CAMPIONI DEL MONDO

1 Zoff
3 Bergomi
4 Cabrini
5 Collovati
6 Gentile
7 Scirea
13 Oriali
14 Tardelli
16 Conti
19 Graziani
20 Rossi
Questa la formazione con la quale l'Italia, finalista nella coppa del mondo, sarebbe scesa in campo domenica 11 luglio di quell'anno, nel catino infuocato del Santiago Bernabeu di Madrid, a sfidare la Germania Ovest di Karl Heinz Rummenigge davanti a novantamila spettatori.
“Tosi, eòra se stè boni, domènega de sera se vàrda ea partìa!”
“Siiii!! Dàiiii!! Che togo!”
“Però: vèro che fé i bravi stasera in letto, no tutto chel casìn de vènare sera?”
“Siiii, sicuro!”
“Oe, che sia chiaro: se sento anca soeo 'na sciànta de confusiòn dopo e undexe, niente partìa!”
“Nooo, dai...”
“No se ne parla gnànca!”
Era la strategia con la quale tentavamo di tener la disciplina dei ragazzi, in quel campo-scuola ad Avoscan del luglio 1982. Quinta elementare e prima media.
Si, perché a Ronch, nella casa di sopra, ci stavano don Francesco e suor Florinda con il gruppo delle ragazze.
In quegli anni funzionava così: i campi-scuola dei maschi, e quelli delle femmine. E di case la parrocchia ne amministrava addirittura due: quella di Ronch, e quella di Avoscan, alla base della salita, sulle rive del torrente Cordevole: il corso d'acqua che esce dal lago di Alleghe e scende verso valle diventando il principale affluente del Piave, nel quale sbocca dalle parti di Sedico.
I ragazzi li aveva portati su il pulmino il venerdì mattina, io ero giunto giovedì sera scendendo dall'Altavia n.1 delle Dolomiti che avevo percorso con Federico. Giusto in tempo per l'inizio del campo, e per la fine dei soldi. Assieme alla cioccolata (tanta), li avevamo contati (pochi) esatti per le notti in rifugio e nei bivacchi, dove si riusciva a trovar posto.
Nel parcheggio davanti alla casa mi aspettava anche la mia vecchia fida Autobianchi A112 verde, che avevamo lasciata lì prima di salire sulla corriera per Cortina, poi via coincidenza al Lago di Braies, punto di partenza dell'Altavia.
Come animatore, in quel campo, facevo coppia con Mariano. Mario per gli amici.
Qualcuno dei ragazzi si era portato dietro un televisore, uno piccolo trasportabile spedito dai genitori, ovviamente in bianco e nero: ai quei tempi era già un'avanguardia tecnologica. Forse un Phonola, se non ricordo male. Il problema era l'antenna, che lì a valle, nella gola che stringe il torrente in quel punto, non pigliava un accidente.
La necessità aguzza l'ingegno, è cosa nota, e d'altronde ogni buon animatore è consapevole di come il primo esempio da fornire ai ragazzi sia la capacità di arrangiarsi con poco per le cose essenziali. Forse fu proprio Mariano detto Mario a mostrarsi quella volta più sveglio del solito: talvolta le apparenze ingannano.
Fu così che tirammo fuori dagli armadi tutti gli appendini di zinco disponibili, e concatenammo una sorta di apparato ricevitore che partiva dal frigo, sopra cui dimorava l'apparecchio tv, per arrivare fin una spanna fuori dalla prima finestra raggiungibile.
Qualcosa si vedeva, almeno fintantochè qualcuno non si alzava dalla sedia ed allora il segnale andava subito a farsi friggere.
L'attesa per la serata della “finale” era comunque elettrica e pervasiva: non si viveva momento nelle giornate precedenti che non venisse usato come ricatto (da noi animatori) o come supplica (dai ragazzi) per confermare che domenica sera effettivamente la finalissima Italia – Germania Ovest si sarebbe potuta guardare.
D'altronde a quella finale la Nazionale di Enzo Bearzot “El Vècio” c'era arrivata a colpi di adrenalina, grazie ai gol di Paolo Rossi in un “girone della morte” dove avevamo battuto, in serie, l'Argentina di Mario Kempes e Diego Armando Maradona ed il favoritissimo Brasile stellare di Paulo Roberto Falcao, Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira detto Socrates, il capitano, e Arthur Antunes Coimbra noto come Zico. Una schiera di autentici fuoriclasse, o “top players”, come si sarebbe poi detto nel XXI secolo.
Ma al Santiago Bernabeu di Madrid, quella sera, ci aspettava la temibile e coriacea Germania Ovest, campione d'Europa in carica. Unico rammarico, l'infortunio che non ci consentiva di schierare in formazione Giancarlo Antognoni, l'asso della Fiorentina, il numero 10, centrocampista di classe sopraffina, “l'uomo che gioca guardando le stelle” come lo definiva il giornalista Caminiti di Tuttosport.
Giunse finalmente la fatidica sera, a cena i ragazzi tutti buoni e compiti (non si sa mai: rischiare la punizione della tv spenta, così, all'ultimo minuto...) poi il tempo per un gelato al bar e tutti seduti in religiosa sportiva devozione davanti al minuscolo Phonola.
Le immagini che a frammenti arrivavano inquadravano in tribuna il Presidente Sandro Pertini a fianco dei reali di Spagna che, pipa in mano, pareva gasato quanto i ragazzi lì ad Avoscan. Entrano in campo le squadre, gli inni nazionali, la voce di Nando Martellini storico telecronista che a stento supera il boato delle tribune stracolme.
Fischio d'inizio, e via! Ci stiamo giocando la finalissima che vale la Coppa del mondo, il “Mundial 1982”. La partita inizia guardinga, ma con un'Italia che pare da subito discretamente “in palla”.
Al ventritreesimo minuto del primo tempo Altobelli riceve palla sulla sinistra da Cabrini, crossa in area dove il minuscolo ed imprendibile Bruno Conti sta per arpionare la palla con il suo magico sinistro quando Hans-Peter Briegel, un metro e ottantotto di muscoli tedeschi sul genere “ti-spiezzo-in-due” gli frana addosso mezzo seppellendolo. E' rigore!
Incredibile, siamo a metà del primo tempo e possiamo andare in vantaggio nella finale della Coppa del mondo! Il presidente Pertini è in piedi in tribuna che urla a Juan Carlos, che gli sta a fianco: “E' rigore, é rigore!”... mentre sulla palla sta già andando Cabrini, il terzino della Juve bello come un dio greco, tanto che oltre ad aver fatto innamorare tre quarti delle donne italiane e quattro terzi delle spagnole, era stato vagliato dal regista Zeffirelli come possibile interprete del suo “Gesù di Nazareth”.
Fu a quel punto che nella sala della casa lassù ad Avoscan i ragazzi eccitatissimi cominciarono a saltare da tutte le parti, con danni inesorabili al segnale dell'antenna.
“Fermi, tòsi, sté sentài, sennò no vedemo on ostrega!”
Cabrini sistema la palla al centro, il portiere si chiama Schumacher.
Cabrini prende la rincorsa... dev'essere a quel punto che si è alzato in piedi Massimo Boischio, che già in quinta elementare sarà stato alto un metro e ottanta.
Mariano detto Mario già stava urlando “Gooolll!” e... il segnale dell'antenna sparisce.
“^*/!!!§§++^!!!”
(espressione intraducibile per ragioni educative: eravamo pur sempre ad un campo-scuola...)
“Gàeo segnà?” fa Mario.
“E che c..asssssspita ne so, Mario? Ghèto visto calcòssa, ti?”
“Ma, secondo mi e a xe 'ndà dentro...”
A quel punto della partita i ragazzi già cominciavano ad uscire: il richiamo del torrente con i giochi d'acqua, e l'impresa ininterrotta di deviarne il corso (chi da ragazzo non si è mai speso nell'opera di deviare il corso di un torrente?) iniziava ad avere la meglio sul tifo calcistico.
Forse per questo motivo, con la sala della casa di Avoscan che andava svuotandosi, il segnale tv pian piano ritornò. E lì che capimmo, dalla faccia di Pertini in tribuna, che il rigore Cabrini l'aveva tirato... fuori.
Maledettamente fuori. Alla faccia sua e di tutte le sue aulentissime donzelle.
Si andò avanti fino all'intervallo, con i ragazzi sempre più presi dal torrente e la partita che a Madrid procedeva su continui rovesciamenti di fronte. Ma con un'Italia che sembrava essersi ripresa dallo choc del penalty sbagliato.
E fu proprio durante la pausa dell'intervallo tra primo e secondo tempo, che con Mariano detto Mario ci affacciammo alla finestra ad osservarli, i ragazzi nel torrente:
“Pendensa....!”
“Pendensaaa....!”
“Pendensaaaaaa...!”
“Chi xeo quéo che urla cussì, come on ossesso?” fa Mario.
“El xe Andrea, Bertin el rosso coi ociài, no te vedi?”
“Ah, si. E par còssa se gàeo fatto on isoeòtto tutto par conto suo, in mexo al torrente, e co chel bastòn in man el urla: pendènsa..... pendènsa.... pendènsa.... ?”
“Forse el xe drìo descrivare come l'acqua scorre dal monte al mare pàea forsa de gravità: grassie àea – pendènsa - appunto...”
“Ahn... forse te ghe rasòn, Enrico”
“Vùto proprio che no ghe ghemo insegnà gnente, a 'sti tosi, Mario?”
“Sèmo forti, Enrico”
“Però, Mario, scòlta mejo. Prima el dixe 'naltra paròea: indi.... indi.... indi....”
“Chèl sìa dea squadra dei indiani, e stàltri fa i cow-boy?”
“No, Mario, scolta méjo: secondo mi se pronuncia t-u-t-t-o-t-a-c-c-a-t-o: INDI-PENDENSA! INDI-PENDENSA! INDI-PENDENSA...!”
E Mario: “Enrico, xe parchè sèmo a on campo-scuoea catòico, e no induìsta, se no me vegnarìa da credare aea reincarnasiòn”
“Parchè, Mario?”
“Secondo mi, Andrea podarìa essare 'na reincarnasiòn de un Doge. Un Doge venexian, quèi col capèo a ponta”
“Eo sèto che o penso anca mi, Mario? Bertin l'é on brontoeòn, ma sotto sotto l'é un bon toso mascherà, on generoso, el gà un cuore d'oro”.
“Come i mosaici de San Marco”
“Appunto”.
“Spèta, Enrico, e queo là, el pì piccoetto de tutti, chel core come on matto urlando INNOCENTI! INNOCENTIII!! Chi sèo?”
“El xe Milco Lando, Mario”
“Xeo drìo arrèndarse?”
“No, Mario, el voe costruirse on fortìn pa difèndarse dai attacchi dei nemici, e ghe serve del materiàe da costrusiòn!”
“Dei tubi... INNOCENTI?”
“Bravo, Mario, stasera te vedo pì svèio del sòito”
“Beh, el xe on Manina... on fiòeo d'arte, insomma!”
“Si, Mario, i tubi Innocenti serve pa farse 'na montatura... te podarissi provare anca ti, co quea de i to òciai, cossa ditto?”
“E queo? Queo che salta da un masso a 'staltro, faxendo Brùuuumm, brùuuum!?”
“Queo xe Simone Lando, che don Giuseppe cìama Cimone mio”
“El ga da vère 'na gran PASSIONE PER I MOTORI, chel toso, vero?”
“Sicuro, Mario: chissà fra un pochi de anni che ràssa de motorìn, o de macchina, chel garà...”
“E staltro Andrea? El Breda, chel xe là par conto suo, chel pare fare coexiòn dei tòchi de legno, e el dixe sòeo 'dèmoghe on tàio, tosi'?”
“Mario, ti ghe credito ai sogni premonitori?”
“Parché, Enrico?”
“Stanotte go fatto on incubo – sarà par colpa de chel'ostrega de Alessio Michieli chel ga da dormire sempre coea luce impissà sennò el piànse – che gerimo proprio casa de Andrea Breda, coea me A112 stracarica de tubi Innocenti, appunto, pa fare el carro del Carnevàe 1984”
“Eora?”
“Eora me presento a Piccardo, so papà de Andrea, e ghe digo: 'El me scusa, no vorìssimo disturbarlo...' e seto cosa chel me risponde?”
“No!”
“Piccardo me risponde tutto serio: 'Bravo, proprio cussì, parlato bene!'”
“Ostrega, on incubo davvero, Enrico!”
“On incubo terrificante, Mario: no capivo davvero sel fùsse drio torme pal xesto, o minacciàrme de morte permanente.... el pareva proprio vero! Speremo che nol sia on sogno premonitore! Te savarò dire fra do anni, sotto Carnevàe”
(E la storia santangiolese racconta che il sogno – drammaticamente – si avverò...)
In realtà, il buon Mariano detto Mario aveva una specialità tutta sua: gli dicevo sempre che secondo me avrebbe potuto diventare campione europeo di “tiro con l'ambolo” (tiro con l'albicocca, in italiàn). Ci mettevamo uno ad un capotavola, l'altro dalla parte opposta e mentre io scagliavo l'albicocca a mo' di “lancio del mortaio” lui la beccava infallibilmente – non si è mai capito come facesse – in bocca, aspirandola con le fauci.
Uno spettacolo da Circo Barnum, che i ragazzi del campo non mancavano di esigere rigorosamente ad ogni fine pasto, e vedevi trenta pupille attorno al tavolo roteare nell'aria di 180 gradi, da un polo all'altro, come nelle migliori championship di Wimbledon.
Ok, la ripresa a Madrid era iniziata, e già l'Italia stava spingendo forte.
All'undicesimo minuto del secondo tempo Rummenigge falcia a metà campo Lele Oriali, che quella partita l'ha vista più da orizzontale che altro: su di lui era tutto un fallo, quella sera. Botte da orbi. Oriali si rialza, batte a sorpresa verso Gentile che s'invola all'ala destra e fa subito partire un cross a centro area sul quale si fiondano Cabrini, spinto probabilmente dal fuoco del suo senso di colpa per il rigore fallito, ma di lui più svelto quel marpione di Paolo Rossi: GOOOOL! Italia 1 – Germania Ovest 0.
Da non dire il salto del presidente Pertini in tribuna, ed il roteare della sua pipa.
Ma l'apoteosi, l'immagine che per gli anni successivi riempirà le sigle di tutte le “Domeniche sportive” arriva dieci minuti dopo su un'iniziativa tutta dell'immenso Gaetano Scirea: ruba palla in contropiede e si lancia dritto nella metà campo avversaria, dopo qualche scambio con Rossi prima e Bergomi poi, vede libero al centro fuori area Tardelli cui offre la palla: Marco con un abile rimbalzo salta l'avversario diretto e lascia partire un formidabile fendente al volo di sinistro che trafigge Schumacher sul palo opposto.
E' l'estasi totale: il Santiago Bernabeu viene giù dall'ovazione (si, gli spagnoli tifavano per noi), Tardelli parte a pugni chiusi verso il bordo campo correndo ed urlando come preda di un interminabile orgasmo che forse anche nell'aldilà tutte le generazioni dei calciatori dal 1900 in poi avranno provato, e la telecamera inquadra ancora il Presidente Sandro Pertini che se potesse salterebbe in campo pure lui.
Al trentatreesimo minuto della ripresa ci penserà l'interista Altobelli a mettere nel sacco il terzo gol, su contropiede del micidiale Bruno Conti.
Mancano adesso solo nove minuti alla fine ed a quel punto sul labiale di Pertini si legge, rivolto a a Juan Carlos re di Spagna: “Adesso non ci prendono più! Adesso non ci pigliano più!” e con la famosa pipa disegna nell'aria: no, no, no!
Un gol, per la bandiera, lo segnerà anche Paul Breitner per la Germania, al trentottesimo minuto.
L'ultima palla é nei piedi del diciottenne Giuseppe Bergomi, é il quarantacinquesimo, la passa al centro ma l'arbitro la ferma con le mani, porta il fischietto alla bocca e Nando Martellini, il telecronista, esce con il celeberrimo “E' finita: Campioni del mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo!” Per tre volte, come le edizioni vinte all'epoca dalla nostra nazionale.
E quest'urlo di gioia della registrazione televisiva, lo si risentirà negli anni a seguire, di tanto in tanto, anche per le strade di Sant'Angelo di Piove, amplificato a tutto volume dall'altoparlante del furgoncino della Pulitura Michieli, quasi un auspicio della buona sorte per le successive edizioni della Coppa del Mondo, e non solo.
Al campo scuola scorsero le giornate successive; il martedì ci fu la lunga escursione ai rifugi Vazzoler e Tissi al Civetta, poi la seratona conclusiva del mercoledì con canti, giochi e scenette varie, ed il giovedì sera tutti a casa.
Domenica 18 luglio erano attesi i quattordicenni, per il campo nella casa di Ronch che avrei animato con Renzo, l'”Ammiraglio”.
Mi presi due giorni di stacco (“debriefing” si direbbe oggi) e venerdì salii con l'amico Giancarlo la ferrata sulla Croda Rossa di Sesto, in Pusteria.
Fu lassù, in cima a quella Croda, e poi lungo i tornanti dolomitici che percorrevo con la mia A112 verde e il deflettore aperto (si, le auto non avevano a quei tempi il climatizzatore; quel prezioso triangolino di cristallo ti faceva arrivare giusto l'aria necessaria a goderti il viaggio) che ripensando uno ad uno ai ragazzi del campo-scuola trascorso, ai loro volti, alle loro personalità ed ai sogni che ci avevano confessato nelle attività svolte, specie nelle revisioni di gruppo della sera prima di andare a letto, continuavano a risuonarmi nella mente le parole e le note di quella cassetta, una Basf C90 che avevo inserito – clack! – nel mangianastri.
Una ormai lisa e slabbrata C90, a forza di ascoltarla.
Che su un lato portava la scritta “Robert Allen Zimmerman”.
Ma sapevo benissimo che il nome d'arte del “cantautore” era un'altro...
“How many roads most a man walk down
Before you call him a man ?
Yes, how many years can a mountain exist
Before it's washed to the sea ?
Yes, how many times must a man look up
Before he can see the sky ?
The answer my friend is blowin' in the wind
The answer is blowin' in the wind....”
Michieli Alessio
Tamiazzo Moreno
Bertocco Devis
Ferali Filippo
Livieri Massimo
Molena Alessandro
Boischio Massimo
Breda Andrea
Benetazzo Damiano
Dalla Pria Maurizio
Ghirotti Sergio
Lando Milco
Bertin Andrea
Bragato Emanuele
Lando Simone: CAMPIONI DEL MONDO
https://www.youtube.com/watch?v=gFzvrT7J4NE
3 Bergomi
4 Cabrini
5 Collovati
6 Gentile
7 Scirea
13 Oriali
14 Tardelli
16 Conti
19 Graziani
20 Rossi
Questa la formazione con la quale l'Italia, finalista nella coppa del mondo, sarebbe scesa in campo domenica 11 luglio di quell'anno, nel catino infuocato del Santiago Bernabeu di Madrid, a sfidare la Germania Ovest di Karl Heinz Rummenigge davanti a novantamila spettatori.
“Tosi, eòra se stè boni, domènega de sera se vàrda ea partìa!”
“Siiii!! Dàiiii!! Che togo!”
“Però: vèro che fé i bravi stasera in letto, no tutto chel casìn de vènare sera?”
“Siiii, sicuro!”
“Oe, che sia chiaro: se sento anca soeo 'na sciànta de confusiòn dopo e undexe, niente partìa!”
“Nooo, dai...”
“No se ne parla gnànca!”
Era la strategia con la quale tentavamo di tener la disciplina dei ragazzi, in quel campo-scuola ad Avoscan del luglio 1982. Quinta elementare e prima media.
Si, perché a Ronch, nella casa di sopra, ci stavano don Francesco e suor Florinda con il gruppo delle ragazze.
In quegli anni funzionava così: i campi-scuola dei maschi, e quelli delle femmine. E di case la parrocchia ne amministrava addirittura due: quella di Ronch, e quella di Avoscan, alla base della salita, sulle rive del torrente Cordevole: il corso d'acqua che esce dal lago di Alleghe e scende verso valle diventando il principale affluente del Piave, nel quale sbocca dalle parti di Sedico.
I ragazzi li aveva portati su il pulmino il venerdì mattina, io ero giunto giovedì sera scendendo dall'Altavia n.1 delle Dolomiti che avevo percorso con Federico. Giusto in tempo per l'inizio del campo, e per la fine dei soldi. Assieme alla cioccolata (tanta), li avevamo contati (pochi) esatti per le notti in rifugio e nei bivacchi, dove si riusciva a trovar posto.
Nel parcheggio davanti alla casa mi aspettava anche la mia vecchia fida Autobianchi A112 verde, che avevamo lasciata lì prima di salire sulla corriera per Cortina, poi via coincidenza al Lago di Braies, punto di partenza dell'Altavia.
Come animatore, in quel campo, facevo coppia con Mariano. Mario per gli amici.
Qualcuno dei ragazzi si era portato dietro un televisore, uno piccolo trasportabile spedito dai genitori, ovviamente in bianco e nero: ai quei tempi era già un'avanguardia tecnologica. Forse un Phonola, se non ricordo male. Il problema era l'antenna, che lì a valle, nella gola che stringe il torrente in quel punto, non pigliava un accidente.
La necessità aguzza l'ingegno, è cosa nota, e d'altronde ogni buon animatore è consapevole di come il primo esempio da fornire ai ragazzi sia la capacità di arrangiarsi con poco per le cose essenziali. Forse fu proprio Mariano detto Mario a mostrarsi quella volta più sveglio del solito: talvolta le apparenze ingannano.
Fu così che tirammo fuori dagli armadi tutti gli appendini di zinco disponibili, e concatenammo una sorta di apparato ricevitore che partiva dal frigo, sopra cui dimorava l'apparecchio tv, per arrivare fin una spanna fuori dalla prima finestra raggiungibile.
Qualcosa si vedeva, almeno fintantochè qualcuno non si alzava dalla sedia ed allora il segnale andava subito a farsi friggere.
L'attesa per la serata della “finale” era comunque elettrica e pervasiva: non si viveva momento nelle giornate precedenti che non venisse usato come ricatto (da noi animatori) o come supplica (dai ragazzi) per confermare che domenica sera effettivamente la finalissima Italia – Germania Ovest si sarebbe potuta guardare.
D'altronde a quella finale la Nazionale di Enzo Bearzot “El Vècio” c'era arrivata a colpi di adrenalina, grazie ai gol di Paolo Rossi in un “girone della morte” dove avevamo battuto, in serie, l'Argentina di Mario Kempes e Diego Armando Maradona ed il favoritissimo Brasile stellare di Paulo Roberto Falcao, Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira detto Socrates, il capitano, e Arthur Antunes Coimbra noto come Zico. Una schiera di autentici fuoriclasse, o “top players”, come si sarebbe poi detto nel XXI secolo.
Ma al Santiago Bernabeu di Madrid, quella sera, ci aspettava la temibile e coriacea Germania Ovest, campione d'Europa in carica. Unico rammarico, l'infortunio che non ci consentiva di schierare in formazione Giancarlo Antognoni, l'asso della Fiorentina, il numero 10, centrocampista di classe sopraffina, “l'uomo che gioca guardando le stelle” come lo definiva il giornalista Caminiti di Tuttosport.
Giunse finalmente la fatidica sera, a cena i ragazzi tutti buoni e compiti (non si sa mai: rischiare la punizione della tv spenta, così, all'ultimo minuto...) poi il tempo per un gelato al bar e tutti seduti in religiosa sportiva devozione davanti al minuscolo Phonola.
Le immagini che a frammenti arrivavano inquadravano in tribuna il Presidente Sandro Pertini a fianco dei reali di Spagna che, pipa in mano, pareva gasato quanto i ragazzi lì ad Avoscan. Entrano in campo le squadre, gli inni nazionali, la voce di Nando Martellini storico telecronista che a stento supera il boato delle tribune stracolme.
Fischio d'inizio, e via! Ci stiamo giocando la finalissima che vale la Coppa del mondo, il “Mundial 1982”. La partita inizia guardinga, ma con un'Italia che pare da subito discretamente “in palla”.
Al ventritreesimo minuto del primo tempo Altobelli riceve palla sulla sinistra da Cabrini, crossa in area dove il minuscolo ed imprendibile Bruno Conti sta per arpionare la palla con il suo magico sinistro quando Hans-Peter Briegel, un metro e ottantotto di muscoli tedeschi sul genere “ti-spiezzo-in-due” gli frana addosso mezzo seppellendolo. E' rigore!
Incredibile, siamo a metà del primo tempo e possiamo andare in vantaggio nella finale della Coppa del mondo! Il presidente Pertini è in piedi in tribuna che urla a Juan Carlos, che gli sta a fianco: “E' rigore, é rigore!”... mentre sulla palla sta già andando Cabrini, il terzino della Juve bello come un dio greco, tanto che oltre ad aver fatto innamorare tre quarti delle donne italiane e quattro terzi delle spagnole, era stato vagliato dal regista Zeffirelli come possibile interprete del suo “Gesù di Nazareth”.
Fu a quel punto che nella sala della casa lassù ad Avoscan i ragazzi eccitatissimi cominciarono a saltare da tutte le parti, con danni inesorabili al segnale dell'antenna.
“Fermi, tòsi, sté sentài, sennò no vedemo on ostrega!”
Cabrini sistema la palla al centro, il portiere si chiama Schumacher.
Cabrini prende la rincorsa... dev'essere a quel punto che si è alzato in piedi Massimo Boischio, che già in quinta elementare sarà stato alto un metro e ottanta.
Mariano detto Mario già stava urlando “Gooolll!” e... il segnale dell'antenna sparisce.
“^*/!!!§§++^!!!”
(espressione intraducibile per ragioni educative: eravamo pur sempre ad un campo-scuola...)
“Gàeo segnà?” fa Mario.
“E che c..asssssspita ne so, Mario? Ghèto visto calcòssa, ti?”
“Ma, secondo mi e a xe 'ndà dentro...”
A quel punto della partita i ragazzi già cominciavano ad uscire: il richiamo del torrente con i giochi d'acqua, e l'impresa ininterrotta di deviarne il corso (chi da ragazzo non si è mai speso nell'opera di deviare il corso di un torrente?) iniziava ad avere la meglio sul tifo calcistico.
Forse per questo motivo, con la sala della casa di Avoscan che andava svuotandosi, il segnale tv pian piano ritornò. E lì che capimmo, dalla faccia di Pertini in tribuna, che il rigore Cabrini l'aveva tirato... fuori.
Maledettamente fuori. Alla faccia sua e di tutte le sue aulentissime donzelle.
Si andò avanti fino all'intervallo, con i ragazzi sempre più presi dal torrente e la partita che a Madrid procedeva su continui rovesciamenti di fronte. Ma con un'Italia che sembrava essersi ripresa dallo choc del penalty sbagliato.
E fu proprio durante la pausa dell'intervallo tra primo e secondo tempo, che con Mariano detto Mario ci affacciammo alla finestra ad osservarli, i ragazzi nel torrente:
“Pendensa....!”
“Pendensaaa....!”
“Pendensaaaaaa...!”
“Chi xeo quéo che urla cussì, come on ossesso?” fa Mario.
“El xe Andrea, Bertin el rosso coi ociài, no te vedi?”
“Ah, si. E par còssa se gàeo fatto on isoeòtto tutto par conto suo, in mexo al torrente, e co chel bastòn in man el urla: pendènsa..... pendènsa.... pendènsa.... ?”
“Forse el xe drìo descrivare come l'acqua scorre dal monte al mare pàea forsa de gravità: grassie àea – pendènsa - appunto...”
“Ahn... forse te ghe rasòn, Enrico”
“Vùto proprio che no ghe ghemo insegnà gnente, a 'sti tosi, Mario?”
“Sèmo forti, Enrico”
“Però, Mario, scòlta mejo. Prima el dixe 'naltra paròea: indi.... indi.... indi....”
“Chèl sìa dea squadra dei indiani, e stàltri fa i cow-boy?”
“No, Mario, scolta méjo: secondo mi se pronuncia t-u-t-t-o-t-a-c-c-a-t-o: INDI-PENDENSA! INDI-PENDENSA! INDI-PENDENSA...!”
E Mario: “Enrico, xe parchè sèmo a on campo-scuoea catòico, e no induìsta, se no me vegnarìa da credare aea reincarnasiòn”
“Parchè, Mario?”
“Secondo mi, Andrea podarìa essare 'na reincarnasiòn de un Doge. Un Doge venexian, quèi col capèo a ponta”
“Eo sèto che o penso anca mi, Mario? Bertin l'é on brontoeòn, ma sotto sotto l'é un bon toso mascherà, on generoso, el gà un cuore d'oro”.
“Come i mosaici de San Marco”
“Appunto”.
“Spèta, Enrico, e queo là, el pì piccoetto de tutti, chel core come on matto urlando INNOCENTI! INNOCENTIII!! Chi sèo?”
“El xe Milco Lando, Mario”
“Xeo drìo arrèndarse?”
“No, Mario, el voe costruirse on fortìn pa difèndarse dai attacchi dei nemici, e ghe serve del materiàe da costrusiòn!”
“Dei tubi... INNOCENTI?”
“Bravo, Mario, stasera te vedo pì svèio del sòito”
“Beh, el xe on Manina... on fiòeo d'arte, insomma!”
“Si, Mario, i tubi Innocenti serve pa farse 'na montatura... te podarissi provare anca ti, co quea de i to òciai, cossa ditto?”
“E queo? Queo che salta da un masso a 'staltro, faxendo Brùuuumm, brùuuum!?”
“Queo xe Simone Lando, che don Giuseppe cìama Cimone mio”
“El ga da vère 'na gran PASSIONE PER I MOTORI, chel toso, vero?”
“Sicuro, Mario: chissà fra un pochi de anni che ràssa de motorìn, o de macchina, chel garà...”
“E staltro Andrea? El Breda, chel xe là par conto suo, chel pare fare coexiòn dei tòchi de legno, e el dixe sòeo 'dèmoghe on tàio, tosi'?”
“Mario, ti ghe credito ai sogni premonitori?”
“Parché, Enrico?”
“Stanotte go fatto on incubo – sarà par colpa de chel'ostrega de Alessio Michieli chel ga da dormire sempre coea luce impissà sennò el piànse – che gerimo proprio casa de Andrea Breda, coea me A112 stracarica de tubi Innocenti, appunto, pa fare el carro del Carnevàe 1984”
“Eora?”
“Eora me presento a Piccardo, so papà de Andrea, e ghe digo: 'El me scusa, no vorìssimo disturbarlo...' e seto cosa chel me risponde?”
“No!”
“Piccardo me risponde tutto serio: 'Bravo, proprio cussì, parlato bene!'”
“Ostrega, on incubo davvero, Enrico!”
“On incubo terrificante, Mario: no capivo davvero sel fùsse drio torme pal xesto, o minacciàrme de morte permanente.... el pareva proprio vero! Speremo che nol sia on sogno premonitore! Te savarò dire fra do anni, sotto Carnevàe”
(E la storia santangiolese racconta che il sogno – drammaticamente – si avverò...)
In realtà, il buon Mariano detto Mario aveva una specialità tutta sua: gli dicevo sempre che secondo me avrebbe potuto diventare campione europeo di “tiro con l'ambolo” (tiro con l'albicocca, in italiàn). Ci mettevamo uno ad un capotavola, l'altro dalla parte opposta e mentre io scagliavo l'albicocca a mo' di “lancio del mortaio” lui la beccava infallibilmente – non si è mai capito come facesse – in bocca, aspirandola con le fauci.
Uno spettacolo da Circo Barnum, che i ragazzi del campo non mancavano di esigere rigorosamente ad ogni fine pasto, e vedevi trenta pupille attorno al tavolo roteare nell'aria di 180 gradi, da un polo all'altro, come nelle migliori championship di Wimbledon.
Ok, la ripresa a Madrid era iniziata, e già l'Italia stava spingendo forte.
All'undicesimo minuto del secondo tempo Rummenigge falcia a metà campo Lele Oriali, che quella partita l'ha vista più da orizzontale che altro: su di lui era tutto un fallo, quella sera. Botte da orbi. Oriali si rialza, batte a sorpresa verso Gentile che s'invola all'ala destra e fa subito partire un cross a centro area sul quale si fiondano Cabrini, spinto probabilmente dal fuoco del suo senso di colpa per il rigore fallito, ma di lui più svelto quel marpione di Paolo Rossi: GOOOOL! Italia 1 – Germania Ovest 0.
Da non dire il salto del presidente Pertini in tribuna, ed il roteare della sua pipa.
Ma l'apoteosi, l'immagine che per gli anni successivi riempirà le sigle di tutte le “Domeniche sportive” arriva dieci minuti dopo su un'iniziativa tutta dell'immenso Gaetano Scirea: ruba palla in contropiede e si lancia dritto nella metà campo avversaria, dopo qualche scambio con Rossi prima e Bergomi poi, vede libero al centro fuori area Tardelli cui offre la palla: Marco con un abile rimbalzo salta l'avversario diretto e lascia partire un formidabile fendente al volo di sinistro che trafigge Schumacher sul palo opposto.
E' l'estasi totale: il Santiago Bernabeu viene giù dall'ovazione (si, gli spagnoli tifavano per noi), Tardelli parte a pugni chiusi verso il bordo campo correndo ed urlando come preda di un interminabile orgasmo che forse anche nell'aldilà tutte le generazioni dei calciatori dal 1900 in poi avranno provato, e la telecamera inquadra ancora il Presidente Sandro Pertini che se potesse salterebbe in campo pure lui.
Al trentatreesimo minuto della ripresa ci penserà l'interista Altobelli a mettere nel sacco il terzo gol, su contropiede del micidiale Bruno Conti.
Mancano adesso solo nove minuti alla fine ed a quel punto sul labiale di Pertini si legge, rivolto a a Juan Carlos re di Spagna: “Adesso non ci prendono più! Adesso non ci pigliano più!” e con la famosa pipa disegna nell'aria: no, no, no!
Un gol, per la bandiera, lo segnerà anche Paul Breitner per la Germania, al trentottesimo minuto.
L'ultima palla é nei piedi del diciottenne Giuseppe Bergomi, é il quarantacinquesimo, la passa al centro ma l'arbitro la ferma con le mani, porta il fischietto alla bocca e Nando Martellini, il telecronista, esce con il celeberrimo “E' finita: Campioni del mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo!” Per tre volte, come le edizioni vinte all'epoca dalla nostra nazionale.
E quest'urlo di gioia della registrazione televisiva, lo si risentirà negli anni a seguire, di tanto in tanto, anche per le strade di Sant'Angelo di Piove, amplificato a tutto volume dall'altoparlante del furgoncino della Pulitura Michieli, quasi un auspicio della buona sorte per le successive edizioni della Coppa del Mondo, e non solo.
Al campo scuola scorsero le giornate successive; il martedì ci fu la lunga escursione ai rifugi Vazzoler e Tissi al Civetta, poi la seratona conclusiva del mercoledì con canti, giochi e scenette varie, ed il giovedì sera tutti a casa.
Domenica 18 luglio erano attesi i quattordicenni, per il campo nella casa di Ronch che avrei animato con Renzo, l'”Ammiraglio”.
Mi presi due giorni di stacco (“debriefing” si direbbe oggi) e venerdì salii con l'amico Giancarlo la ferrata sulla Croda Rossa di Sesto, in Pusteria.
Fu lassù, in cima a quella Croda, e poi lungo i tornanti dolomitici che percorrevo con la mia A112 verde e il deflettore aperto (si, le auto non avevano a quei tempi il climatizzatore; quel prezioso triangolino di cristallo ti faceva arrivare giusto l'aria necessaria a goderti il viaggio) che ripensando uno ad uno ai ragazzi del campo-scuola trascorso, ai loro volti, alle loro personalità ed ai sogni che ci avevano confessato nelle attività svolte, specie nelle revisioni di gruppo della sera prima di andare a letto, continuavano a risuonarmi nella mente le parole e le note di quella cassetta, una Basf C90 che avevo inserito – clack! – nel mangianastri.
Una ormai lisa e slabbrata C90, a forza di ascoltarla.
Che su un lato portava la scritta “Robert Allen Zimmerman”.
Ma sapevo benissimo che il nome d'arte del “cantautore” era un'altro...
“How many roads most a man walk down
Before you call him a man ?
Yes, how many years can a mountain exist
Before it's washed to the sea ?
Yes, how many times must a man look up
Before he can see the sky ?
The answer my friend is blowin' in the wind
The answer is blowin' in the wind....”
Michieli Alessio
Tamiazzo Moreno
Bertocco Devis
Ferali Filippo
Livieri Massimo
Molena Alessandro
Boischio Massimo
Breda Andrea
Benetazzo Damiano
Dalla Pria Maurizio
Ghirotti Sergio
Lando Milco
Bertin Andrea
Bragato Emanuele
Lando Simone: CAMPIONI DEL MONDO
https://www.youtube.com/watch?v=gFzvrT7J4NE