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NON TI SCORDAR DI ME

26/1/2021

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Foto
Certo che è incredibile. Che quando ti becchi un tumore, le cellule più energiche, più floride e rigogliose nel tuo corpo diventano quelle neoplastiche. Non quelle che ti mantengono sano, vivo e vegeto, bensì quelle della massa cancerosa.
Che, alla fine, ti ammazza.
E crepano pure loro, assieme a te.
“Mors tua, e anca mia”, alla fine della fiera.
 
Vabbè, ma io volevo parlare della memoria.
Che domani è un giorno importante.
 
La memoria. La “capacità di codificare, immagazzinare e recuperare le informazioni”. Così trovi scritto in qualunque manuale di psicologia generale. Generalmente, la si tratta nel primo anno di corso.
 
Questa la definizione classica. Con il progredire degli studi cognitivisti abbiamo sviluppato la consapevolezza di come la nostra mente sia sempre inevitabilmente radicata in un corpo (embodied mind). In un contesto sociale e relazionale. Abbiamo capito che, più ancora dei fatti e degli eventi in se stessi (cronaca), è l’ambiente nel quale siamo immersi, la cornice in cui vengono inseriti, a condizionare i nostri ricordi e l’interpretazione che a essi forniamo.
In pratica, ciò che chiamiamo “verità” è un quadro ridipinto sulla base di emozioni, suggestioni, percezioni selettive.
 
Italia, anno 2021 dopo la nascita di Nostro Signore. La pandemia ci sta logorando, stressando, frammentando. Basta che guardi la faccia della gente. In cassa al supermercato, dentro i finestrini delle automobili ferme al semaforo. Che ascolti i discorsi per strada, i commenti al mercato o fuori dalla chiesa, terminata la messa della domenica. Che leggi i post nei social. Siamo stanchi, frustrati, facilmente irascibili. Alcune scene di vita quotidiana mostrano una sorta di guerra tra poveri, o presunti tali. Il barista lavoratore autonomo che si scaglia contro lo statale. Che ha lo “stipendio garantito”. Il giovane partita IVA che non trova sbocchi occupazionali, che deride il pensionato “boomer” che pure si lamenta della sanità, a suo dire inefficiente.
E’ qui, esattamente in questa palude di lagnanze e malumori, che si inseriscono e ci sguazzano i leader populisti. Sempre, è stato così. “Prima la razza ariana!”. “America First!”. “Prima gli italiani!”. “No, i nord-coreani!”. “La Grande Russia!”. “L’orgoglio turco!”. “La Jihad contro gli infedeli!”.
Come le cellule del tumore. Che pensano di sopravvivere a scapito delle altre.
I demagoghi padroneggiano molto bene queste dinamiche. Alimentandole, soffiando sul fuoco.
Credono a loro convenga così.
 
Berlino, 30 gennaio 1939 dopo Nostro Signore. Nel celebre discorso tenuto davanti al Reichstag, il parlamento tedesco, Hitler annuncia per la prima volta in modo esplicito lo sterminio degli ebrei.
Come lo giustifica?
Secondo una tecnica semplice e psicologicamente ben collaudata: trova il colpevole.
O costruiscitelo, che è ancor meglio.
Individua un “responsabile”, attribuisci a lui l’infamia, e le tue azioni diverranno non solo condivisibili, ma addirittura doverose: “Se il giudaismo della finanza internazionale, in Europa o altrove, riuscirà ancora una volta a gettare i popoli in una guerra mondiale, il risultato non sarà la bolscevizzazione della terra e la vittoria del giudaismo, ma l’annientamento della razza ebraica in Europa“.
 
Ricordi cosa sono state le Einsatzgruppen? Come hanno agito?
Diamo la parola, in questa ricostruzione, ai giornalisti Marcello Strano e Paolo Mieli, quest’ultimo già direttore de La Stampa e del Corriere della Sera (documentazione video disponibile anche su RayPlay a questo indirizzo: https://www.raiplay.it/video/2021/01/La-Grande-Storia-doc-Einsatzgruppen---Le-squadre-della-morte-di-Hiltler-5da8bcb3-3e07-4ea1-9671-5d04e03b7231.html )
 
Le Einsatzgruppen erano dei reparti speciali voluti da Hitler, composti da uomini delle SS, della polizia tedesca e della Wehrmacht, che operarono nel corso della Seconda guerra mondiale. Furono impiegate prevalentemente in Unione Sovietica, Polonia, Ungheria, Ucraina e Paesi Baltici, dove svolsero un ruolo fondamentale nello sterminio degli ebrei. Infatti, il loro compito principale, come da testimonianza resa nel corso del processo di Norimberga, era l’eliminazione di ebrei, zingari e avversari politici, mediante fucilazioni di massa, l’utilizzo di autocarri convertiti in camere a gas e di lager per l’uccisione di massa.
 
Gli ebrei andavano eliminati senza alcuna speranza di salvezza perché ritenuti a capo delle strutture sovietiche. Le Einsatzgruppen appena arrivavano nelle città emanavano decreti con l’ordine a tutti i cittadini ebrei di presentarsi in un punto di raduno dove sarebbero stati ricollocati in altre località per adempiere al servizio di lavoro obbligatorio. E per chi non si fosse presentato sarebbe stato ucciso. Così, gli ebrei furono ingannati dalla speranza del reinsediamento per sopravvivere.
 
Quindi venivano radunati e trasferiti in zone già selezionate. Dopo di che, si procedeva all’eliminazione di piccoli gruppi e alla sepoltura in fosse comuni di migliaia di persone. Le vittime venivano condotte nelle fosse già scavate, gli ordinavano di spogliarsi completamente, in modo da inviare i vestiti agli enti assistenziali tedeschi e alla popolazione non ebrea. Rimanevano nudi al bordo delle fosse dove i tedeschi spesso ubriachi li uccidevano a colpi di mitragliatrice o di pistola. Gli ordinavano pure di sdraiarsi sopra altri cadaveri prima di destinarli alla stessa sorte. I neonati venivano lanciati in aria come bersagli per essere uccisi, perché secondo i nazisti non erano in grado di trattenere la pallottola e ciò avrebbe causato pericolosi rimbalzi sul terreno.
A volte alcune vittime non morivano subito, ma venivano solo ferite e quindi si seppellivano ancora vive quando la fossa veniva ricoperta. Alcuni fortunati fingendo di essere morti e trovandosi sepolti vicino alla superficie delle fosse comuni riuscirono a fuggire durante la notte.
 
Durante le uccisioni di massa si riscontrarono alcuni crolli psicologici nelle file delle Einsatzgruppen. I vertici nazisti per combattere tale fenomeno inviarono razioni supplementari di alcolici, così da rendere i carnefici completamente ubriachi mentre eseguivano gli ordini. Ma ciò non impedì numerosi casi di internamento presso case di cura psichiatriche e diversi suicidi tra le unità operative. Himmler, preoccupato per l’emergere di molti casi nelle SS, diede ordine di trovare nuovi metodi di sterminio, tra cui le Gaswagen. Erano autocarri camuffati da ambulanze di due diverse dimensioni, una da 140 e l’altra da 90 persone. Si caricavano le vittime sul piano di carico e si trasportava l’orribile carico fino al luogo della sepoltura. La morte sopraggiungeva generalmente dopo 15/30 minuti ed eventuali superstiti venivano freddati con un colpo alla nuca.
 
Ecco.
Quale memoria “embodied mind” conserviamo, al giorno d’oggi, di questi abomini?  
E di innumerevoli altri, tra cui le fosse comuni di Srebrenica, a due passi da casa nostra, nella guerra serbo-bosniaca di soli pochi anni fa? Dei genocidi in Rwanda, del popolo armeno, e di quello curdo, e di quello ucraino ad opera di Stalin? E in Congo, Cambogia, e gli stermini degli oppositori politici in Cile, Argentina, e i massacri degli indiani d’America? In gran parte avvenuti nel “secolo breve”, il Novecento da poco tramontato?
Davvero può bastare la retorica di qualche arruffapopolo senza mestiere come quelli che passano quotidianamente in tv, i populisti “acchiappalike” delle parole a vanvera, per rischiare di farci precipitare nuovamente in questi abissi della “banalità del male”?
 
Grottesco, ma purtroppo è accaduto, che tra i manifestanti pro-Trump che hanno assalito il Campidoglio degli Stati Uniti il 6 gennaio scorso sventolassero bandiere con la croce uncinata, simbolo della “soluzione finale”, il delirio più macabro che l’umanità abbia prodotto.
 
E poi vedi una ragazza di 23 anni, una che da piccola ha sofferto di disturbi del linguaggio e dell’elaborazione uditiva. Cresciuta da una mamma single, quindici giorni dopo sale sul palco, davanti al medesimo palazzo, a Washington. Si celebra l’insediamento del nuovo Presidente. La ragazza si chiama Amanda Gorman, è una brillante studentessa di Harvard. Ha già vinto diversi premi e ottenuto riconoscimenti di prestigio in ambito letterario. Fiera e consapevole della sua forza gentile, davanti a milioni di persone collegate in tutto il mondo, declama questi suoi versi:

"Noi abbiamo sfidato la pancia della bestia.
Noi abbiamo imparato che la quiete non è sempre pace,
e le norme e le nozioni di quel che «semplicemente» è non sono sempre giustizia.

Eppure, l’alba è nostra, prima ancora che ci sia dato accorgersene.
In qualche modo, ce l’abbiamo fatta.
In qualche modo, abbiamo resistito e siamo stati testimoni di come questa nazione non sia rotta,
ma, semplicemente, incompiuta.

Ci stiamo sforzando di dar vita ad un Paese che sia devoto ad ogni cultura, colore, carattere e condizione sociale.
E così alziamo il nostro sguardo non per cercare quel che ci divide, ma per catturare quel che abbiamo davanti.

Colmiamo il divario, perché sappiamo che, per poter mettere il nostro futuro al primo posto, dobbiamo prima mettere da parte le nostre differenze.
Abbandoniamo le braccia ai fianchi così da poterci sfiorare l’uno con l’altro.
Non cerchiamo di ferire il prossimo, ma cerchiamo un’armonia che sia per tutti.

Lasciamo che il mondo, se non altri, ci dica che è vero:
Che anche nel lutto, possiamo crescere.
Che nel dolore, possiamo trovare speranza.
Che nella stanchezza, avremo la consapevolezza di averci provato.
Che saremo legati per l’eternità, l’uno all’altro, vittoriosi.
Non perché ci saremo liberati della sconfitta, ma perché non dovremo più essere testimoni di divisioni.
Le Scritture ci dicono di immaginare che ciascuno possa sedere sotto la propria vite e il proprio albero di fico e lì non essere spaventato.

Se vorremo essere all’altezza del nostro tempo, non dovremo cercare la vittoria nella lama di un’arma, ma nei ponti che avremo costruito.
Essere americani è più di un orgoglio che ereditiamo.
È il passato in cui entriamo ed è il modo in cui lo ripariamo.
 
Fateci vivere in un Paese che sia migliore di quello che abbiamo lasciato.

Con ogni respiro di cui il mio petto martellato in bronzo sia capace, trasformeremo questo mondo ferito in un luogo meraviglioso.
Risorgeremo dalle colline dorate dell’Ovest.
Risorgeremo dal Nord-Est spazzato dal vento, in cui i nostri antenati, per primi, fecero la rivoluzione.
Risorgeremo dalle città circondate dai laghi, negli stati del Midwest.
Risorgeremo dal Sud baciato dal sole.

Ricostruiremo, ci riconcilieremo e ci riprenderemo.
In ogni nicchia nota della nostra nazione, in ogni angolo chiamato Paese,
La nostra gente, diversa e bella, si farà avanti, malconcia eppure stupenda.
Quando il giorno arriverà, faremo un passo fuori dall’ombra, in fiamme e senza paura.
Una nuova alba sboccerà, mentre noi la renderemo libera.

Perché ci sarà sempre luce,
Finché saremo coraggiosi abbastanza da vederla.
Finché saremo coraggiosi abbastanza da essere noi stessi luce”.
 
Brava, Amanda.
La bellezza e l’entusiasmo, in queste tue parole, del viversi uniti, compatti, affiatati e coesi.
Senza che ciò significhi porsi “contro” o “prima” di qualcun altro.
 
Niente tumori, insomma.
 
Quando l’ha scritta?
L’ha scritta, con la memoria ancora fresca.
 
 
​       - don’t give up – 


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QUELLO CHE NON HO

10/1/2021

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“Dotòre, go da capire dove che go sbaglià”.
“Vuole capire dove ha sbagliato, Antonio?”.

“Si, go idea de ‘vère sbaglià tutto. Co me fiòeo”.
“Con suo figlio?”.
“No ghe go mai fàto mancare gnente. Mai. Eo go mandà in tée mejo scuòe. D’istà, in Inghilterra a imparare ‘a lingua. Pa’ premiarlo, col ga compìo dixotto anni, ghe go comprà ‘a machina nova. ‘Na bea Mercedes. El sàppia che da pìcoeo, d’accordo co so mamma, no ghe ghemo gnanca fàto i vaccini. No se sa mai, mejo no fidarse de queo che i te conta, che i xe tutti sempre pronti a fregarte”.

“Antonio, lo sanno tutti quanto lei sia un imprenditore di successo. E’ partito dal nulla, ho conosciuto io stesso suo padre, il disagio della sua famiglia. Si ricorda, quando per quei problemi di alcolismo e dipendenza ci siamo visti, venticinque anni fa? Ora la sua carpenteria fattura decine di milioni di euro, ha commesse in tutte le parti del mondo. Emirati Arabi, Cina, Stati Uniti. Ha lavorato duro. Non ha mai chiesto nulla a nessuno. Si è costruito una fortuna con le sue proprie mani, il suo impegno, dedizione, coraggio e sudore”.
“Si, si, dotòre”.
“Antonio, qual’è il problema con suo figlio?”.
“Nol ga voja de fare gnente. Gnente. Parché? Dove gòi sbaglià?”.

“Antonio, mi sta dicendo che a suo figlio non ha fatto mancare nulla”.
“Si, dotòre. Gnente. No voévo chel patisse queo che me xe tocà a mi, da pìcoeo. Che me tocàva ‘ndare tòre me papà in ostaria. E portarlo casa, imbriàgo spòlpo. E difendere me mama, dopo. Chel tacàva bàtarla. E i cortèi, i piatti rotti…”.
“Capisco, Antonio. Ha vissuto e conosciuto – per esperienza, non per averle lette nei romanzi – situazioni drammatiche. Dolorosissime, specie per un bambino”.
“’’A fame, dotòre. Go conosùo ‘a fame”.
“E ora, che a suo figlio ha dato tutto, non si spiega il motivo per cui lui non ne approfitti, di tutte queste opportunità”.
“Si, dotòre, si”.

“Antonio, a suo figlio ha dato tutto, fuorché la cosa più importante. L’unica fondamentale”.
“Ma come… ea pì importante?”.
“La sola necessaria, Antonio”.

“E quaea sarìssea?”.
“Quella che è servita a lei, Antonio. Per diventare ciò che è adesso. Un uomo di successo. Per costruire ciò che ha costruito”. 
“E quàea sarìssea ‘sta roba, dotòre? Quaea sarìssea?”.
“La fame, Antonio. La fame”.

“Xe vero, dotòre… come che dixeva Steve Jobs…”.
“Si, Antonio. Stay hungry, stay  foolish. Restate affamati, restate folli”. 


Ci sono due divinità, in quel mito greco. Uno si chiama Poros, l’altra Pènia. Il nome di lei significa “povertà, bisogno”. Quello di lui “via, espediente”. Si congiungono durante un banchetto, in onore della nascita di Afrodite, la dea della bellezza. Da quell’amplesso nascerà Eros, il dio-amore. Così nel “Simposio”, di Platone.

Amore nasce da Poros e Penia.
Il desiderio, è sempre figlio della mancanza.

La Comunità di Sant’Egidio ci informa su ciò che in fondo già sappiamo: la crescita della disoccupazione provocata dalla pandemia da Covid-19 ha aumentato drammaticamente il numero di persone in grave difficoltà economica. I pasti distribuiti a Roma sono passati da 7.500 al mese a 18.750. 

Il Censis - Centro Studi Investimenti Sociali, un istituto di ricerca socioeconomica fondato nel 1964 - documenta 5 milioni di italiani in povertà assoluta, equivalenti a 1,7 milioni di famiglie. In un anno sono andati persi 500 mila posti di lavoro.

Da Sant’Egidio ci informano anche, però, che il Covid ha sì raddoppiato i poveri, ma anche la disponibilità di volontari. Durante il lockdown il numero è aumentato di un migliaio di persone a Roma (il 10% circa) e di almeno 400 a Napoli. 

Marco Pagniello, responsabile delle politiche sociali per la Caritas, comunica che durante il periodo dell'emergenza Covid-19 ha visto crescere di 5.339 il numero delle nuove leve under 34. "Soprattutto durante il lockdown, quella parte di volontariato solitamente portata avanti dagli over 65 ha diminuito le presenze ma è stata compensata dalla crescita, consistente, dei giovani. Molti dei volontari anziani si sono dovuti fermare, ma quel vuoto è stato più che riempito da ragazzi che, fermi a causa della sospensione delle lezioni e degli impegni extra scolastici, hanno avuto più tempo da mettere a disposizione”.


       - seconda stella a destra, questo è il cammino - 

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VOMITO, ERGO SUM.

7/1/2021

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Lo diceva Cartesio.
O meglio, sosteneva che se “sto pensando, allora esisto”.
“Cogito, ergo sum”, appunto.
René Descartes, filosofo e matematico del ‘600, colui che consideriamo il massimo esponente del razionalismo moderno.
 
Ma il narcisismo è una brutta bestia.
E quando si coniuga al potere e al danaro, i danni sono assicurati.
 
Te lo ricordi, Dorian Gray? Il protagonista dell’omonimo romanzo di Oscar Wilde.  E’ un giovane straordinariamente bello. Hallward, un pittore suo amico, gli regala un ritratto da lui dipinto, che lo riproduce nel pieno della sua magnificente gioventù.
​Talmente bello, che Dorian inizia a provare invidia verso il suo stesso ritratto.
 
Ritratto che rimarrà eternamente bello e giovane, mentre lui invecchierà. Così arriva a stipulare un "patto col demonio", grazie al quale sarà lui, Dorian, a rimanere eternamente adolescente e luminoso, mentre toccherà al quadro mostrare progressivamente i segni della decadenza fisica.
Notando che la sua figura nel dipinto invecchia, e assume spaventose smorfie tutte le volte che egli commette un atto feroce e ingiusto (ha pur sempre stipulato un patto con il diavolo), Dorian a un certo punto nasconde il quadro in soffitta.
 
Tuttavia, di tanto in tanto si reca segretamente lassù, per controllare e schernire il ritratto, che invecchia vieppiù e si imbruttisce, giorno dopo giorno.  E che gli crea anche tanti timori e rimorsi. Finché, stanco della sua malvagia vita, lacera il quadro con lo stesso coltello con cui prima aveva ucciso Hallward, il pittore.
 
Alla fine della storia, troveranno Dorian Gray morto con un pugnale conficcato nel cuore, irriconoscibile e precocemente avvizzito. Lo troveranno ai piedi del ritratto, che invece è ritornato meravigliosamente giovane e bello. E’ la variante del mito greco di Narciso, annegato nello stagno ove stava rimirando la sua stessa immagine, di cui era rimasto innamorato.
 
Ecco, stavolta a morire sono stati in quattro. Decine, i feriti. Anche gravi, pure tra le forze di sicurezza.
Colui che ha fomentato l’odio di piazza a suon di accuse inventate, leggende su ipotetici brogli elettorali, blablabla smontati ad uno ad uno dai numeri, dagli organi di verifica, dai propri stessi compagni di partito, tornerà al calduccio dei propri palazzi, nelle torri da miliardario.
Finché i pasticci con la giustizia e la finanza non lo chiameranno presto a giudizio, non più protetto dall’immunità presidenziale.
 
Ma il narcisista non può accettare che il giudizio popolare gli si rivolti contro. Così come nega la drammatica esistenza del Covid, allo stesso modo gli risulta inconcepibile che la maggioranza del popolo americano, a suon di voti democratici e certificati, uno ad uno, sancisca il suo fallimento.
E’ lo specchio che si infrange. L’immagine di sé che crolla, che conferma la sua fragilità. Non può accettarlo.
E allora rigurgita accuse a destra e a manca. Semina sospetti. Cavalca la frustrazione. All’opposto di quanto un grande patriota come il senatore repubblicano John McCain, veterano della guerra in Vietnam, candidato presidente sconfitto da Obama, fece riconoscendo la vittoria dell’avversario.
E subito si rimboccò le maniche per lavorare seriamente, dai banchi dell’opposizione, al bene della nazione.
Il narcisista tenta invece la disperata mossa di salvare sé stesso.
 
Non ci riuscirà, ma nel frattempo intercetta le frustrazioni e l’istinto di morte dei gruppi razzisti e di estrema destra (QAnon, Proud Boys, neonazisti et similia).
 
L’esperienza clinica insegna come il disturbo narcisista sfoci inevitabilmente in depressione, prima o poi.
La storia, che esaltazione demagogica e propaganda  populista fanno male soprattutto a un soggetto: il popolo stesso, la gente comune.
 
​
                        - la storia siamo noi -


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CONSIGLIATO PER TE

3/1/2021

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Foto
Francesca ha 15 anni. Francesca si ritrae in un “selfie” e lo pubblica su Instagram, all’istante.
Francesca attende trenta secondi desiderando veder giungere dei “like”.
…
Altri trenta secondi.
Francesca riceve solo due like.
Francesca rimuove subito la foto.
 
Francesca ne scatta - compulsivamente - un altro.
Stavolta lo modifica e arricchisce di qualche effetto, con un’”app” di fotoritocco. In questo fotogramma, non sembra nemmeno più una ragazzina di 15 anni.
Ora cominciano a piovere emoticon, commenti, faccette sorridenti.
Sorride anche Francesca.
 
In uno dei commenti, però, legge un brutto apprezzamento sul suo naso.
Francesca corre allo specchio.
Francesca verifica se è davvero come sembra.
O meglio: se le sembra sia davvero come agli altri sembra.
Francesca si intristisce. E’ confusa, va in crisi.
Francesca piange, rimarrà chiusa in camera tutta la giornata e non scende manco per mangiare.
 
E’ una scena simile a quella raffigurata nel consigliabilissimo ed estremamente attuale “The Social Dilemma”, il docudrama che spiega cosa si nasconde dietro un like, un post, un commento e l’incessante bisogno di scrollare il proprio profilo per ore. Un film realizzato tramite le testimonianze di ex dirigenti di Facebook, Google, Pinterest, Instagram e Twitter. 
Cosa si nasconde?
Chiamiamola semplicemente per quello che è: IA, l’Intelligenza Artificiale. In pratica, una serie di algoritmi studiata alla perfezione per invogliarci a rimanere connessi per il maggiore tempo possibile. Più restiamo collegati a un social media, più gli introiti della piattaforma aumenteranno.
 
C’è qualcuno che non ha capito di cosa stiamo parlando?
Qualcuno che non conosca quanto potente sia questa forma di neo-dipendenza? Mica solo per gli adolescenti, sia chiaro.
 
Vediamo qualche dato.
Il suicidio è la seconda causa di morte tra i dieci e i diciannove anni. Risultano più a rischio i maschi tra i dieci e i vent’anni. Una ricerca alla quale ha collaborato anche lo psichiatra italiano Diego de Leo (Kolves e De Leo, 2016) ha evidenziato come la pianificazione o l’ideazione suicidaria comprenda il 30% dei giovani. Estremamente frequenti sono le condotte autolesionistiche (tagli autoinflitti con oggetti affilati – generalmente lamette, sui polsi e lungo le braccia – bruciatore con oggetti roventi, abuso di sostanze, condotte a rischio).
 
Cosa c’entra tutto questo con i Social Media?
Con l’autostima.
Non è un problema nuovo, certamente.
Ma nel decennio 2010-20, quello dell’esplosione delle piattaforme network (Facebook, Instagram & co.) i numeri epidemiologici hanno subito un’impennata rilevante (McCrae, 2018), così come alcune condotte: insonnia, ruminazione, disturbi depressivi.
 
I Social danno dipendenza. Pari pari alle droghe. Agiscono sui meccanismi di rinforzo cerebrale. Il principale neuromediatore implicato - oramai lo sanno tutti - è la dopamina. E’ difficilissimo staccarsene. Chi ha figli in età puberale, lo sa benissimo. L’astinenza scatena a volte un’aggressività incontenibile.
 
Tu credi che per gli adulti sia molto diverso?

Uno degli aspetti più inquietanti è la polarizzazione del pensiero.
I motori di ricerca “imparano” i tuoi comportamenti, gusti, abitudini. Li leggono, li copiano e te li ripropongono, amplificati. In pratica, ti raccontano (e ti fanno comprare) esattamente quello che vuoi sentirti dire (e avere).
 
Chi si è mai fermato più di tanto a discernere (che perdita di tempo!) di fronte ai pop-up informativi che ti presentano la casella “acconsento”? “Cookies” significa proprio: “biscottini”; termine quantomai appropriato.
La schiacci, e via!
Così intanto fornisci dati su dati, informazioni su informazioni, indicazioni e squarci di personalità che vengono utilizzate (all’istante) per proporti qualche suggerimento di acquisto, o di informazione.
Così come quando metti un like, pubblichi una foto, condividi una notizia, compri un oggetto su Amazon o Ebay, ascolti un brano o guardi un video su Youtube.
 
Lo sai che se due persone diverse digitano la medesima parola nella stringa di ricerca di Google, la frase verrà completata in modo differente rispetto a quanto l’algoritmo già conosce di ciascuna persona?
Esempio pratico: un seguace di Trump digita “democrazia” e Google gliela completa con “dittatura”, brogli elettorali, complotto di Joe Biden, ecc…
Un democratico, invece, vedrà comparire “Obama”, Aristotele, costituzione democratica, and-so-on.
Eh, stiamo parlando dello “zio d’America” giusto per evitare esempi nazionali, l’hai capito.
 
Alla luce di queste strategie, risultano più chiare anche alcune apparenti assurdità. La polarizzazione del pensiero rafforza le convinzioni, le rende sempre più solide, autoreferenziali, granitiche e “documentate”. Terrapiattisti, no vax, cospirazionisti vari, quelli che inseguono le ambulanze ritenendole vuote, ricevono ad ogni “sessione d’informazione” (spesso condotta sulla tazza del water) quantità di dati, notizie e recensioni del tutto in linea con ciò che già pensano. La convinzione di aver ragione, di essere nel giusto, di stare dalla parte dei “risvegliati”, specie se hai visto Matrix, quindi, non può che aumentare e cristallizzarsi.
 
Nulla di nuovo sotto il sole, in realtà. Stiamo parlando di quei meccanismi noti sin dai primordi della psicologia sociale e della percezione: attenzione ed esposizione selettiva, cherry picking, dissonanza cognitiva, confusione causale, riluttanza a falsificare…
 
Attenzione, però: sulla tazza del water, ci andiamo tutti a sedere.
E se è vero - come è vero - che “se non stai pagando per il prodotto, allora il prodotto sei tu”, qualche buon libro, qualche lettura critica e documentata, qualche franca chiacchierata tra amici, faccia a faccia come una volta, attorno a una sapida birra, questi sono e rimarranno sempre gli antidoti giusti.
 
Ah, e se magari prima di condividere “a-copia-e-incolla” qualche fake new ci dessimo il tempo di riflettere?
Anche solo di prima metterci like e cuoricini, attenzione!
Credi davvero non respireremmo - tutti - un’aria migliore e meno tossica?
 
​
        - she don't lie, she don't lie, she don't lie, cocaine -


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    Noneto Circin

    La parola, il suono, l’immagine, sono l’oggetto dei miei interessi nel tempo libero. 
    A volte, tentano di diventare voce. 
    Nella scrittura, nella musica, nella fotografia. 
    Per passione, per divertimento.
    Insomma, per una delle cose più serie nella vita: il gioco. 
    Tramite i tasti di un pianoforte, una penna che scorre veloce, le lenti di un vecchio obiettivo. 

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