Sono nato, in una terra di artigiani.
E' domenica pomeriggio e sto passeggiando lungo le vie di Padova, tra poche ore è Natale.
Guardo le luminarie, e penso che ci sono mestieri che dispongono di una vetrina. In tutte la parti del mondo. Si tratta perlopiù di falegnami, maestri del vetro, calzolai...
Altri non si mettono in mostra. O, per meglio dire, le loro botteghe consistono nelle realizzazioni medesime. Le pareti degli imbianchini, le carrozzerie dei meccanici e restauratori, le tende dei tappezzieri...
Talvolta capolavori a chilometro zero. Altre, opere più ordinarie. In ogni caso vi è stata riversata attenzione, perizia; non di rado fatica e sudore.
Si, è vero: da queste parti, in quelle che furono paludi dell'entroterra veneziano, l'arte di arrangiarsi ha costituito da sempre una virtù. Il valore aggiunto che ha consentito a molti, con un pizzico di iniziativa specialmente negli anni dell'onda economica portante, di costruirsi delle piccole fortune.
Come minimo, un benessere.
O un ben-avere, più probabilmente.
Casa/capannone. Ricordo come questa architettura diffusa nella campagna padovana sconvolgesse un mio amico bolognese, venuto a trovarmi poco tempo fa.
Mi trovo adesso in via Altinate. Esco da una visita alla mostra di un amico che realizza quadri lignei di una impressionante bellezza e originalità, componendo con talento e fantasia pezzi di imbarcazioni sfasciate raccolte lungo il Delta del Po.
Attraverso la strada, entro nella libreria dirimpetto.
Caspita, mi dico, anche qui trovo esposte opere di artigiani.
Dentro questa bottega, il materiale è la parola.
Lo strumento, la lingua italiana.
Il banco di lavoro le idee, i pensieri.
Mi raffiguro le finestre che illuminano i loro laboratori: vedo entrare - sempre mutevole e cangiante - la luce delle emozioni. Ora intensa, squillante e forte. Altre volte sbrillucicante, incerta o francamente spenta.
Ci trascorrerei intere giornate, qui dentro.
Può bastare una vita sola, a leggere tutti i libri che uno vorrebbe?
Due tra tutti, mi colpiscono e mi soffermo a sfogliare. “Sul lettino di Freud” di Irvin Yalom, ultimo romanzo edito di uno dei miei scrittori preferiti. Già autore de “Le lacrime di Nietzsche”; “Il problema Spinoza”, “La cura Schopenhauer”.
L'altro, un testo “per ragazzi curiosi”, come recita il sottotitolo. Curato da Umberto Galimberti.
Il titolo è “Perché? 100 storie di filosofi”. Un libro illustrato, tanto semplice quanto chiaro e accattivante. Strutturato seguendo l'efficace e collaudato stile delle domande-risposte, racchiude in sintesi il profilo biografico del pensatore e le idee-chiave della sua rappresentazione del mondo. Riflessioni sul senso dell'esistenza, sulla politica, sulle paure e l'esercizio critico dei pensieri.
Ciò di cui si occupa la filosofia, in sostanza.
Formare artigiani del pensiero. Capaci di tenere assieme razionalità ed emozioni, senza che l'una uccida le altre, e viceversa. Ho sempre pensato dovrebbe consistere in questo, il compito della scuola. Di questi tempi, un ruolo fondamentale. A smascherare l'inganno del fomentare torbido il vento oscuro e irrazionale delle paure, al fine di trar vantaggio dalla tempesta delle difese semplicistiche, egoiste e irrazionali. Uno stratagemma della retorica, peraltro. Vecchio quanto il mondo.
Mi piacciono queste piazze di ogni città, stracolme di migliaia di persone, dove esattamente di questo “artigianato”, si parla, si evoca, si fa memoria, si pubblicizza e si rappresenta.
Belle piazze di gente, che torna - finalmente - a liberare la Parola dalla compulsione, il Desiderio dall'angoscia mortifera, la Legge dall'alienazione, per dirla con gli arnesi della psicanalisi.
Belle, perché?
Apri lo sguardo - e l'ascolto - a questo lavoro di un poeta, e pure cantautore:
“Perché le idee sono come farfalle
Che non puoi togliergli le ali
Perché le idee sono come le stelle
Che non le spengono i temporali
Perché le idee sono voci di madre
Che credevamo di avere perso
E sono come il sorriso di Dio
In questo sputo di universo”
- chiamami ancora amore -