un interrogativo che non rappresenta una vera richiesta di informazione, ma implica piuttosto una risposta predeterminata.

Detto questo, prova a dimostrarmi che oggi è più facile amministrare l'Italia, assumendoti l'onere di un'economia a rotoli e un debito pubblico devastante, che stare all'opposizione, a tirare siluri contro, “a gratis”.

C'è una bellissima inquietante canzone, costruita nella musica da Lucio Dalla, ma portata inizialmente al successo da un ragazzo diciottenne, Rosalino Cellamare in arte Ron.
Parla di un tema drammatico: lo stupro di una minorenne. Gli autori (Paola Pallottino ha scritto il testo) hanno più volte ribadito che prendeva le basi da una storia vera.

Correva l'anno 1971.
L’Italia politica si dibatteva tra l’abrogazione dell’articolo 553 del codice penale, che vietava la produzione e il commercio degli anticoncezionali, e i prodromi di quelli che furono gli “anni di piombo” del terrorismo rosso e nero.
Nel settembre dell'anno precedente, una bimba di dieci anni, Claudia Bellante di Cavalese, fu rapita mentre giocava nel parco del paese. Fu ritrovata una decina di giorni dopo, viva, in un’abitazione di Santo Stefano di Cadore. Era stata rapita da uno squilibrato senza figli che voleva avere la compagnia di una bambina.
Un pedofilo, diremmo oggi. Il rapitore si chiamava Demetrio Bocchi.
Leggendo le interviste rilasciate dagli autori, sembrano negare l'ispirazione sia scaturita da questo fatto di cronaca, ma le analogie rimangono.

Analogie.
Hai mica sentito di quel partito che ha vinto le elezioni solo un anno fa cavalcando - e fomentando - la protesta popolare sull'onda di slogan tipo:
“Dimissioni, tutti a casa!”
“Sono tutti ladri, è il partito del malaffare!”
“Subito al voto!”
“Apriremo il parlamento come una scatoletta di tonno!”
“Abolire i senatori a vita!”
(Dio mio, sono tra i pochi, là dentro, portatori di cultura, competenza scientifica, ad aver dato prestigio all'Italia grazie al loro lavoro e testimonianza di vita: persone come Enzo Piano, Carlo Rubbia, Elena Cattaneo, Liliana Segre...).

“Hanno le mani sporche di sangue, gli altri!”

Su tutte, poi, la chiosa farisaica (la più notevole, a mio parere): “Noi non siamo come loro 111!”.

Ecco, questo partito-verginella è andato a convivere con la bestia.
No, non prendertela: d'altronde delle affinità c'erano, eccome.

Ma: “Chi è mai questa Bestia?”, ti starai chiedendo.
Lasciamolo dire a Alessandro Orlowski, classe 1967, nato a Parma. Spin doctor digitale, regista di spot e videoclip negli anni ’90, uno dei primi e più influenti hacker italiani. In un'intervista alla rivista musicale “Rolling Stone” (luglio 2018), lo spiega magistralmente:

Quando nasce la Bestia?
“Dalle mie informazioni la Bestia è stata ideata a fine 2014, e finalizzata nel 2016. All’inizio si trattava di un semplice tool di monitoraggio e sentiment. Poi si è raffinato, con l’analisi dei post di Facebook e Twitter e la sinergia con la mailing list.”

Come funziona l’analisi dei dati, su cui si basa la strategia?
“Diciamo che a livello di dati non buttano via nulla: tutto viene analizzato per stabilire la strategia futura, assieme alla società di sondaggi SWG e a Voices From the Blogs (azienda di Big Data Analysis, ndr).

La Bestia differenzia il suo operato a seconda dei social, per rendere immutata l’efficacia in base allo strumento?
“Per chi si occupa di marketing e propaganda online, è normale adattare la comunicazione ai differenti social. Twitter è l’ufficio stampa, e influenza maggiormente i giornalisti. Su Facebook ti puoi permettere un maggiore storytelling. È interessante vedere come, inserendo nelle mailing list i video di Facebook, la Lega crei una sinergia con la base poco attiva sui social: la raggiunge via mail, e aumenta così visualizzazioni e condivisioni.”

Vedi analogie tra la strategia social di Donald Trump e quella di Salvini?
“Salvini ha sempre guardato con attenzione a Trump. Entrambi fanno la cosa più semplice: trovare un nemico comune. E gli sta funzionando molto bene. Nel nuovo governo si sono suddivisi le responsabilità: al M5S è toccato il lavoro, con la forte macchina propagandistica gestita dalla Casaleggio Associati, alla Lega la sicurezza e l’orgoglio nazionale, gestiti da Morisi e amici.”

Sta pagando, non c'è che dire.
“La totale disinformazione e frotte di like su post propagandistici e falsi - per esempio l’annuncio della consegna di 12 motovedette alla Guardia costiera libica (a fine giugno, ndr) - portano a quello che si definisce vanity KPI: l’elettore rimane soddisfatto nel condividere post che hanno migliaia di like, e quindi affermano le loro convinzioni. Consiglio la lettura di The Thrill of Political Hating di Arthur Brooks.”

Come è stata finanziata l'attività delle reti social della Lega?
“La Lega voleva creare una fondazione solo per ricevere i soldi delle donazioni, al fine di poter tenere in piedi le reti social senza passare per i conti in rosso del partito. Il partito è gravato da debiti e scandali finanziari (a luglio il tribunale di Genova ha confermato la richiesta di confisca di 49 milioni di euro dalle casse del partito, ndr). Le leggi italiane lasciano ampio margine: permettono di ricevere micro-donazioni, senza doverle rendere pubbliche. È una forma completamente legale. In ogni caso, potresti chiederlo direttamente a Luca Morisi.”
(Morisi non ha risposto ai tentativi di contatto da parte di Rolling Stone, ndr)

Hanno ricevuto finanziamenti dall’estero?
“Recentemente l’Espresso ha raccontato che alcune donazioni al partito provengono da associazioni come Italia-Russia e Lombardia- Russia, vicine alla Lega. D’altra parte, sono stati i russi a inventare il concetto di hybrid war. Il generale Gerasimov ha teorizzato che le guerre moderne non si devono combattere con le armi, ma con la propaganda e l’hacking.”

Un sistema come La Bestia alimenta la creazione di notizie false?
“Non direi che ci sia un rapporto diretto tra le due cose, ma sicuramente c’è un rapporto tra La Bestia e il bias dei post che pubblicano. Come ha spiegato lo psicologo e premio Nobel Daniel Kahneman, di fronte a una notizia online la nostra mente si avvale di metodi di giudizio molto rapidi che, grazie alla soddisfazione che dà trovare conferma nei nostri pregiudizi, spesso porta a risposte sbagliate e illogiche, ossia biased.”

Quanto di ciò che hai detto fin qui vale anche per il Movimento 5 Stelle?
“Non c’è dubbio che dietro al M5S ci sia una buona azienda di marketing politico. La loro propaganda è più decentralizzata rispetto a quella della Lega, tutta controllata da Morisi. Creano piccole reti, appoggiandosi agli attivisti “grillini” e risparmiando così denaro. Non pagano per rendere virali i post di Grillo o di Di Battista. Anche se oggi, con il M5S al governo, la strategia è in parte cambiata.”

Quanto influisce l’attività di trolling sul dibattito politico?
“Dipende dal contesto politico e dal Paese, in alcuni casi può essere molto violenta. Per creare account su Twitter esiste un software acquistabile online, che ti permette di generarne mille in tre ore, ognuno con foto e nome distinto. Parliamo di account verificati con un numero di cellulare: c’è un servizio russo che, per 10 centesimi, te ne fornisce uno appositamente. Con 300 o 400 euro puoi crearti in un pomeriggio un migliaio di account Twitter verificati. A quel punto puoi avviare un tweet bombing, cambiando la percezione di una notizia. È semplice e costa poco.”

Analogie, e differenze.
Ora, la verginella si ri-propone al governo, forse cambiando partner.

Si vedrà, la differenza?
Voglio dire, per noi diretti interessati cioè i cittadini – e contribuenti – italiani?

Non occorre un premio Nobel per confermare quanto già Aristotele nel 350 avanti Cristo e poi gli psicologi della motivazione come Abraham Maslow e David McClelland hanno ribadito: l'essere umano (e più in generale tutti i viventi) tende a evitare il dolore, e ricercare il piacere.
Pensa te che scoperta, dirai...
Evidenze confermate anche dai recenti studi in ambito neurofisiologico sul nucleo accumbens, quella struttura profonda del nostro cervello deputata ai processi di ricompensa.

Da qui in concetto di rinforzo.
Hai presente la tecnica delle sardine? Quella delle foche al circo?
Se gratifichi l'animale gettandogli in bocca un pesce ogni volta in cui esegue correttamente l'esercizio che gli stai insegnando, puoi farlo arrivare a eseguire cose incredibili. Si chiama condizionamento operante. Tipo cantare come Pavarotti.

Per gli umani, stessa cosa.
Cosa voglio dire?
Che se tra noi cittadini/contribuenti/elettori non si svilupperà la coscienza che il “dolore” da fuggire non sono i “nemici immaginari” costruiti dalla propaganda-bestia (gli immigrati, i senatori a vita, gli insegnanti, e via che la lista sarebbe lunga) e il piacere da ricercare non è quello della furbizia a evadere le tasse, bensì un futuro vivibile per i nostri figli, non ne usciremo.

Il piacere di un futuro vivibile per i nostri figli. Il “popolo” di domani.
Un domani molto prossimo, del resto.

Cosa intendo, per futuro vivibile per i nostri figli?
Un ambiente dove la Casa Comune che è il nostro magnifico e martoriato pianeta Terra venga rispettato. Il che significa anche rinunciare a parti considerevoli di profitto economico a favore di stili di vita sostenibili, non-suicidari.

Un esempio? Prendiamone uno, quello più “di moda” adesso, così capiscono tutti.
La foresta pluviale amazzonica - il polmone che produce il 20% dell'ossigeno del nostro pianeta - sta bruciando causa gli incendi provocati da taglialegna e allevatori per liberare la terra per il bestiame. La pratica è in aumento, incoraggiata da Jair Bolsonaro, presidente pro-business populista brasiliano, che è sostenuto dal cosiddetto “caucus di manzo” del paese. Il Brasile è il più grande esportatore mondiale di carne bovina, fornendo quasi il 20% delle esportazioni globali totali.

Cosa intendo - ancora - per futuro vivibile per i nostri figli?
Una società dove l'intelligenza non venga confusa con il buonismo.
La sicurezza con la sociopatia.
La cooperazione con la criminalità.

Confusioni madornali, frutto di ignoranza.
Talvolta, peggio: confusioni bestiali, inoculate ad hoc.

C'è chi l'ha capito, e chi invece - purtroppo - mentre indichi la luna, s'incanta ancora a fissare il dito.
Mhh... che si sia innamorato dell'artiglio della bestia?

Per concludere: che non valga finalmente la pena guardarsi negli occhi e ri-scoprirsi persone - fuori dai Social - non “bestie” o avversari da squalificare e violentare verbalmente?

Che non valga la pena, al di là delle differenti opinioni partitiche (non di rado per qualcuno sono appartenenze affettive - tipo squadra del cuore - in termini calcistici) riconoscere che stiamo tutti nella stessa barca chiamata Italia, che di acqua ne sta prendendo pericolosamente davvero troppa?

Che non sia il caso di fare meno gli schizzinosi e remare, remare, remare seriamente per portare in un porto sicuro chiamato “futuro” (non è il Papeete) i nostri figli?

Non dico tutti, sarebbe illusorio.
Almeno gli uomini e donne di “buona volontà”, come si diceva una volta.

Ce la facessimo, potrebbe rivelarsi... Fico, no?

            - il gigante e la bambina -


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ZONA RIMOZIONE

18/8/2019

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"Pòro Piero. Pensa: non jèra mai morto, prima".
Con questo aforisma cercavo di spiegare alle mie figlie, quand'erano piccole, che c'è sempre una prima volta. Che talvolta coincide con l'ultima.
Era quando mi chiedevano il permesso per qualche impresa che - all'occhio del genitore - risultava pericolosa.
Oppure quando cercavo di spiegare che le cose possono cambiare.
Che non è il “di solito” a garantire l'eternità.

Vabbé. Adesso che la più grande s'è data all'alpinismo e - un giorno sì, due altri ancora - è a scalare qualche parete o ghiacciaio in alta montagna, con i suoi cinque compagni di avventura, meglio smetta di pensarci.

Freud l'ha chiamata “rimozione”. E' il primo, il più massiccio dei “meccanismi di difesa”.
Hai presente quando a casa hai attaccato contemporaneamente la lavastoviglie, il forno con la crostata a cuocere, la lavatrice, e ti metti pure a stirare? Che succede?
Succede che... bam! Va via la luce. Di colpo.
E' scattato il “salvavita” (che i bravi elettricisti chiamano “interruttore differenziale”).

Ecco, la rimozione funziona così. E' un lavoro dell'inconscio.
Consiste nell'inconsapevole cancellazione di un ricordo, di una esperienza che il soggetto ha vissuto come acutamente angosciante o traumatizzante.
Che vuol dire, angosciante o traumatizzante?
Quando accade all'improvviso.
Quando produce uno spavento acutissimo.
Quando fa sì che il soggetto diventi impotente ed incapace di controllare situazioni.
Quando il soggetto sente di subire qualcosa di così tremendo da produrre un danno, anche fisico, irreparabile.

Certo, avviene anche a livello sociale, come no?
Pensa alla questione ambientale.
Hai visto com'è ridotto il ghiacciaio della Marmolada?
Che agonia.
O il nevaio in alto a destra sulla parete del monte Civetta? Hai notato di quanto si è ridotto e tinto di marrone, negli ultimi anni?
Luglio 2019 è stato il mese più caldo da 140 anni a questa parte.

Se si sciolgono ghiacciai come quelli della Groenlandia, pensi che non accada nulla?
Hai idea di che effetto può avere sull’ecosistema degli oceani e dei mari artici una simile massa di acqua dolce? In due parole: potrebbe arrivare a modificare per sempre la Corrente del Golfo. Quel flusso di acqua calda che va dal golfo del Messico al mare di Barents. Che rappresenta il motivo per cui il nostro clima, tra Europa e Nord America, è temperato.
Secondo i climatologi, cambiamenti irreversibili nella corrente del golfo sono l’unica cosa da evitare a ogni costo, se vogliamo evitare scenari da “Day After Tomorrow”.

Pensa solo al fatto che - causa anche le temperature altissime - tra l’Alaska, Yakutia e le regioni siberiane di Irkutsk, Krasnoyarsk e Buriazia, gli acri di terreno incendiati in questi giorni hanno superato i 2 milioni.
Una superficie superiore a una regione come la Val d’Aosta. Questi incendi hanno emesso in atmosfera circa 100 megatonnellate di biossido di carbonio, una cifra pari alla quantità di anidride carbonica prodotta in un anno da una nazione come il Belgio. Ad andare a fuoco non sono i tronchi degli alberi, ma i terreni di torba, che altro non sono che depositi di carbonio. Questo rende ancora più difficile domare le fiamme, che potrebbero potenzialmente durare settimane, se non mesi, e aumentare esponenzialmente la CO2 rilasciata in atmosfera, aumentando la gravità della catastrofe ecologica, e il riscaldamento del clima. Che, a sua volta, produce tutte le anomalie climatiche che stiamo vivendo da queste parti, e un po’ di più.

Non è raro che durante i mesi estivi si sviluppino incendi in queste zone, ma erano almeno diecimila anni che le fiamme non divampavano a questa velocità.
Le temperature straordinariamente elevate registrate tra giugno e luglio hanno portato a roghi senza precedenti che stanno distruggendo la flora e la fauna e immettendo enormi quantità di gas serra che contribuiranno ad aumentare ulteriormente il riscaldamento globale.

Li vedi, i telegiornali? Quanto ne parlano, di queste cose?
Rimozione.
Rimozione.
Come se il problema fossero un centinaio di disperati in mezzo al mare. Da tenere lì, in ostaggio al nichilismo convulsivo di un politico oramai preda e vittima del suo delirio di impotenza.
Si, hai letto bene: delirio di impotenza. La versione inversa di quello freudiano.
Non c'è limite, al peggio.

Sapendo che i migranti economici e climatici – non c'è nulla da fare, è questione darwiniana – saranno sempre di più. Sempre, sempre di più. E un giorno saremo, anzi già lo siamo, noi.

Ieri sono sceso al mercatino dell'antiquariato, che periodicamente tengono in questo piccolo borgo montano dove mi trovo in questi giorni. Non ho saputo resistere a due acquisti: una piccola ocarina artigianale, a 5 fori con un suono strepitoso. Anche se finora l'unico effetto che ho sortito è stato quello di terrorizzare la mia gatta, che adesso mi guarda come vedesse un mastino napoletano.

Il secondo acquisto, un raro libro di proverbi veneziani. Spassosissimo.
Senti questo:
“I morti verze i oci a i vivi”
(I morti aprono gli occhi ai vivi)

E questo:
“La consolazion del pitoco, l'è vedar el miserabile”
(La consolazione del povero, è vedere il miserabile)

E infine questo:
“Co i ladri se fa la guera, segno che i xe d'acordo”
(Quando i ladri si fanno la guerra, segno che sono d'accordo)

Ah, non te l'ho detto, ma lo sai che ancor oggi mia figlia ogni tanto mi fa:
"Papi: ma allora 'sto famoso Piero... xèo morto si, o no?”.

Eh? Dici abbia voglia di prendermi in giro?

          - ogne scarrafone è bell' a mamma soja -


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PALLONI SGONFIATI

9/8/2019

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Dimmi che non hai mai giocato al “Gioco dell'Oca”.
Non ci credo.
La cosa più spassosa (prova a negarlo!) era quando, a un passo dal traguardo, uno (un altro, non tu, chiaramente) arrivava alla casella “torna da capo”. Che spasso!

E quando in classe ne combinavi una di grossa, che l'insegnante si incavolava di brutto, e la nota sul registro se la beccava quell'altro, del tutto ignaro e innocente?

Invece qua c'è poco - molto poco - da ridere.
Perché?
Perché “quell'altro” siamo noi.
Sei tu, sono io.

“Schadenfreude”. I tedeschi la chiamano così.
Schadenfreude.
E' un'emozione per la quale non abbiano un termine, nella nostra lingua.
“Schadenfreude”.
In italiano, è intraducibile.

Potremmo definirla come “la gioia per le disgrazie altrui”.
Grazia Aloi, psicanalista a Milano, in un suo articolo l'avvicina al sadismo. Una sorta di compiacimento malevolo verso il prossimo, derivante dalla “considerazione di scarsissimo valore di sé che si riflette nella consolazione - molto spesso errata - che anche il sé degli altri sia scarso e non degno”.

Lo ripeto: qua invece c'è poco - molto poco - da ridere.

Già, perché “quell'altro” siamo noi.
Sei tu, sono io.

Hai presente quando uno va al governo promettendo mari e monti, sputando addosso a chi ha governato prima, a chi si è assunto l'amaro compito del Cireneo dovendo adottare misure economiche impopolari per evitare che il paese sprofondasse nel baratro della recessione economica?
Hai presente quando forma una coalizione di comando con quell'altro che alimenta odio e pregiudizi a nastro - sulla base di problematiche reali, per carità! - ma che si affrontano e gestiscono con intelligenza, competenza e tanto equilibrio, piuttosto che slogan populisti che a breve termine si rivelano solo bolle di sapone?

Hai presente quando vai in pizzeria e tu quella sera hai deciso (più che altro devi) restare leggero perché non vuoi (non puoi) spendere più di tanto? La rata del mutuo in arrivo, le tasse scolastiche dei figli... Bene, quell'altro che ti ha invitato (pensavi offrisse lui, in verità, l'aveva lasciato intuire) ordina invece quattro birre – e delle più costose – poi la pizza “special” con doppia farcitura, bis di dessert per sé e tutta la sua famiglia, amaro e caffè corretto, gelati extra per i figli (tu eri rimasto alla margherita) e poi ti dice “si paga alla romana, no?”.

Adesso ti propongo un'operazione matematica. Quelle che in algebra si chiamano “equivalenze”.
Una serie di piccole equazioni, insomma. Roba da scuole medie, dài.

4 birre : 5,6 miliardi di euro per rifinanziare quota100 = x : aumento dell'IVA

Porzione doppia di tiramisù : 30-40 miliardi per finanziare la Flat Tax = y : sforamento di bilancio

“Tanto-paghi-tu” : gestione dei flussi migratori = z : decreto sicurezza bis

“Xe finìi i schéi” : 23 miliardi per evitare l’aumento dell’IVA al 25,6% = q : mancata crescita del PIL

Le soluzioni?
Tranqui.
Hai almeno due mesi per pensarci.

Pensiamoci tutti, e bene.

       - non voglio mica la luna -


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FORZE DI SICUREZZA

7/8/2019

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Cosa accomuna un simpaticissimo personaggio dei cartoni animati, un medico dell'Aereonautica ufficiale sanitario, e un capitano della Marina Militare Italiana?

In un post di qualche tempo fa, una mia collega specializzata e formatrice in Emotionally Focused Therapy proponeva queste quattro situazioni-tipo, inevitabili nella vita quotidiana, specie per chi ha a che fare con i bambini:



“Cos'ha bisogno di sentirsi dire, un bambino arrabbiato?”
  • Sono qui con te
  • Vedo che è dura, per te
  • Cosa sente il tuo corpo, in questo momento?
  • Sentire rabbia è ok, in questo momento
  • Io ti terrò al sicuro

“Cos'ha bisogno di sentirsi dire, un bambino triste?”
  • Sono qui con te
  • Va bene, adesso, sentirti triste
  • Hai voglia di parlare di ciò che ti rende triste?
  • Piangere fa bene. Hai voglia di una coccola?
  • Anch'io mi sento triste, talvolta

“Cos'ha bisogno di sentirsi dire, un bambino in ansia?”
  • Sono qui con te
  • E' normale, sentire questo
  • Cosa prova il tuo corpo, in questo momento?
  • Puoi dirmelo, se vuoi
  • Vuoi che elaboriamo un piano, assieme?

“Cos'ha bisogno di sentirsi dire, un bambino deluso?”
  • Sono qui con te
  • E' normale sentirsi così deluso, in questa situazione
  • E' dura, quando le cose non vanno come avremmo voluto
  • Ti ascolto
  • A volte le cose sembrano ingiuste

Bello, no? Chi non si sentirebbe in un “porto sicuro”, quando qualcuno ci accoglie, ci ascolta, ci ascolta e ci protegge così'
E - ci hai fatto caso? - in ciascuna di queste situazioni trovi un denominatore comune: “Sono qui con te”.

Anche nella terapia di coppia, l'indice del benessere/infelicità verte tutto attorno a queste due parole: “Ci sei/non ci sei mai”. Da adulti, come nell'infanzia.
Siamo programmati così: all'attaccamento, a una “base sicura”, che ci vuoi fare?

Bing Bong è un pirotecnico elefantino rosa, immaginario amico d'infanzia della protagonista, che nel film "Inside Out" (Pixar Animation Studios, 2015) a un certo punto si sacrifica e accetta di scomparire nel pozzo dei “ricordi perduti” per permettere a Gioia di poter raggiungere la centrale dei comandi dove risiedono le emozioni della bambina.
In questo film il regista Peter Docter, già autore e sceneggiatore di altri capolavori come Up, Toy Story, Monsters & Co., ha deciso di rappresentare le emozioni e il modo in cui influenzano il comportamento.
Il gesto eroico di Bing Bong sta tutto in quei tre minuti di video che continuano a far scorrere fiumi di lacrime, in chi li guarda.

Pietro Bartolo è un medico chirurgo, laureato all'Università di Catania, specializzato in ginecologia. È sposato e ha tre figli. Nominato nel 1988 responsabile del gabinetto medico dell'Aeronautica militare a Lampedusa, nel 1991 è ufficiale sanitario delle isole Pelagie. Nel 1993 diviene responsabile del presidio sanitario e del poliambulatorio di Lampedusa, dipendenti dall’ASP di Palermo.
Vice sindaco e assessore alla sanità dal 1988 al 1993.
Dal 1992 si occupa anche delle prime visite a tutti i migranti che sbarcano a Lampedusa e di coloro che soggiornano nel centro di accoglienza.
Nel marzo 2011 è stato nominato coordinatore di tutte le attività sanitarie nelle Isole Pelagie. Nonostante qualche settimana prima fosse stato colpito da un'ischemia cerebrale, è stato in prima fila nei soccorsi ai sopravvissuti del Naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 di un peschereccio carico di oltre 500 migranti, in cui persero la vita 368 persone.
Nel suo libro “Le stelle di Lampedusa” (Mondadori, 2018) trovi storie – non sono racconti, ma testimonianze – come questa:

«C’era questa ragazza madre arrivata a Lampedusa, che aveva perso l’uso delle gambe. Mi aveva detto che l’avevano violentata fino a paralizzarla. Era arrivata con un bambino. O almeno, pensavo fosse un bambino.
Quando le mie infermiere l’hanno lavata e pulita mi hanno detto che era una bambina.
Alla mamma, che era in condizioni ai minimi termini, non pesava più di 30 chili, le abbiamo messo le flebo. La bambina, ogni volta che mi avvicinavo alla mamma, mi aggrediva.
Quando le abbiamo dato i biscotti, lei non li ha mangiati. Li ha sminuzzati e imboccava la mamma come un uccellino.
Era da 6 mesi che si prendeva cura di sua mamma. E quando le mie infermiere l’hanno lavata, hanno trovato un gruzzolo di soldi su quella bambina, immaginate dove…
Aveva 4 anni, pensate. Quando l’abbiamo portata a Palermo, perché la madre doveva andare in ospedale, come facciamo con tutti i bambini, le abbiamo dato un giocattolo in regalo. Lei non l’ha voluto. Non era più una bambina».

Gregorio De Falco, ufficiale della marina Militare Italiana, si è laureato in Giurisprudenza all'Università degli Studi di Milano. Nel 1994 vince il concorso per entrare nel Corpo delle Capitanerie di Porto a Livorno. Frequenta i nove mesi di corso all'interno dell'Accademia navale.
Con il grado di Tenente di vascello, ricopre il ruolo di Comando a Santa Margherita Ligure, dove rimane dal 2003 al 2005.
Nel gennaio 2012 diviene celebre per i suoi interventi esortativi durante il drammatico naufragio della supernave da crociera Costa Concordia, registrati e diffusi da moltissime trasmissioni televisive. Interventi nei quali dapprima esorta, poi impone al comandante Schettino di tornare a bordo. Di non di fuggire come un vigliacco dalla nave che con una manovra stupida e temeraria aveva fatto affondare, causando la morte di 32 persone e mettendo a repentaglio quella di migliaia.

Eletto alle ultime votazioni politiche italiane nelle fila del partito che si è presentato come quello dell'Onestà. Ne viene espulso in data 31 dicembre 2018 assieme ad altri tre eletti - su decisione dei probiviri - per "reiterate violazioni del codice etico”.
In cosa consistette la sua colpa?
Aver deciso di astenersi in occasione del voto di fiducia per il cosiddetto “Decreto Sicurezza”.
Il comandante De Falco così ha commentato: “Mi dispiace molto e non me lo aspettavo. E’ una decisione abnorme e incostituzionale. Confidavo nel fatto che ci fosse uno spazio di democrazia che invece, a quanto pare, non c’è. Avrebbero voluto che la votassi a scatola chiusa”.

Due giorni fa, in occasione del nuovo voto di fiducia per la versione Bis del medesimo decreto, così si è espresso, rivolgendosi ai colleghi del partito che lo ha eletto:

“Il vero intento di questo provvedimento è creare la morte delle persone come deterrente.
Lo dico da uomo di mare. Aumentando la probabilità di morire in acqua, in realtà si spera che la gente non parta, ma dobbiamo avere consapevolezza che a chi fugge da morte certa anche la speranza di rimanere in vita è sufficiente per affrontare il pericolo.
Questa volta votate secondo coscienza, non secondo l’ordine di scuderia. Abbiate la schiena dritta perché questa è una norma criminogena, mortifera”.

Com'è andata a finire?
Il decreto è passato al senato per la conversione in legge con 160 voti.
56 voti provengono dal partito promotore del decreto cosiddetto “Sicurezza Bis”. Partito del quale per ora l'unica sicurezza giuridica (ribadita ieri con sentenza della Corte Costituzionale) è la confisca di 49 milioni di euro in rimborsi elettorali utilizzati per fini illegittimi grazie alla falsificazione dei bilanci dal 2008 al 2010.
3 voti da altri senatori.
101 dai senatori del Partito dell'Onestà.
Centouno, cinquantasei.

In coscienza ed esperienza, io ritengo che la vera sicurezza, anche dal punto di vista psicologico, si fondi sul coraggio. Quello che trovi un una “base sicura”, giusto per citare l'amato John Bowlby.
Una sicurezza che nasce dalla fiducia in un legame forte, in una presenza che incondizionatamente è lì, con te.

  • Sono qui con te
  • Vedo che è dura
  • Io ti terrò al sicuro
  • E' normale, sentire questo
  • Ti ascolto
  • Cosa prova il tuo corpo, in questo momento?
  • Puoi dirmelo, se vuoi
  • Vuoi che elaboriamo un piano, assieme?
  • A volte le cose sembrano ingiuste

Altri sbraitano di minacce, paure create e alimentate ad arte, solo allo scopo di generare insicurezza.
Che è l'esatto opposto.
Che alla fine produce esattamente ciò che cercano: una sociopatia diffusa, dove ognuno si rinchiude egoisticamente entro i meccanismi difensivi della chiusura, del sospetto, del pregiudizio, della morte del senso morale.
E' molto più facile, comandare un popolo che hai ridotto in questo stato.

Otto Kernberg, Erik Erikson, Jean Piaget.
In questi tre autori - come in altri appartenenti al filone della cosiddetta “Psicologia dell'Io” - ricaviamo una descrizione del percorso di maturazione dall'egocentrismo infantile alla capacità generativa, tipica dell'età adulta.
In uno schema, è riassumibile brevemente così:

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Da bambini prevale l'egocentrismo. E' vitale. E' darwiniano.
Se il bimbo piccolo non frigna quando ha fame-sete – pipì- popò- sonno ecc..., manco sopravvive.

L'adolescenza è l'età dei grandi sogni, dei primi innamoramenti. Si comincia a “uscire dal bozzolo” dell'egocentrismo. Ti devi impegnare, se vuoi che l'allenatore ti metta in squadra. Se non studi, non vieni promosso. Certo, le “quote in ingresso” di vitto e alloggio, ad esempio, devo venire ancora garantite. Dai genitori, obviously.

Solo nella maturità psicologica tipica dell'età adulta si diviene in grado di “prendersi cura” dell'altro. In una relazione di coppia stabile, ad esempio. O nell'essere genitore. O più semplicemente educatore, responsabile, caporeparto.

Vabbè, è ora di finire anche questo post.
Sempre troppo lunghi, mi vengono, mannaggia...

Che poi qualcuno, nonostante fosse in “missione per conto di Dio” e con fini assolutamente benefici (salvare un orfanotrofio) ci è davvero finito, in carcere.

Te li ricordi?

              - Everybody Needs Somebody To Love -

https://www.youtube.com/watch?v=CCTt4gvt6e4

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ANGELI, DEMONI e SCIACALLI

20/7/2019

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Tra le esperienze più drammatiche, in trent'anni di attività professionale, ascrivo sicuramente quelle in cui la persona che chiede aiuto è stata vittima di abuso infantile.

Non sono poche. Ho ben in mente decine e decine di casi. Anzi: di volti, storie, persone. Nomi, e cognomi. Genitori, e famiglie. Perlopiù, "perbene".

All'inizio non lo capivo: non mi spiegavo come, oltre al danno indescrivibile subito, con la derivante sequela di stati d'ansia, blocchi affettivi, relazionali e disfunzioni sessuali che si manifestano in età adulta, si aggiungesse la beffa del senso di colpa.

Senso di colpa, si. Non lo capivo, proprio.
Com'è possibile - mi dicevo - che una violenza così abominevole, "contro natura" agli occhi del senso comune generi anche, nella vittima, sentimenti del tipo: "La colpa è mia". "Fossi stato più buono, più brava, non mi sarebbe successo". "Se fossi stato migliore, mio papà/mamma/zio... non mi avrebbe fatto questo".

Qualche numero?
(Dati reperibili nel sito di Telefono Azzurro: http://www.vita.it/attachment/c5af4826-1b76-448b-b3d5-c0817344f31a/)

In Europa, quasi 18 milioni di bambini sono vittime di abuso sessuale.
Ogni 7 minuti una pagina web mostra online immagini di bambini abusati sessualmente.
Nel 2017 sono stati individuati 78.589 URL contenenti immagini di abuso sessuale su minori.
Oltre la metà delle vittime, il 55%, ha meno di 10 anni.
Si stima che l’abuso sessuale sui minori contribuisca all’insorgenza di disturbi psicopatologici: nel 23% dei casi le vittime di abuso necessiteranno di servizi di salute mentale e psichiatrici, anche nell’età adulta.

E l’Italia?
Nel 39,8% dei casi il luogo in cui si verifica la situazione è la propria casa, seguita da Internet con il 33,7% dei casi. Inoltre, il presunto responsabile della situazione d’emergenza che si verifica offline è nel 60% dei casi un genitore o un membro della famiglia.

Riscrivo, non è un errore di stampa: nel 60% dei casi un genitore o un membro della propria famiglia.

Dati disponibili oggi come allora, quelli sulla violenza intrafamiliare.
Ma continuavo a non capire.
Non tanto come mai il "demone" potesse risultare un genitore. Quello che continuavo a non capire era come la vittima non solo non riuscisse a parlarne, a denunciare, ma addirittura si sentisse in colpa. E - spesso - continuasse ad "amare" questo genitore. A rimanerne dipendente.
.
Non l'ho capito fino a quando l'esperienza e l'approfondimento dello studio nella teoria dell'attaccamento di John Bowlby mi hanno aperto scenari chiarissimi, concreti e radicati nella stessa programmazione genetica degli umani, dei mammiferi più in generale.

È noto a tutti l'esperimento di Harry Harlow con i cuccioli di scimmia. La cosa più sorprendente, messa in luce dagli studi successivi, è che anche quando il simulacro della mamma (quella ricoperta di stoffa morbida, dove i piccoli cercano rifugio e protezione) diventa respingente ed "abusante" tramite stimoli spiacevoli e dolorosi, i piccoli non se ne allontanano, anzi. Cosa apparentemente assurda, smettono ogni altro comportamento, incluso il gioco con i compagni e la ricerca di cibo, nel tentativo di recuperare quello che si presenta come il bisogno più vitale di tutti: l'attaccamento al "caregiver".

Ecco perché le squallide speculazioni politiche di questi giorni su vicende così delicate, nelle quali le indagini sono ancora tutte aperte, mentre i cultori del fango hanno già emesso giudizi, condanne e liste di proscrizione, mi generano un senso di indignazione. Di disgusto.

Per i fatti relativamente ai quali gli indizi verranno accertati, la condanna dovrà essere esemplare.
Non dubito sia possibile siano stati esercitati da qualcuno anche dei possibili sporchi affari.
Questo lo deve accertare, con rigore e gli strumenti adeguati, la magistratura.

Ma chi ha le competenze, allo stato attuale, anche solo per "mettere il naso" in questioni alle quali ci si deve avvicinare in punta di piedi, direi con un silenzio sacro pieno di rispetto, attenzione, intelligenza? E competenza, ripeto?

Per la cronaca: il dott. Claudio Foti, psicoterapeuta responsabile del centro "Hansel e Gretel", messo agli arresti domiciliari e additato nelle pagine social tra i "bastardi, criminali, da chiudere in galera e buttare la chiave" e chi più ne ha, più ne metta da parte degli odiatori professionisti di Internet, due giorni fa è stato scagionato dalle accuse, e liberato.

Doveva rispondere di abuso d’ufficio in concorso, e per aver "manipolato la mente di una bambina" durante le sedute di psicoterapia. Accusa, quest’ultima, venuta a decadere.

Ecco la sua intervista, cocessa ieri al Corriere della Sera: “Per fortuna il diavolo fa le pentole e non i coperchi, e la grazia del Signore mi ha consentito di ricordarmi che io quegli incontri li avevo registrati. Venti ore di filmati per 15 sedute mi hanno salvato” spiega lo stesso psicoterapeuta.
E quindi chiarisce: “Il tribunale ha preso atto del fatto che la mia terapia era basata sul rispetto empatico, che non vi erano elementi di induzione, né una concentrazione forsennata sull’abuso. Sono filmati inequivocabili: smentiscono clamorosamente le testimonianze contro di me, come quella della madre della ragazza, che ha cambiato le carte in tavola. Era stata lei a descrivere una situazione di abusi reiterati”.

Foti era stato accusato di essersi travestito da mostro (alcune fonti parlano di un lupo) per far paura ad una bambina. L’obiettivo sarebbe stato quello suscitarle falsi ricordi nei confronti dei genitori per toglierla a loro e affidarla, dietro compenso, a un’altra famiglia. “Un aspetto della ‘bufala’ nei miei confronti, è che mi hanno indagato per aver trattato una paziente come ‘una cavia’ - spiega al Corriere della Sera - La verità è che noi avevamo vinto un bando dell’Asl di Reggio Emilia, che prescriveva un’attività di formazione di un gruppo di psicoterapeuti della stessa Asl, i quali avrebbero dovuto assistere alle sedute in una stanza con una videocamera a circuito chiuso. Una modalità che si usa in tutto il mondo. C’era il consenso della madre e di tutti gli interessati. Non so davvero perché tutto ciò sia accaduto. Sono di orientamento buddista, credo che le persone della procura che mi hanno accusato siano state animate dal desiderio di cercare la verità. Ma talvolta, la verità, la si cerca in modo sbagliato. Hanno detto a noi che eravamo verificazionisti, eppure, forse, lo sono stati loro: hanno trasformato in teorema qualcosa che non c’era ”, aggiunge.

Foti lamenta un “danno di immagine enorme” fatto all’associazione Hansel e Gretel oltre che alla sua persona. “I pregiudizi si fossilizzano, sarà difficile uscirne. Ma ripartiremo certamente, prepareremo un documentario. Io scriverò un libro su questo, ho già iniziato. A 68 anni sarà il mio primo romanzo, finora ho pubblicato saggi. Proverò a tradurre cosa ho provato per un dovere di verità nei confronti di chi mi è stato vicino” conclude lo psicoterapeuta.

In realtà gli odiatori seriali, gli imprenditori del fango via Social, quelli che allo stato appena iniziale delle indagini gridano allo scandalo e seminano diffamazioni, denunciando come già accertati reati appena in corso di indagine, in realtà a costoro, di quelle creature, non gli importa nulla.
Com'è stato per i terremotati di Amatrice, com'è sempre per ogni sequela del benaltrismo ipocrita, ciò che interessa a questi avvelenatori dell'informazione è solo produrre squallido sciacallaggio politico.
Una volta al governo, questi Robespierre-solo-quando-sei-all'opposizione i terremotati li hanno lasciati là. E' toccato l'altroieri al presidente della Repubblica ritornarci, sui luoghi del terremoto, per non far sentire dimenticate le popolazioni, e sollecitare pubblicamente gli attuali governanti. Gli scandalizzati di ieri.

I bambini sono troppo importanti. Non solo per chi, come me, è genitore e/o si occupa professionalmente di loro.
Rappresentano anche, purtroppo, un tema politicamente troppo facilmente e frequentemente abusato.
Un tempo, per demonizzare l'avversario si diceva che c'era chi "mangiava i bambini". E qualcuno ci credeva pure.
Oggi li lasciano affogare tranquillamente in mare. Ma ormai di "cherry picking", attenzione selettiva e manipolazione dell'informazione, ne sanno anche i paracarri delle strade.

Ribadisco: se saranno accertate delle responsabilità, nel caso di Bibbiano, chi verrà condannato merita pene esemplari.
Altrettanto, i non pochi soggetti querelati per diffamazione sulle notizie inventate e strumentalizzate.

Io proporrei a Facebook un aggiornamento negli algoritmi. Credo non ci vorrebbe molto.
Un blocco automatico nella condivisione delle fake.
Bloccare utenti non è utile, personalmente non l'ho mai fatto e mi auguro di non doverlo mai fare, con nessuno. Ma una disinfezione dall'odio tossico, questo si, farebbe bene a tutti.
Proporrei una sanzione sulle accuse infondate e sulle notizie indimostrabili divulgate via Social. Non so come, chiedo aiuto ai giuristi che mi leggono. Ma - questo si lo so molto bene - il portafoglio, come San Francesco, ha il potere di ridurre i lupi in miti agnellini.

Nel paese dove vivo, tutti ricordano il caso di un artigiano e del suo furgoncino. Per scherzo o superficialità, due ragazzini un giorno lo indicano a una mamma come "pedofilo". Si scatena all'istante il tam-tam nei social. Mamme allarmate, angoscia a fiumi nelle chat di wharsapp, toni orgasmici nelle comunicazioni, odio nei gruppi Facebook, sputi, condanne e sentenze di esecuzione già emesse prima del tramonto. Auguri di roghi, sedie elettriche, decapitazione previa evirazione. Parte la caccia all'uomo.

Solo grazie all'esperienza dei carabinieri della locale stazione, e qualche buon consiglio, tutto si rivelerà nel giro di qualche giorno una bolla di sapone. Uno scherzo. Un fake.

Qualcuno immagina lo stato interiore di quell'uomo, della sua famiglia?
Ciò che deve aver vissuto?
Le conseguenze emotive, relazionali, professionali?

A chi non riesce a immaginarlo (credo pochi), o non  ha mai vissuto di persona qualcosa di simile, consiglio la visione del film "Il sospetto" (2012) di Thomas Vinterberg. Lo consiglio a chiunque, prima di continuare a scrivere o pubblicare qualcosa sui fatti di Bibbiano.

Dopo di ciò, non credo vedremmo molte condivisioni "alla cieca" di post preconfezionati ad uso frettolose accuse infamanti. Soprattutto in un campo, lo ripeto con Alberto Pellai, dove serve una delicatezza, sensibilità e rispetto estremo. E competenza, tanta. Perché si maneggiano dosi di dolore inimmaginabile.
​Tutto ciò, ovviamente, vale in primis per gli operatori del settore.

Come lo finisco, questo scritto?
Sarà perché in questo momento ho uno splendido mare davanti allo sguardo, scelgo dei versi di Nazim Hikmet:

“Vivi in questo mondo
come nella casa di tuo padre:
credi al grano, alla terra, al mare,
ma prima di tutto credi all'uomo.

Ama le nuvole, le macchine, i libri,
ma prima di tutto ama l'uomo.
Senti la tristezza del ramo che secca,
dell'astro che si spegne,
dell'animale ferito che rantola,
ma prima di tutto senti la tristezza 
e il dolore dell'uomo.

Ti diano gioia
tutti i beni della terra:
l'ombra e la luce ti diano gioia,
le quattro stagioni ti diano gioia,
ma soprattutto, a piene mani,
ti dia gioia l'uomo!"


- quando sarai grande -  

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ROLLIN'ON THE RIVER

4/7/2019

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Fusina. Imbarco del vaporetto.
Sto per andare a trovare un caro amico, dall'altra parte della laguna.
Ho una quarantina di minuti di navigazione. E qualche pensiero sovrannumero, che svolazza nella testa. Provo ad acchiapparne qualcuno, in forma scritta.
Mi è sempre piaciuto, il tempo lento delle barche.
 
Il tema della visita mi riporta a uno degli insegnamenti universitari che più ho amato: Psicologia Fisiologica. Oggi, trent'anni dopo, nell'era delle neuroscienze, ne sanno anche i bambini.
 
No, non è in vacanza, il mio amico. Non si trova al mare per villeggiatura.
Il Lido di Venezia, oltre che per il Festival Internazionale del Cinema, è noto anche per il San Camillo.
“Ospedale riabilitativo, istituto di ricovero e cura a carattere scientifico”. Così nell'intestazione.
 
Socchiudo gli occhi mentre il battello si sgancia dalla banchina, e questo andar molle mi conduce sottofondo entro le pagine di Mark Twain. Dove i piroscafi davvero andavano a vapore.
"Sulla terra ferma ci vogliono 40 anni per conoscere tanti tipi umani; a me in nave bastarono i due anni e mezzo di apprendistato. Quell'addestramento mi ha consentito di conoscere praticamente tutti i tipi umani che si ritrovano nei romanzi, nelle biografie, e nei libri di storia".
Così scrive in “Vita sul Mississippi”. Siamo nel 1885.
 
So che troverò il mio amico seduto sulla panca, all'ombra di quell'albero. Nel primo ospedale è entrato tempo fa. In barella, praticamente paralizzato. Reso tetraplegico da un virus.
Tetraplegico.
Ora cammina sulle proprie gambe.
Lo scorgo, è là. Già mi sorride. In due mesi, ha fatto passi da gigante. La grinta, lo scrupolo nell'applicarsi alle cose, la precisione e la determinazione non gli sono mai mancate. E' uno tosto, davvero.
 
Che meraviglia, il corpo umano. E il sistema nervoso, ancor più intrigante, nei suoi fini meccanismi. Per non dire di quello immunitario. Che a volte “impazzisce” per delle strane reazioni di esagerata autoimmunità. Un eccesso di meccanismi di difesa, in altre parole. Il corpo che aggredisce se stesso.
La faccenda è che questi sistemi non operano isolatamente. Vivono di dinamiche che interlallacciano “hardware” e “software” attraverso la chimica dei neuromediatori, la potenza delle emozioni, la programmazione genetica inscritta nel DNA.
E la tossicità dei virus, talvolta.
 
Anche i sociologi parlano di un corpo. Il “corpo sociale”.
Ah... che dolore.
Si, penso a questi tempi. Alla comunicazione via Social. All'astio, alla nevrosi da tastiera. Alle fake news, ai fotomontaggi, alle diffamazioni su fatti poi smentiti a livello giudiziale.
Vedo persone stimabili nel proprio lavoro, amici anche impegnati nel volontariato, insomma, “bravi ragazzi” quando li conosci di persona, che poi passano il tempo a intasare il web con post-spazzatura. Notizie tendenziose, scandalistiche o parziali, generate ad hoc da siti dediti - tra l'altro - a quella sporca operazione che è il “riciclaggio dei followers”. Nel solo mese di maggio scorso Facebook ha chiuso in Italia 23 di queste pagine. Ne risulterebbero attive ancora più di un centinaio, con 18 milioni di seguaci iscritti. Insomma, una pandemia di falsità, veri e propri virus tossici nel vivere civile. Quale l'effetto? Un alimentare ad arte le emozioni primarie della rabbia e del disgusto. Esito inevitabile: una conflittualità comunicativa sempre più dilaniante, un'incapacità di coltivare e approfondire un pensiero, di documentarsi, di studiare.
 
Cui prodest – a chi giova – tutto ciò?
La risposta, già che siamo nel “latinorum” proviamo magari a cercarla nell'altro detto: “Divide, et Impera”. L'hai mai sentito?
Maggiore l’incompetenza e l’arroganza dei governanti di turno, tantopiù massiccio il ricorso a questa strategia.
Historia Magistra Vitae.
  
Il mio battello, ora che si fa sera, sta rientrando – pigro - al molo di partenza.
Fusina, di nuovo.
Terraferma veneziana. 
 
C'è uno splendido tramonto, nella laguna. Una sfera infuocata si sta tuffando dietro i Colli Euganei, laggiù, in lontananza.
Chissà se le albe di New Orleans conoscono qualcosa di simile.
Magnifico spettacolo. Allarga il cuore. Anzi, lo allaga.
 
Anche Mark Twain  non ebbe vita facile. Orfano di padre, perse il fratello in un incidente col battello, lungo il grande fiume. Ne “Le Avventure di Tom Sawyer", il protagonista è ragazzino molto irrequieto e vivace.
Chissà perché…
Un figlio malato gli morì precocemente.
Così poi altre due figlie su tre, anch'esse sofferenti di gravi malattie (cosa non rara, a quell'epoca).
 
Il mio amico tra un pugno di giorni lo rimanderanno a casa, nella sua famiglia. Gioia infinita.
Si, ce l'ha fatta. Grazie a tanto impegno, fatica. A buone cure. A tanta fisioterapia mirata.
E a un gruppo formidabile di amici, che lo hanno sempre sostenuto.
E quando scrivo “sempre”, tu leggi, mi raccomando: “h24, di-giorno-e-di-notte”. Sempre.
Questa, è solidarietà. Questa, è coesione sociale.
 
Guariranno mai, invece, i compulsivi tossici e virulenti piccoli “leoni da tastiera”?
Qualcosa ci libererà da queste lacerazioni sociali, fonte solo di paralisi civile?
 
Il nevrotico vive “in funzione dell'altro”, ricorda Freud. 
Non è facile, rinunciare a una dipendenza così forte.
 
Ricordo una canzoncina, che cantavamo da giovani. Magia di quegli anni.
Ora, mentre smonto da questo quasi-piroscafo, una nuova consapevolezza si è aggiunta al grande fiume dei pensieri. Che continua a fluire, ininterrotto, nella mia mente.
 
Più che un pensiero, questa è però una consapevolezza. Un’esperienza.
E’ la solidarietà che questo straordinario gruppo di amici ha dimostrato.
 
Giorno e notte, notte e giorno.
Come un lungo fiume, ininterrotto.
 
- conosco un'altra umanità -


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CALA TRINCHETTO

7/6/2019

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“El gà perso i sentimenti!”
Proprio questa - testuale - è la frase che l'infermiera ha rivolto al mio amico, ricoverato per un piccolo intervento, nel momento in cui stavo uscendo dalla sua stanza di ospedale e ho preso la porta dell'armadio.

Vabbé. Parliamo di politica.
Si chiama “Sentiment Analysis”.

Funziona così: c'è un gruppo di operatori pagati per questo. Generalmente sociologi, psicologi, esperti di linguistica, informatici. Anche se il profilo ideale potrebbe essere l'esperto in scienze della comunicazione.

Allora: 'sto manipolo di ficcanaso (Freud parlerebbe di “sublimazione dell'impulso scoptofilo”; in pratica: guardoni remunerati) passa il tempo a leggere i post della gente nei Social, annota scrupolosamente tendenze, opinioni-che-vanno-per-la-maggiore, banalità ricorrenti, dai gattini che ballano alla nutella nelle brioches.
Insomma: redigono la classifica di cosa la gente pensa. Di ciò che alla gente piace.

“Perché?”
“Perché qualcuno li paga, che domande fai?”
“Perché li paga?”
“Perché vuol sapere cosa la gente pensa, te l'ho appena spiegato, sei rincitrullito del tutto?”
“E che se ne fa, di cosa piace alla gente?”
“Se ne fa che poi vanno a raccontare alla gente esattamente ciò che la gente vuol sentirsi dire, piccolo babbeo!”
- Te go dà del babbuino, se no teo ghé capìo -

“Aahnn... insomma: quello che i Greci chiamavano “demagogia”, praticamente...”
“Bravo, piccolo, bravo: “δημαγωγία”. Da: demos, "popolo", e aghein, "trascinare". La pratica politica tendente a ottenere il consenso delle masse lusingando le loro aspirazioni.”

“Ascolta: ma... chi li paga, questi “ficcanaso”?”
“Chi vuoi che li paghi, babbione! Io e te, li paghiamo. La gente, li paga...”
“Come non ne avessimo abbastanza, di tasse...e poi ci raccontano che vogliono abbassarle!”

“Sentiment Analysis”.
Alla fine, tuttavia, è solo una porzione della realtà.

Voglio dire: di quella vera, vissuta fuori dai "Social".
Funziona come propaganda, non come promozione del benessere.
E' un'illusione di consenso.


Gettiamo uno sguardo ai dati effettivi delle ultime elezioni europee, quelle di meno di un mese fa.
Facciamolo considerando tutta la popolazione effettivamente avente diritto al volto; non solo la percentuale di chi si è recato alle urne.

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Allora:
  • partito del non-voto 46%
  • partito della bandiera verde (anzi, no, aspetta, adesso non l'avevano tinta di blu?) 18%
  • partito della bandiera arancio 12%
  • partito della bandiera gialla 9%
  • altri: insignificanti.
Insomma: a guardare i numeri reali, confrontati con i proclami dei “vincitori”: tanto fumo, poco arrosto.
E che dire della rapidità con cui il popolo un giorno ti innalza, l'altro ti crocifigge?

Buffi, quelli che confondevano il presunto desiderio di “onestà” della popolazione media con l'impulso vendicativo e distruttivo, cioè la modalità primaria di espressione della frustrazione.
Astio peraltro ben alimentato via Social da agenzie appositamente create a diffondere fake news, diffamazione e squalifica. Ad hoc.

“Vuoi dirmi che fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce, come quel proverbio che la maestra Faccini (sempre lei!) ci insegnava alle elementari?”

“Eh, magari crescesse qualcosa nella coscienza civile, Babby mio. Qua mi sa che se non ci diamo una svegliata, finiamo come la foresta della Val di Fiemme dopo il tornado dell'ottobre scorso. Sempre più spolpati. E disgustati. E inviperiti l'uno contro l'altro. E, purtroppo, economicamente schiantati.”

              - es un sentimiento nuevo che mi tiene alta la vita -


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SCORZA & POLPA

23/5/2019

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Ci sono le elezioni.
Anzi, le votazioni. Giorni di passione.
 
Tra le persone incontrate ieri - vuoi per strada, vuoi in un ambulatorio, in una corsia d'ospedale, in uno studio, non ha importanza - qualche spezzone di dialogo:
 
“Sàeo, dotòre, me sento tanto sola. Da quando che sò vedova… A casa, no so còsa fare. Eòra tàco ea teèvision.... e me piaxe scoltare... (cita l'attuale Ministro dell'Interno) el parla ben. El parla tanto. Ma... dopo penso: chèl faxa dàvero tùte chée robe chel dixe? Mah... eù, còsa dixeo?”.
 
Altra situazione:
“Una migliore amica? Si, ce l'avevo. Mi è stata tanto vicina, quando ho avuto la seconda operazione, per la recidiva. Tanto, tanto vicina. Poi, abbiamo litigato. Di brutto.”
 
“Ah, una brutta litigata. Forse, un motivo grave?”
 
“No, una “monàda” (stupidaggine), tutto sommato. Bah... era diventata... (cita il partito di un famoso comico). Io, invece, sono sempre stata di sinistra. Si è fatto impossibile parlarci. Adesso, però, che le hanno diagnosticato un carcinoma al quarto stadio, vado a trovarla tutti i giorni.”
 
Tralasciamo poi le zuffe via social: le descrizioni cliniche sono superflue.
 
Cos'è che muove tante emozioni? In nome di che, si è in grado di rompere amicizie, scatenare liti familiari, far smettere alle persone di parlarsi?
 
Un'idea politica.
Potremmo pensare si tratti di un'operazione del pensiero.
Di quel “software”, in altri termini, che ci differenzia dagli animali, dai mammiferi inferiori, dalle lucertole. Insomma, roba della corteccia cerebrale, quell'area del cervello tipica degli umani. Quella che ci fa risolvere le equazioni matematiche, andare sulla luna, costruire i bolidi della Formula Uno, scoprire le meravigliose leggi della biologia...
 
E invece, no.
E invece, no!
(“E invece, no”: questa l'aveva scritta e la cantava, prima di Coez, Edoardo Bennato, nei primi anni '80. Un bel reggae blues, davvero).
 
Invece, no: non è questione di corteccia, di “scorza”, bensì di polpa.
Il sistema limbico, il “cervello delle emozioni”.
 
Paul MacLean, un neurofisiologo americano, negli anni '70 del secolo scorso lo aveva chiamato “cervello mammifero”. Altri autori come Damasio, portoghese e Joseph Ledoux, statunitense, negli anni successivi hanno perfezionato e approfondito questi studi. Specialmente in relazione ai comportamenti legati all'ansia e alla paura.
 
Il cervello delle emozioni: sistema limbico, amigdala, ippocampo, bulbi olfattivi, ecc...
Ci arrabbiamo, discutiamo, prendiamo posizione più per confermare il nostro senso di identità e di appartenenza, che per l'effettiva competenza su questioni complesse: politiche, sociali, demografiche, sanitarie.
 
Siamo tutti ignoranti, in campi diversi. Ammettiamolo.
A volte chiediamo consiglio: “Tu, cosa voti?” a confermare un bisogno di sicurezza che è il primo, a livello evolutivo. Dal neonato al malato terminale: un legame sicuro, ci serve. Ci sostiene. Ci rincuora.
 
La polpa, e la scorza.
Una dura lotta. Sentimenti e passioni, vs. ragionamenti e pensieri.
 
Il pensiero.
Dove abitano i filosofi. Anche quelli della politica.
Già: primo di tutti, il buon Aristotele. Che descriveva l'arte della “Polis” (amministrazione della città) come ricerca del Bene Comune.
 
Ah, che bei ricordi al primo anno di università: la politica come finalizzata alla filosofia: deve creare le condizioni per coltivare la scholè (tempo libero) e le attività teoretiche, tra cui la matematica, la fisica, lo studio del cielo...
 
Nel corso della storia, poi, parole come "democrazia", "politica", "tirannide" sono andate assumendo significati diversi, rispetto all’originario pensiero greco. Una revisione radicale, che si sviluppò nel Rinascimento, con Niccolò Machiavelli, prima, e Thomas Hobbes, in seguito.
Per i Greci, le questioni del potere e del controllo erano marginali. La comunità (koinonia) era tutto.
Lo scopo ultimo della politica era di conseguire "il bel vivere". A differenza dei tempi odierni, non si sperimentava quel conflitto fra società e individuo che è causato dalla distanza fra chi governa e chi è governato.
 
Epperò mentre i politici in tv e nei Social parlano di Europa, reddito, TAV (no, quella adesso basta, non più…) il nostro “cervello-polpa” tende a registrare questa posizione: “Dove mi sento a casa?”. “Qual è la mia squadra?”.
 
Insomma, domenica andremo a votare. E da mezzanotte o giù di lì, qualcuno comincerà (Yahùu!) a cantar vittoria, altri a dire che non hanno perso, altri che non-hanno-vinto-ma-vuoi-mettere-come-poteva-andare?
 
Vabbé, sai che ti dico?
Che ho scritto un post inutile.
 
Si, perché sia chi come me voterà il partito che cinque anni fa ha preso il 40% dei voti e stavolta forse ne raccoglierà la metà, sia chi esulterà per un risultato domenica (forse) simile, a poco gli serviranno i festeggiamenti o le consolazioni del lunedì.
 
Perché?
Non tanto perché sarà la legge dell’economia, dei risultati effettivamente raggiunti a fronte delle balle raccontate, a dimostrare la realtà.
Non tanto perché le percezioni (specie in politica) mutano rapidamente, e la “polpa” ha date di scadenza più ravvicinate di quelle della “scorza”.
 
Quanto perché ci saremo tutti – quelli troppo impegnati a litigare – dimenticati del partito maggiore. Quello che non ha sedi. Non ha loghi. Non ha leader. Non ha profili social. Non scende mai in piazza. Non ha un programma e non ha neppure un manifesto affisso in giro. Non ha nulla e non fa nulla, ciononostante è il primo partito, quello con la più alta percentuale di giovani tra le sue schiere, in costante crescita, in Italia e in tutte le democrazie occidentali: il Partito dell’Astensione.
 
Vuoi un nome?
Uno, su tutti?
Carl Gustav Jung.
Senti cosa scrive, nel comunicato stampa in occasione di una visita negli Stati Uniti (4 ottobre 1936):
 
“Voglio sottolineare che disprezzo la politica di tutto cuore: non sono né un bolscevico, né un nazista, né un antisemita. Sono uno svizzero neutrale e perfino nel mio paese non mi interesso di politica, perché sono convinto che per il novantanove per cento la politica sia solo un sintomo e che tutto faccia tranne che curare i mali sociali.
Circa il cinquanta per cento della politica è detestabile perché avvelena la mente del tutto incompetente delle masse. Ci mettiamo in guardia contro le malattie contagiose del corpo, ma siamo esasperatamente incauti riguardo alle malattie collettive – ancora più pericolose – della mente.
In un’atmosfera come questa, politicamente avvelenata e surriscaldata, è diventato praticamente impossibile condurre una discussione scientifica sana e spassionata su questi problemi così delicati eppure estremamente importanti. Discutere pubblicamente questi problemi avrebbe più o meno la stessa efficacia di un direttore di manicomio che si mettesse a discutere le particolari fissazioni dei suoi pazienti proprio in mezzo a loro.
Vedete, il fatto tragicomico è che tutti sono convinti della loro normalità, esattamente come il dottore stesso è convinto del proprio equilibrio mentale”.
 
Io invece, per una volta - una sola volta - vorrei domenica sera vedere smentito il grande Gustav Jung, rispetto alle sue idee sulla politica.
 
E’ vero, si: servirebbe un’esca.
Tipo un frutto appetitoso. Buccia aulentissima, e succo prelibato.
 
Come dici?
Che in questo clima inacidito e odioso, manco il serpente tentatore dell’Eden, quello di Adamo ed Eva, ce la farebbe?
 
Forse hai ragione.
 
   - cogli la prima mela -


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SESSO, DROGA e PROFITEROL

11/5/2019

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È una dipendenza, lo so.
E pesante, pure.
So anche di chi è la colpa. Tutta, senza sconti: del rinencefalo.

Che non è un mostro dell'era glaciale, ma una struttura del cervello. Quella deputata al sistema olfattivo. Nei mammiferi evoluti come noi umani siamo, ha più a che fare con i circuiti delle emozioni, la memoria e il desiderio sessuale, che con le scadenze dell'accoppiamento stagionale.

L'ex Motoemporio.
Il negozio di ricambi e accessori che per noi adolescenti rappresentava una vera e propria meta di pellegrinaggio. A metà degli anni '70 lo ricordo in via Beato Pellegrino, a Padova, sotto i portici.
I ricordi che ho, anche degli odori, e dei profumi?
La prima morosetta, che lì aspettavo all'uscita della scuola: un centinaio di metri dietro l'angolo. Il luogo prescelto per l'appuntamento. Rigorosamente in moto, per accompagnarla alla stazione delle corriere.

Ci ripasso davanti ieri mattina.
Dagli anni '90 si sono trasferiti in altra zona della città, più accessibile ai meccanici che giungono dalle periferie. “Motoricambi 2000”, così avevan già mutato il nome, in una chiave futurista che i radi capelli bianchi di un paio di commessi al banco - ancora gli stessi - hanno già reso preistoria.
D'altronde, son trascorsi quarant'anni.

Insomma: ci passo davanti, e non so resistere.
Con il più infantile dei pretesti, a mascherare curiosità e nostalgia, entro.
Allo scopo di “buttare un occhio”.

Rimango ipnotizzato, all'istante.
Le candele della Bosch, gli olii Bardhal, i caschi Nolan.
Tutto come una una volta. Gli scaffali di metallo, la disposizione, le etichette. Esattamente come le ricordavo. Addirittura una scritta, mitica, all'estrema sinistra, quarto calto dal basso: "Lambretta". Per i fanatici del vintage, vale da sola un orgasmo.
Su tutto, un profumo di gomma vulcanizzata, che promana dalle Michelin accanto all'ingresso. Le Pilot per le supersportive, le Anakee dedicate alle tuttoterreno, le City Grip per gli scooter, agili aurighe nel traffico urbano.

“Cosa ti serve?”
“Ah... niente, una canna.”

“Una... che?”
“... per la benzina ... quella del carburatore.”

“Ahn... che moto?”
“Eh... un... un... Morini.”
“Ah. Nera, o trasparente?”
“Trasparente.”

Ovvio che ieri mattina non mi serviva un cavolo di niente, ma a quel punto, che puoi dire?
Qualcosa bisogna pure inventarsi.
Pago due euro per un metro di cannuccia di gomma, diametro 6 mm. (però, che buon profumo, anche questa!) ed esco.

Mi scopro a sorridere. Mi sento leggero. Quasi come sospinto dalle onde alfa dell'elettroencefalogramma. Quelle della veglia a occhi chiusi, di certi stati d'estasi.

E' potente, il rinencefalo.
Negli animali, tramite l'olfatto, modula i comportamenti di avvicinamento e fuga, via amigdala.
Attraverso le sue strutture si incrociano, mescolandosi, le emozioni più profonde. Da quelle darwiniane della paura e della rabbia, fino ai labirinti del desiderio e dell'attrazione. Lungo autostrade neuronali che conducono alle aree prefrontali della corteccia cerebrale.
Desideri, e paure. Le chiavi di intonazione di quella musica che è la vita.

La paura. Il motivatore più potente dei comportamenti umani.
Vabbè, mica serviva un Premio Nobel per capirlo, no?
Che poi qualche politico trombone, magari ministro della Repubblica, uno di quelli che accendi il telegiornale e son lì ogni giorno che bla-bla-blaterarno (sempre le stesse cose) mattina, mezzogiorno e cena, se ne serve - della paura - fino all'indigestione.
Pare ne abbiano bisogno ogni giorno, di una diversa.
Ma risolverli, i problemi, invece di gonfiare le angosce e le difficoltà della gente, no?

Si, lo so: i “like” e i “selfie” sono dopaminergici. In sostanza, hanno un effetto euforizzante, simil-cocaina. E danno dipendenza. Salvo poi che la stessa gente che oggi ti osanna, un domani ti appende a testa in giù, come quasi sempre è avvenuto nella storia.
Che poi, ad ascoltarli e vederli in certi servizi telegiornalistici, questi tromboni, il rinencefalo mi trasmette un messaggio inconfondibile: puzza-di-falso, puzza-di-falso, puzza-di-falso!

E allora sai cosa faccio, compulsivo?
Rischio, io, un'altra dipendenza.
Si, perché spengo all'istante la tv, e mi dirigo al frigorifero.
Accalappio un dolcetto, o la deliziosa stecca di cioccolata, che mai deve mancare.
Per compensazione, si, ohibò! Purtroppo!
Tra gli ingredienti della cioccolata trovi la tirosina, un precursore della dopamina, della serotonina e della noradrenalina. Tutti neuromediatori implicati nel tono dell'umore.
In sostanza, antidepressivi naturali.

Che ci posso fare?
Che con quelle facce che mi mettono al TG, a ogni ora, ne ho davvero un gran bisogno.

Mica posso ripassare, ogni nuovo giorno, da Motoricambi 2000...


- cacao meravigliao -


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PIETRA, MUSICA, POESIA.

2/3/2019

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In questa città, di nuovo. Per un convegno di studio.
Qui, però, non un mero centro storico.
Non un agglomerato urbano.
Un museo a cielo aperto, piuttosto.
Una galleria d'arte e architettura, h24.

Lo sapevo.
Lo rivivo, ogni volta.
Ad ogni passo.

In aula, discorriamo dei labirinti del pensiero, quando attraversano i continenti della sessualità.
Di ossessioni, compulsioni.
Di farmaci, neurobiologia.
Legami di attaccamento; magari terapeutici.

Poi esco. Mi tuffo nei vicoli, direzione Santa Croce, e par che dietro l'angolo potrebbe sbucarmi Dante, l'Alighieri.
O dentro quella bottega, il Cimabue, all'opera.
E Michelangiolo, che lo scalpello adopra quasi il crine sulla viola.

Allora un'idea mi salta di sponda.
Penso che questo marmo intoni una nota.
Forse la prima di un canto.

Il testo?
Racconta di uno sguardo.

Costretto immobile, per generazione.
Sanza gravità né labirinti, pe' desiderio.

       - per questo canto una canzone triste -


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VIVA LE NONNE!

30/12/2018

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“La polvere, Giovanna, la polvere.”
“Si, Eulalia. La polvere. Come una volta. Certo.”
“E il paltano?  Quello argilloso, dei Colli Euganei? Rosso come l’inferno e viscido più di una saponetta dentro i tasselli degli pneumatici artigliati, mica te lo sarai scordato?
“Ah, Eulalia. Eulalia…”
“Vabbè, dai. Mica ricominceremo ancora con queste nostalgie, proprio adesso che siamo giunte in capo a questo fiordo, quassù nella lontana Islanda?”
“Ma te le vedi, Eulalia, le motorette d’oggi sporcarsi i raggi, macinare chilometri allo sfinimento e beccarsi tanta pioggia come quella che abbiamo addosso? A quelle sbarbine, basta arrivare davanti a un bar, imbellettarsi un po’, allargare la ghiera del fanale in uno smile, e farsi quel benedetto cavolo di selfie.”
“Soprattutto pubblicarlo - all’istante-  su Motogram o Motobook, altrimenti a che serve, esistere?”
“Ah, beh. E i motorini, allora? Tutti depilati, oooopsss…  - elaborati - con quella voce da garruli eunuchi, una botta di decalcomanie sul serbatoio, i parafanghi, il parabrezza, dappertutto che… come si chiama, quel modello belga, dal motore ibrido… Naingolan, forse? Che fa due chilometri e dopo ‘sta fermo un mese? Ah, Eulalia mia, non ci sono più i motori di una volta”.
“Già. Manco le mezze cilindrate, Giovanna cara. Ma te la ricordi, la Morini Tre-e-mezzo?”
“Sta zitta, va. Che ancora non l’ho digerita, quella. La odio. Te lo devo raccontare ancora, come mi ha portato via il centauro? Era così bello... prestante… ah, motore, motore, mio… ancora mi manca da morire, sai?”
“E' il minimo. Il minimo, Giovanna.  Datti una regolata. Ancora ci soffri? Sei proprio fuori giri! Che quella marmittona della Tre-e-mezzo se la faceva con chiunque, lo sai, no? E tutti che gli girava la testa, ogni volta che la vedevano passare. Che biella… ma quanto biella… Morini, amorino mio… e tutti a sgocciolarle dietro”.
“Beh, biella era biella davvero… e pure sexy conturbante, con quella posa sempre a V, divaricata al vento.”
“Mondo pistone, Giovanna. Mondo pistone!”
”Vabbè, Eulalia. Parliamo d’oggi. Dell’attualità. Di questi quattro tempi moderni”
“Ho conosciuto un nuovo centauro, l’altro giorno. Si è fatto trasportare fino a Reykjavík”
“Audace e spericolato come Gaston Rahier, Eulalia mia? Quel pilota che sulla nostra sella gli abbiamo fatto vincere due volte la Parigi-Dakar, negli anni ‘80?”
“No, Giovanna, no. Uno più tranquillo. Un uomo posato. Fa lo scrittore, adesso. Prende con calma cose, fatti e persone. Pensa che è pure un ex-magistrato. In un suo recente romanzo, intitolato “Il bordo vertiginoso delle cose…”
“Vertiginoso, Eulalia? Che parola pauroserrima! Ma te lo ricordi, quel tornante sullo Stelvio, che stavi per tirare dritta fuori strada… che burrone! Mica per sterzo! Mamma mia, che sbandata avevi preso!”
“Il bordo vertiginoso delle cose, si. Parla anche di motociclette, come noi. Si sente che è uno che ne sa. Di una Benelli 125, parla…”
“Ah, e adesso, cosa sta scrivendo, il tuo fascinoso centauro?”
“Beh, il libro più recente mi pare sia un dialogo a due voci, tra lui e un insegnante alle scuole superiori, dottore in filosofia. Si intitola “Con i piedi nel fango”.
“Nel fango? Come noi!”
“Si, come noi, Giovanna. Come me e te. “Con i piedi nel fango. Conversazioni su politica e verità”, s’intitola.“
“E che ci hai trovato, di bello?”
“Ah… tante cose, Giovanna, vecchiona mia. Tanta roba, davvero. Ad esempio, dati statistici alla mano, sostiene che il mondo di oggi è migliore di quello del passato. Cita a proposito un famoso storico israeliano, Harari. Tu pensa, ad esempio, che oggi muoiono 24.000 persone al giorno per fame o cause ad essa correlate; vent’anni fa, mentre noi spadroneggiavamo nei deserti sahariani vincendo i rallies motociclistici, erano 41.000, i morti per fame al giorno, nel mondo.”
”Ventiquattromila morti per fame al giorno nel mondo ogni giorno… è un dato sconvolgente, ma impressionante, in senso positivo, è anche il decremento…”
”Senti poi questa, Giò: “Un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni”, così scrive.”
”Ma questa frase non era di De Gasperi, lo statista trentino; oh, ma che belle strade e sterrati abbiamo percorso nell’incantevole Alto Adige?“
”Infatti. Ascolta adesso la seconda parte, meno famosa: un politico pensa al successo del suo partito, lo statista a quello del suo paese.”
”Beh, oggi in realtà il politico medio non pensa nemmeno alle prossime elezioni: pensa al prossimo sondaggio o alla prima risposta da dare su Facebook o Twitter.”
”Bleaahh, Giovanna! E dire che a me e te, manco Motogram o Motobook fanno un baffo, se non s’era capito…”
”Baffo, Eulalia? Dici che sia già tempo di ripassare dall’estetist… ooops: meccanico per il tagliando?”
”Aspetta, Giovanna. Tempo al tempo. Due tempi ai due tempi. Quattro tempi (come noi) ai quattro tempi. Niente anticipo.”
”Vabbè, Eulalia, se adesso però ti rimetti a parlare in motorese, anche qui, davanti all’oceano… sai che non lo sopporto più. Mi fai svalvolare, così, di brutto!”
”Calmetta, Giovanna. Calmetta. Noi due, vecchiette a modo, non possiamo permetterci il lusso di perdere il controllo. Il giusto grip. A queste generazioni di motorette che stanno crescendo, chi ci pensa? Chi indicherà loro la giusta direzione? Niente scoppi d’ira, quindi.”
“S’è fatto tardi. Rimettiamoci in strada, che è ancora lunga, per ritornare a casa.”
”A casa? Intendi Monaco di Baviera? In Germania, dove siamo state partorite?”
”Secondo te, Eulalia, uno può sentirsi a casa solo dove è stato messo al mondo? Dove è semplicemente cominciata, la sua corsa?”
”Non lo so, Giovanna. A me sembra che - tanto più negli ultimi tempi - la gente per strada ci guardi strano… ci consideri vecchie, o che ne so… “fuori”… roba “diversa”, insomma.”
”Eulalia cara, lo sai: te l’ho detto più volte, te lo ripeto sempre: nessuno è straniero, quando ne conosci la storia. Nero, giallo, bianco o rosa. Bello o brutto, giovine o vecchietto, alto o basso. Nessuno è straniero, inutile, diverso, quando ne conosci la storia. E noi due, di storia, ne abbiamo da vendere.”
“Parli come una statista, Giò!”
“Sta’ zitta, che mi monto la testa.”
“Beh… statiste forse ancora no, ma delle gran… stradiste, questo sì!”
 ”Brum, Eulalietta bella!”
“Brum-Bruuum, Giò!”
”Andiamo?”
”Partenza, Giò!”
 
          - una terra promessa –


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IL SALAME SUGLI OCCHI

16/12/2018

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 Chissà perché alcune cose le capisci solo dopo i quarant'anni.
Mica che prima non le sapessi. No, non sto dicendo questo.
E' che è sempre solo l'esperienza, la miglior “professoressa”.
Aiutata da qualche buona lettura, of course.

Tipo il fatto che vivere è cambiare. 
Che quella “cosa” chiamata amore (mi piace paragonarlo a un continente, che ad ascoltare storie e vicende, casi umani e disturbi clinici, va da Madre Teresa a Rocco Siffredi) evolve, si trasforma, si interrompe, ti converte e capovolge, sometimes.

John Bowlby.
Si, l'ho veramente apprezzato solo dopo la mia quarta decade di vita.
Prima ero cresciuto nutrito a Sigmund Fred e cognitivismo, ben conditi da qualche lauta immersione nelle terapie strategiche di origine nordamericana. Poi riscopro questo inglese, con la sua disarmante concretezza. Il suo approccio etologico, cioè basato sull'osservazione naturalistica, lo studio del comportamento dell'animale e dell'uomo seguendo gli stessi criteri con i quali viene condotta la ricerca in altri campi della biologia. Senza partire da modelli filosofici o sovrastrutture interpretative a-priori.

Il concetto è semplice: si chiama Attaccamento.
L'attaccamento non è una scelta. E' un motore, una forza vitale che orienta tutta la vita degli individui. Innesca la ricerca della prossimità. Da quando veniamo al mondo fragili e indifesi, bisognosi di ogni cosa e di ogni cura, a quando ci innamoriamo e rendiamo quella persona la cosa più preziosa al mondo. Unica, irrinunciabile. Senza di lui/lei, ci par di morire. 

Poi di fatto giunge davvero, inesorabile e spietata per chiunque, l'ora della morte. 
Per chi amiamo, per chi ci ama. Per noi. 
Si, l'amore è una questione di sopravvivenza. 
Hai mica fatto caso come  espressioni del tipo: “Ti amerò per sempre”; “Non ci lasceremo mai”; “Me & You forever” contengano – tutte – una sfida all'eternità?

La sua opera principale, John Bowlby l'ha intitolata così: “Attaccamento e Perdita”. Medico, psicologo, psicoanalista. Tre volumi sul rapporto madre-bambino, che si rivela il paradigma dei futuri stili, anche nelle relazioni adulte di coppia: attaccamento sicuro, ambivalente, evitante.

Insomma, per farla breve, mi sono ritrovato tra le mani in questi giorni un libro, scritto da un veterinario comportamentista. Una rivelazione. Tra le pagine migliori che mi sia capitato di leggere negli ultimi tempi: “Anche gli animali amano” di Claude Béata. Un francese. Che poi sia anche sessuologo, lo si capisce seguendo le sue appassionanti descrizioni e considerazioni.

Tipo questa: 
“Allora, cerchiamo di riassumere: dopo l'alchimia dei primi secondi dell'incontro, eccoci qua. La connessione è stabilita. Vi state innamorando. Questa persona, qualche secondo fa ancora sconosciuta, vi sembra preziosa e differente. La sua voce, il suo odore, la forma delle sue mani, il suo sguardo vi fanno sentire bene come non mai (un  fiotto di dopamina invade il nucleo accumbens). E, anni dopo, sarete ancora capaci di descrivere ciò che indossava quel giorno, la sciarpa che aveva annodata al collo, ciò che aveva bevuto, il colore della carta da da parati  del luogo luogo in cui vi siete incontrati (è l'aumento del tasso di noradrenalina nei centri della vigilanza che vi rende ipersensibili al contesto e ai dettagli). Ma questo non basta a caratterizzare lo stato amoroso: bisogna anche diventare ciechi nei confronti dei difetti. Quella pronuncia blesa, il fatto che sia di bassa statura mentre a voi piacciono gli spilungoni, le dicerie che vi sono giunte all'orecchio, tutto ciò che avrebbe dovuto essere redibitorio sparisce semplicemente (il tasso di serotonina è crollato nelle zone corticali dello spirito critico). Eccovi ipnotizzati da questa voce calda, da quegli occhi di velluto, da un profumo che per anni risveglierà il vostro desiderio, da una pelle che siete sicuri sarà dolce al tatto (sensibilizzati dalla dopamina, i recettori dell'ossitocina adesso sono stimolati e cominciano a stabilire il legame).  Vi sentite bene, euforici e ciò sarà ancor più vero dopo aver fatto l'amore, se non sarà successo nulla che guasti la festa (l'ossitocina e le endorfine si associano in quel momento). A partire da questo istante, eccovi agganciati! E non uso questa parola a caso: le endorfine, lo sapete, sono degli analoghi endogeni della morfina,della famiglia dell'eroina. Dal momento in cui siete di nuovo soli, non avete che un'idea in testa: ricominciare, ritrovare colui o colei il cui contatto scatena questo stato di beatitudine, la cui assenza provoca un dolore”.

Nel corso del tempo, l'innamoramento tende a sfociare nell'attaccamento. Mica si può restare drogati tutta vita, no? O meglio: anche qui, l'assuefazione e la tolleranza  (fenomeno per cui l'individuo consumatore deve aumentare progressivamente la dose per ottenere lo stesso effetto) la vincono. 
L'attaccamento ha un orizzonte, che è il distacco. La fascinazione della madre per il bimbo piccolo, l'annichilimento dello spirito critico per gli innamorati: tutto ciò ha un termine che corrisponde all'accesso alla maturità dopo l'adolescenza, per il ragazzo; alla transizione riuscita tra due forme di relazioni positive (l'innamoramento prima, la stabilità dell'amore emozionale, poi), per le coppie di lungo corso. 

La sai quella del trentesimo presidente degli Stati Uniti che si reca in vistita con la First Lady a una fattoria sperimentale patrocinata dal governo? Un fatto realmente accaduto,  mica no. Calvin Coolidge, si chiamava. Da qui, quello che in psicologia viene denominato, appunto, l'”effetto Coolidge”. La storia vuole che la moglie di questo importante personaggio notasse un gallo che si accoppiava molto frequentemente. Chiedendo al fattore quanto spesso avvenisse il fatto, le venne risposto “dozzine di volte al giorno”. “Lo dica al signor Coolidge,” replicò la First Lady. Il Presidente, informato della cosa, chiese a sua volta: “Ma ogni volta con la stessa gallina?”. “No,” rispose il contadino, “ogni volta con una gallina diversa”. “Lo dica alla signora Coolidge!” disse il Presidente. 

Vabbè, per oggi ne ho scritte abbastanza.

     - ah, la felicità -

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SORRISI e CANZONI, DI PIÙ

1/12/2018

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Lo sai perché le lancette degli orologi, nelle pubblicità, segnano sempre le 10,10?
No?

Prova a controllare in qualsiasi gioielleria o – se ti fa più comodo – cerca in qualche sito tipo Amazon o eBay.
Adesso, subito, nel medesimo display dove stai leggendo questo post.
Visto?

Il motivo, te lo spiega la Gestalt (che significa “psicologia della forma”). E' la posizione delle braccia aperte. E' l'espressione del sorriso.

Vuoi mai che, per invitarti all'acquisto del prodotto, l'immagine vada a solleticare gli angoli bui e tristi del tuo inconscio ove abitano le paure, le chiusure, la diffidenza sospettosa?
No, queste strategie lasciale ai politici del Quaquaraquà. Tipo quelli attualmente in auge.

Non mi metto a descrivere, adesso, le ragioni per cui fin dai primi anni del 1900, negli Stati Uniti, la psicologia è stata largamente utilizzata nel marketing.
Tutto sommato, le regole-base rimangono sempre le stesse: capire e soddisfare bisogni e desideri del proprio target; far leva sulle emozioni utilizzando storie e immagini che parlino al cuore e alla pancia; mostrare che altri hanno già acquistato quel prodotto o stanno già facendo quella cosa; dichiarare che ne rimane una disponibilità limitata o che la possibilità di ottenerlo a condizioni vantaggiose è solo per un determinato periodo di tempo, ecc...

No, non è questo che mi interessa, stasera.
Mi piace piuttosto pensare al fatto che la direzione verso la felicità è quella dell'apertura, non della chiusura. Si, come la storia delle lancette dell'orologio. Anzi, di più.

René Arpad Spitz. Austriaco naturalizzato statunitense. Si occupa dapprima di bambini ospedalizzati. Poi arriva a descrivere quelli che conosciamo come i “tre organizzatori” dell'Io: la comparsa del sorriso attorno al secondo mese di vita del neonato, la reazione di angoscia di fronte al volto di un estraneo all'ottavo, la comparsa del “NO” sistematico attorno ai due anni.

Cosa organizzano, di bello, questi comportamenti?
La struttura della personalità, hai detto niente!

La comparsa del sorriso (attorno ai due-tre mesi) segna il passaggio dalla sola necessità di soddisfazione dei bisogni istintuali alla percezione che “fuori” esiste un mondo: il principio di realtà inizia a funzionare.

La reazione di angoscia di fronte a un viso che non sia quello della madre o di una figura nota, attorno all'ottavo mese, segnala una prima capacità di riconoscimento e di discriminazione tra figure “sicure” e quelle che non lo sono (tutti gli altri).

Il “NO” eretto a sistema (due anni, circa) si basa su alcuni riflessi innati, tipo quello cefalogiro (il bambino si dirige o allontana verso il capezzolo del seno o il biberon a seconda della propria fame o sazietà). Nello stesso tempo il “no” costituisce la prima acquisizione concettuale puramente astratta del bambino: gli consentirà l’accesso al mondo simbolico, come le parole che progressivamente va conoscendo e acquisendo.

Certo, chiunque sia diventato genitore per aver messo al mondo dei figli propri, o adottando un bimbo destinato all'insignificanza, che è la stessa cosa, sa bene quanta pazienza occorra al mestiere.

Quanto più efficaci risultino i sorrisi (“rinforzi positivi”, li chiamano i comportamentisti) rispetto alle sberle e alle “messe in castigo”.
Come sia arduo, talvolta, affrontare, gestire, rassicurare ed educare questi benedetti “NO” che i bimbi producono, per partito preso...

Penso a come, in fondo, tutti noi veniamo al mondo grazie a una scintilla.
D'amore, di passione, d'incoscienza o tutte queste cose miste assieme, che scattano - chissà come e perché - tra un uomo e una donna.
Una sfida all'estinzione della specie. Alla sterilità.
Alla morte, per dirla tutta.

Nasciamo programmati all'apertura, alla propulsione, all'espansione.
Al sorriso, alle braccia aperte.
Poi dobbiamo attraversare le crisi (“crisi” = “passaggio”) della crescita. Che significa sopravvivere a qualche frustrazione. Utilizzarla come materiale di costruzione. Imparare dalle difficoltà. Sfuttarle per affinare intelligenza, intuito, sensibilità. Cuore e sentimenti, magari.

Invece qualcuno non ce la fa, e si lascia ghermire dalle paure, dall'ansia, dal panico sociale.
Dallo spavento di fronte alle diversità.

Come dici?
Che ci sono mestieranti specializzati in questo senso, e pure prendono voti alle elezioni, in tempi di crisi economica e sociale?

Beh, non è una novità. Pensa che Hitler, nel 1943, è andato al potere con il 43% dei consensi.
Sfruttando esattamente – Goebbels docet – questi meccanismi.

Qualcuno si accontenta di questo. Gli basta così.
Tu, invece, hai capito perché a me piace, la pubblicità dell'orologio?

https://www.youtube.com/watch?v=MamyDyLlAeY


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BOTTE DA ORBI

15/9/2018

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Non ero mai riuscito a capire come i pugili non ce la facessero a rialzarsi, sia pure dopo un titanico fendente che li aveva fatti stramazzare al suolo. Pensavo fosse una finzione, più o meno cinematografica. Davvero.

Hai presente Maggie, in "Million Dollar Baby"?
Li stende tutti, in pochi istanti. Poche zampate, di quelle giuste, magari sul naso, e l'avversaria a terra, senza scampo. Immobile. Stordita. Fessa.
Fino a quando incontra Billie, "The Blue Bear".
Il finale è tragico. Il film, magnifico.

Si, credevo fosse tutta una sceneggiata.
Fino a quella volta in cui, incespicando sugli sci, ho battuto la testa, cadendo sulla nuca.
Per fortuna avevo il casco.
È una brutta sensazione, decisamente.
Il cervello invia l'ordine: "Rialzati!". “Subito!”.

Le gambe non rispondono. Se ne infischiano, altamente.
Deve passare un po' di tempo. Quello necessario alle vie neurali per riconnettersi.

Lo spiegano così: quando la testa è soggetta a una accelerazione molto violenta, il cervello, che non è “fissato” nella scatola cranica, oscilla leggermente e questo provoca un rilascio massiccio di neurotrasmettitori. Se il trauma è abbastanza forte, le aree cerebrali interessate sono talmente tante da provocare un sovraccarico per il lavoro del cervello che fa quello che fa un computer quando si imballa: riparte dopo un "reboot”.
Durante questo reboot il cervello è sostanzialmente incapace di gestire qualunque cosa non sia completamente automatica come il respiro o il battito cardiaco: in particolare l’equilibrio e il tono dei muscoli volontari vanno a farsi benedire e crolli, come un sacco di patate.

Da certe botte ti rialzi, e tutto sommato passa presto.
Altri colpi rimangono dentro più a lungo.

Alcuni, addirittura, riaffiorano.

Lo si chiama PTSD.
“Disturbo Post Traumatico da Stress”, nella dicitura italiana.
L’American Psychiatric Association (APA) dà un elenco dettagliato dei sintomi che lo costituiscono. Compaiono solitamente entro tre mesi dal trauma. In qualche caso anche più tardi. Sono classificabili in tre categorie:
• episodi di intrusione: le persone affette da PTSD hanno ricordi improvvisi che si manifestano in modo molto vivido e sono accompagnati da emozioni dolorose e dal ‘rivivere’ il dramma. A volte, l’esperienza è talmente forte da far sembrare all’individuo coinvolto che l’evento traumatico si stia ripetendo.
• volontà di evitare e mancata elaborazione: l’individuo cerca di evitare contatti con chiunque e con qualunque cosa che lo riporti al trauma.
• ipersensibilità e ipervigilanza: le persone si comportano come se fossero costantemente minacciate dal trauma.

Se ne esce?
Certo che si.
Con i rimedi giusti.
Qualcuno con cui parlarne. Nel contesto appropriato. Si chiama "elaborazione del trauma" .

Anche con un sostegno farmacologico, quando serve.

Ah, e con un pizzico di ironia, magari. Che non guasta mai, anzi.

La sai quella del tizio che doveva sottoporsi a una rischiosissima operazione chirurgica, per la quale il tasso di sopravvivenza era di un paziente su cento?
Si reca – al terror panico – dal chirurgo che, con fare serafico, gli fa:
“Caro signore, stia sereno”.
"Come, stia sereno: il tasso di sopravvivenza a questo intervento è di un paziente su cento!".

“Stia assolutamente sereno, le dico: ne ho operati novantanove questo mese, e sono tutti morti”.

- todo pasa -

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E SCUÒE ALTE (HIGH SCHOOL SUPERLATIVES)

4/9/2018

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Alla cassa per il pagamento automatico, ospedale di Piove di Sacco.
Una banale rx toracica, niente di che.
La solerte signora di una certa età, volontaria, sicuramente pensionata o ex-casalinga a buon punto nel percorso junghiano di individuazione verso l'Eroe, si spende a spiegare al paziente che mi sta davanti la procedura che prevede lettura ottica del codice a barre - inserimento del contante o della carta di credito - digitazione del pin.

Ma chi l'ha detto che questi “immigrati digitali” risultino meno valenti dei nativi?

Che poi, quando ti rechi all'ospedale “sotto casa”, e in aggiunta hai un fratello farmacista, i tempi di percorrenza – al minimo – si quadruplicano. Trovi mezzo mondo, che ti conosce. E ti ferma. E ti racconta.

Ecco, dovevate vedere l'espressione nella faccia del quarantenne - probabilmente un rappresentante purosangue dell'indigeno medio – quando ha appurato basito che i consigli della nonnina funzionano davvero! Che l'aveva tolto d'impaccio, come per magia!
“Siora, pare quasi che ea gàbia fàto e scuòe alte, ea!”

Niente, mentre aspetto che la febbre scenda, sorrido divertito di fronte ai paradossi dell'esistenza.
Mi piace pensare con quanta facilità, non appena ci troviamo in situazioni di bisogno (qui il vernacolo del profondo veneto prevederebbe un'altra espressione, molto più pregnante, epperò la netiquette che adotto nei social me la impedisce) tante categorie di giudizio semplicemente si rovescino.
Sulle persone, sul mondo, sulla politica.

Ricordo quanto ho letto in un post di un amico musicista (uno di quelli bravi, ma bravi davvero, e meritatamente famoso, per questo) quando scriveva che la cosa più probabile che ci possa capitare è di morire su un letto dove se n'è appena andato un albanese, magari assistito da una badante rumena, curato da un medico del Camerun.
E allora in quel momento, anche ricordando De Andrè, sarà una sola la parola che ci uscirà di bocca, forse con l'ultimo fiato.
Non saranno quelle idiote, trasudanti risentimento ed egoismo, che si leggono in certi post.
No, non saranno quelle.

Sarà una sola: “aiutami”.
“Aiutami”.

E qui mi fermo, un po' perché la febbre sta salendo di nuovo, un po' perché è sempre e solo l'esperienza che insegna. Non i discorsi o le orazioni via social, come questa mia.

“Usus Magister Egregius” diceva Plinio il Giovane, avvocato, scrittore e magistrato romano.

Come dargli torto?

- un viaggio incredibile -


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E I MARO'?

29/7/2018

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La scena, è quella vissuta mille volte.
Due bimbi, un giocattolo nei pressi.
I mocciosi giocano a qualcosa. Non importa cosa.
A un certo punto, uno adocchia un balocco, finallora inosservato.
Ci corre incontro, se lo acchiappa.
Solo a quel punto l’altro piglia a frignare - più forte e stridulo se d'intorno scorge un adulto - dando stura alle lagne:
“Perché lui sì e io no?”
“Maestra, l’ho visto prima io!”
“Prima i Vittorianiiii !”
(Vittorio è il nome di battesimo del frignante, l’altro all’anagrafe fa Italo, ndr.)
 
Ecco, ho appena finito di scrivere la ndr., che il marmocchio con il giocattolo in mano, ben stretto e saldo, principia a rivendicare:
“E-allora-gl'Italiani?”.
 
L’invidia è il desiderio, patologico e senza età, di possedere ciò che ha un’altra persona, non per le qualità di quel bene, ma semplicemente perché è dell’altro.
In psicanalisi, Jacques Lacan lo descrive come una delle declinazioni del Desiderio: il desiderio invidioso. L’oggetto (automobile, casa, vestito, smartphone-ultimo-modello) non ha valore in quanto tale, bensì perché goduto da un altro.
Che, per ciò stesso, si trasforma in rivale.
Una guerra tra poveri (nevrotici), molto spesso.
 
Nel linguaggio giornalistico, con be·nal·trì·ṣmo si definisce l'atteggiamento di chi elude un problema sostenendo che ce ne sono altri, più gravi, da affrontare.
 
L’esperienza clinica fornisce quotidianamente conferma su quante persone siano sempre più sole e inseguano frustrate la propria autoaffermazione, senza dar valore al legame con l’altro.
«La psicoanalisi insegna che dietro il gesto di Caino che uccide Abele c’è Narciso: l’invidia, cioè, nasce dall’attaccamento eccessivo al proprio Io. Per chi è infatuato di sé, l’altro crea disturbo e genera aggressività», ricorda Massimo Recalcati.
 
Si, è vero: talora sono condizioni oggettive di bisogno, di povertà, a generare l’invidia.
“Una sedia a rotelle fatta viaggiare a una velocità ingovernabile”. Così Lacan raffigurava un'economia non-sostenibile, che già cinquant'anni fa considerava destinata fatalmente a scoppiare.
 
Ma davvero l’esito obbligato di tutto ciò è inevitabilmente l’astio, l'odio, l’invidia rancorosa?
 
Mio padre, che negli anni ’60 del secolo scorso - quelli del boom industriale - ha fatto fortuna come imprenditore, dopo essere partito come semplice operaio alla “Torpado”, la fabbrica di biciclette, mi raccontava spesso della sua infanzia.
Di come mio nonno, fattore agricolo nella campagna veneta, rimasto improvvisamente senza lavoro, rammendasse silenziosamente e di nascosto di notte, con pezzi di cartone, i buchi nelle suole delle scarpe dei tre figli. Perché al mattino potessero camminare fino a scuola. Mi raccontava, mio padre, delle scarse fettine di salame tagliate con religioso scrupolo dalla nonna, tutta la famiglia in silenziosa attesa attorno alla tavola. Poca polenta, e così sottili e trasparenti, quelle fettine, “che ci vedevo la faccia di mia sorella dall’altra parte”.
Gli anni della guerra, della miseria, della fame, sì.
Eppure un posto a tavola lo si trovava sempre, per chiunque, se necessario.
Sfollati dalle città, causa le bombe. Fuggivano da distruzione e morte.
O i reduci dal fronte, sulla via del ritorno a casa, in lunghe file a piedi, una volta che i combattimenti ebbero a cessare.
 
Si chiamava solidarietà.
Si chiamava consapevolezza di quanto preziosa fosse la libertà.
Tanto quanto il cibo, forse più.
 
Ben l’aveva sperimentato l’altro mio nonno, Remo Rossi.
Gestore di una bottega di “casoìn” (alimentari, in dialetto veneto) in un paesino chiamato Bronzola, frazione di Campodarsego, provincia di Padova. Catturato in un rastrellamento dai fascisti, per rappresaglia, assieme ad altri nove.
E a mia mamma, allora una ragazzina undicenne, che si era aggrappata ai pantaloni del padre mentre lo portavano via, urlando tutta la sua disperazione.
Li hanno tenuti chiusi, gli uomini, per dieci giorni nella caserma di Camposampiero.
Li avrebbero fucilati, tutti, se i partigiani non avessero rilasciato colui che avevano catturato.
 
Che bene prezioso, la libertà di pensiero e di espressione. La libertà di usare la propria testa. Di dissentire con un regime fatto di arroganza e protervia, di squadrismo vigliacco e bullista che avrebbe portato, nel giro di pochi anni, l'Italia allo sfacelo civile ed economico. Alla sconfitta politica e umanitaria.
 
Si, una brutta bestia, il benaltrismo. Un suicidio dell’intelligenza.
Eppur virale, quando alla solidarietà e alla fratellanza si sono sostituiti il narcisismo e lo sterile culto delle apparenze.

Quando la spinta al godimento diventa compulsiva e non conosce limiti, quando l´avidità non ha più fondo, è la stessa idea di comunità che viene meno. Per dirla in termini psicoanalitici, è la pulsione di morte che prevale e travolge la dimensione del legame sociale.

Uno strumento eccellente, oggi, il benaltrismo, per il qualunquismo populista. Che così da vicino riprende la retorica comunicativa che fu l'arma tossica e letale del ventennio fascista.
Come di ogni totalitarismo, del resto.
Sono nomi precisi, oggi, quelli delle agenzie generatrici di fake-news date in pasto a quegli utenti (o “webeti”, come li chiama Enrico Mentana) che le condividono senza il minimo senso critico: Sputnik News Italia, legata ai sevizi russi di dis-informazione, per citare una delle più attive sul fronte politico, o le varie WasArrested, Channel23news, Fakelot, Clonezone,  Fodey, BreakingNews Generator che consentono a chiunque di confezionare “ad hoc” pagine dalla veste giornalistica credibile, qualunque sia il livello di falsità o calunnia inseritovi.

Il be-nal-tris-mo mi ricorda anche un ingenuo giochetto non-sense che ci si divertiva a fare all'età delle scuole medie, quando volevi prendere in giro le ragazzine - fingendoti più intelligente - e chiedevi loro: “Ascolta, bellezza: corre più forte il treno, o è più bianco il latte?”
Inutile dilungarsi su come finisse la scenetta, non appena la graziosa superava l'attimo di smarrimento, dietro quegli occhioni basiti.
Male, finiva, decisamente molto male.
Finiva che partivi credendoti figo, e finivi sapendoti “mona”, per usare il termine veneto più pertinente, seppur non sempre traducibile in lingua italica con univocità di significati.
 
Ah, sai cosa mi ripete sempre mia mamma, che di anni oggi ne ha ottantasei?
Così, mi dice:
“Se mi chiedete qual è stato il giorno più felice di tutta  mia vita, quello in cui ho provato la gioia più grande di tutte,  è stato quello in cui ho visto arrivare i carri armati americani nelle strade di Bronzola. Eravamo tutti pazzi. Pazzi di gioia”.
​

    - non farti cadere le braccia -

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    Noneto Circin

    La parola, il suono, l’immagine, sono l’oggetto dei miei interessi nel tempo libero. 
    A volte, tentano di diventare voce. 
    Nella scrittura, nella musica, nella fotografia. 
    Per passione, per divertimento.
    Insomma, per una delle cose più serie nella vita: il gioco. 
    Tramite i tasti di un pianoforte, una penna che scorre veloce, le lenti di un vecchio obiettivo. 


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