I HAVE A DREAM - L'AUTOEFFICACIA DEL GRAFOLOGO
Ricordo perfettamente
l’aria fresca, appena velata da una sottile riga di nebbia, di
quella mattina d’autunno di tre anni fa: il 7 novembre 2019. Ad
ormai quasi vent’anni dall’inizio del nuovo millennio, nonostante
la grossa crisi economico-sociale attraversata circa un decennio
prima, i popoli del mondo stavano vivendo un inaspettato periodo di
crescita umana e scientifica.
Mi stavo preparando per raggiungere la hall dell’albergo. Un’ultima stretta al nodo della cravatta, un colpetto di pettine – simbolico - ai pochi residui di un ciuffo che in epoche non poi così lontane aveva continuato a garantirmi una sembianza giovanile, quindi via diritto verso l’ascensore.
Ordinai un caffè al banco del piano terra dove la cameriera – era palese dietro quello sguardo forse più perplesso che interrogativo – sicuramente stava pensando se tutti quei grafologi colà riuniti fossero per davvero dotati di uno strumento utile a sciogliere l’arcano dubbio che si dibatteva tanto nella sua mente quanto nel suo altalenante umore: sarà mai la “persona giusta” quell’uomo con il quale stava per iniziare una convivenza? Mannaggia alla sorte, quella mattina manco un foglio di appunti, una cartolina del suo ragazzo poteva esibire a qualcuno di quei personaggi - per la verità un po’ paludati nell’aspetto e nelle movenze - studiosi della scrittura lì riuniti per un convegno, per estrapolarne un consiglio, un verdetto, un oracolo…
“L’autoefficacia del grafologo”, questo il titolo dell’evento. Solenne celebrazione di un’Associazione che, nata per opera di uno sparuto gruppo di appassionati cultori della materia nell’ultimo scorcio del “secolo breve”, era progressivamente aumentata di importanza fino a divenire un assoluto riferimento tra le Associazioni Scientifiche Internazionali. A.S.e.R.Graf.: Associazione Studi e Ricerca Grafologica.
L’austero professore veronese, da poco salito agli onori – ed agli oneri – dell’incarico di presidenza dell’InGrAss (International Graphologic Association) si stava preparando ad aprire solennemente i lavori. Da par suo. Non avrebbe usato slides o sussidi telematici. Come sempre, si sarebbe affidato esclusivamente alla propria eloquenza. Nessuno meglio di lui pareva in grado di svolgere la prolusione inaugurale, nonostante non ci fosse grafologo al mondo all’oscuro del fatto che quel mio vecchio compagno di corso negli anni degli studi urbinati eccellesse in tutto, fuorché nella sintesi.
Come primo relatore della mattinata, a seguire, era prevista la Lectio Magistralis del prof. Patriarchi, probabilmente il miglior grafologo di via Carlo Marx a Bologna. Il quale, nonostante l’altisonante nomea veterotestamentaria, veniva apprezzato quale un brillante cultore degli “altri segni” morettiani. “Da destra a sinistra: vidi vincere il mio lato ombra. Quando e come la grafologia mi risvegliò bustrofedico”. Questo il titolo della sua più recente pubblicazione scientifica, che costituiva l’oggetto del suo intervento. Praticamente, la storia di una conversione.
La seconda relazione era stata riservata ad un altro celebre luminare patavino, che proponeva questo argomento: “Su Moretti, dopo Moretti e dentro Moretti, davanti a Moretti. Perché Moretti… è Moretti”. Una sola convinzione traboccava adamantina dalle compiaciute espressioni degli altri soci A.S.e.R.Graf. già seduti in aula, mentre il loro sguardo si posava su questo punto della scaletta: “Comunque vada, sarà un successo”.
Il terzo intervento prima della pausa di metà mattinata vedeva in programma l’emerito Prof. Barin, noto come il “Piero Angela della grafologia”, straordinario divulgatore e padre di intere generazione di studiosi della scrittura, da lui personalmente iniziati, che avrebbe incentrato la sua relazione attorno al tema: “Un’analisi non si nega a nessuno. Più grafologia, per tutti”.
Mi ero fermato un istante, pensieroso, lungo il corridoio dalla soffice, rossa, moquette con ancora in bocca il gusto della brioche e nella mente il titolo del convegno che continuava a rimbalzarmi da un neurone e l’altro: “L’autoefficacia del grafologo”. E’ noto che con il termine “autoefficacia” si intende la “convinzione della propria capacità di fornire una certa prestazione, organizzando ed eseguendo le sequenze di azioni necessarie per gestire adeguatamente le situazioni che si incontreranno”. In altri termini, ciò si esprime nelle frasi in cui ci diciamo cose di questo tipo: “sono capace”; “ce la posso fare”; “Yes, I can….”.
Mi ero sempre chiesto se, ed in che modo, la grafologia potesse intercettare e misurare questo indice di personalità. Forse con l’Intozzata I modo? Mantiene il rigo? Dinamica? Aste rette? Ma, ci ricorda la teoria sociocognitiva, molto dipende dalle situazioni specifiche, e tra loro diverse, nelle quali ci veniamo a trovare. Ad esempio, nel caso di un grafologo, egli si può sentire particolarmente autoefficace nel campo dell’orientamento scolastico e professionale, ma molto meno in quello peritale, se non dispone di una preparazione specifica.
D’altronde, ci ricorda Albert Bandura, se l’autoefficacia non può essere considerata in termini di tratti di personalità, questo non esclude tuttavia la possibilità di considerarla in modo “generalizzato”, in quanto le aspettative legate ad eventi specifici si possono trasferire anche ad altri comportamenti e situazioni che possono richiedere modi di agire ed abilità tra loro simili.
In particolare, tre – ricorda Bandura -sono le dimensioni lungo le quali possono variare le aspettative di efficacia: la grandezza, la forza e la generalizzazione. Esemplificando, diciamo che la grandezza si riferisce al numero di difficoltà, in crescendo, che la persona si ritiene in grado di affrontare.
Ad esempio, un individuo che si propone di smettere di fumare può avere fiducia di riuscirvi quando è calmo e rilassato, ma avere dubbi sulla sua capacità di controllarsi in presenza di situazioni stressanti o persone che fumano.
La forza si riferisce all’ammontare del convincimento con cui si pensa alla propria efficacia: due fumatori potrebbero manifestare simili aspettative di efficacia circa la loro capacità di non fumare ad una festa, ma – su una scala da 1 a 100 - le credenze dell’uno potrebbero risultare più consistenti di quelle dell’altro.
La generalizzazione, infine, si riferisce alla misura con cui le autovalutazioni di efficacia nei confronto di determinate prestazioni sono in grado di influenzare le credenze di autoefficacia per compiti, comportamenti e situazioni simili. Se una persona riesce a smettere di fumare, ad esempio, è più facile che ritenga di riuscire anche a mettersi seriamente e con successo a dieta.
Ma se le cose stanno in questi termini, andavo rimurginando silenzioso, mentre chi mi passava accanto lungo il corridoio deve certamente aver notato il mio sguardo inebetito e perso nel vuoto, cosa mai “c’azzecca” con l’autoefficacia la grafologia, in quanto modello teorico che descrive la personalità principalmente in termini di tratti?
Fu a quel punto che uno strattone al gomito mi riportò alla realtà: era il collega Luciano Massi, che con un’aria ancor tanto sonnolenta quanto compassionevole mi passava accanto. Il caro Luciano, urbinate doc, anch’egli mio compagno di corso negli studi giovanili, poi successore del grande Palaferri nella sua prestigiosa medesima cattedra. Era rientrato nella notte, Luciano, con un lungo ponte aereo da Boston dove era stato uno dei più accreditati relatore al MIT nel contesto di un seminario scientifico di studi sistemico-genetici dedicato al tema: “Dal fotogramma all’enneagramma: la perdita delle pellicole nei nativi digitali come fattore rivelatore della scorza genitoriale”.
Fu proprio grazie a lui che i miei ultimi passi verso la sala convegni furono guidati da un minimo di consapevolezza. Tuttavia, non appena presi posto in aula, sprofondando nella comoda poltroncina di un verde ignifugo quantomai distensivo per i miei provati sensi, il turbine del dubbio riprese a girare forte: autoefficacia e grafologia, che mai c’azzeccheranno?...
Nel preciso istante in cui la benemerita preside Bertuzzo – gloriosa figura di docente, studiosa ed esperta di relazioni umane (chissà mai in qual modo le fosse riuscito di tenere insieme e d’accordo quella manica di grafologi per oltre vent’anni senza che si sbranassero tra loro…) eccola, finalmente, l’intuizione, il frammento di ricordo, l’insight che venne a salvarmi.
A più riprese Bandura aveva descritto le “fonti” dell’autoefficacia nei seguenti termini:
1. l’esperienza passata, in particolare la quantità di successi e fallimenti sperimentati dalla persona;
2. la quantità di apprendimento che la persona è riuscita a registrare tramite l’osservazione e l’imitazione;
3. la capacità immaginativa delle persone
4. la suscettibilità nei confronti della persuasione verbale
5. gli stati fisiologici: è più probabile che una persona avverta un senso di fallimento e tenda a dubitare della propria competenza quando è consapevole della presenza di sgradevoli sensazioni fisiologiche quali sudorazione, accelerazione del battito cardiaco, rossore, ecc. Sensazioni positive di benessere e rilassamento facilitano invece il sentirsi fiducioso nelle proprie capacità e competenze;
6. gli stati emozionali sperimentati che, non derivando semplicemente dall’arousal fisiologico, possono far registrare impatti diversi sulle prestazioni e sulle aspettative di autoefficacia.
E vuoi vedere allora, mi dicevo, che i tratti di personalità che grafologicamente emergono a partire dalla scrittura di un individuo non possano illuminarci assai su queste “fonti” dell’autoefficacia, specialmente a riguardo dei punti 3,4,5,6 appena citati, in termini di pre-disposizioni temperamentali?
Devo dire che questo brandello di memoria mi aiutò anche se, in realtà, non subito. Non mi ero infatti accorto che il tempo del coffee-break era già abbondantemente scaduto, e mentre io ero rimasto seduto in aula, prigioniero solitario ed assente delle mie elucubrazioni, tutti i convegnisti erano già usciti e rientrati. Mi stavo tuttavia progressivamente riprendendo, recuperando l’attenzione e la concentrazione su quanto veniva illustrato e discusso. Parlava in quel momento la giovane collega Milan, tra i primi allievi della scuola patavina e presto divenutane docente, che andava esponendo la sua brillante relazione sul tema: “La legge è diseguale per tutti. Metodicamente, rinviando a giudizio”.
In quell’anno, il 2019, la grafologia aveva finalmente assunto una dignità scientifica e specialmente un peso politico di primo piano e, riprendendomi, ne ritornavo consapevole. Sfilavano in successione gli interventi dei colleghi Todescato, Gentile, Ferrante, Addis, Candeo, Boracchi, Fossati, Gotti, Pozzobon, Smajato, Merletti. Interessantissimo, anche se di retrogusto un po’ amaro il contributo di quest’ultimo, altro storico docente di grafologia professionale in Urbino che riportava i dati di una sua famosa indagine statistica sui neolaureati di inizio millennio: “Chi non lavora, farà il dottore”. Si, a confronto con il recente passato la situazione attuale descriveva un “epoca d’oro” per la grafologia. Nel 2012 aveva riaperto i battenti il corso di laurea in Scienze Grafologiche all’università di Urbino. L’anno dopo, Roma e Palermo. Nel 2015, l’istituzione dei corsi accademici nelle università di Padova, Milano, l’Aquila, Bologna, Cagliari e Trieste. I principali docenti incaricati, oramai assunti allo status di professori ordinari, tutti provenienti dalla scuola patavina dell’ A.S.e.R.Graf…
Ecco, fu in quel momento che la sveglia suonò.
Non sono in grado di stabilire con precisione in quale fase del sonno REM mi trovassi, certo che le immagini erano di una vividezza… allucinante. Non appena i 15 secondi necessari allo sforzo di sollevare la prima palpebra me lo consentirono, il mio sguardo si mise alla ricerca del display della radiosveglia, che già aveva cominciato a gracchiare le notizie iniziali: “Una buona giornata a tutti voi ascoltatori, e buon ascolto del GR1, edizione delle 7,00 di sabato 7 novembre 2009…”.
Yes, I had a dream.
Allungai una mano dall’inconscio verso la radio e quasi per dispetto cambiai canale. La sintonia cadde su di una stazione locale. “Radio Gramma 109 nel darvi il benvenuto al convegno Grafologia e Comunicazione in programma oggi, a partire dalle ore nove, vi ricorda i che presso la cartoleria Scriba di via Del Santo, 69 a Padova potete trovare a prezzi scontatissimi i migliori prodotti…”
Yes, I had a dream.
Ancora contorto tra le coperte, capii che era inesorabilmente giunto il momento di alzarsi dal letto, per tentare di avviarsi lungo un percorso certamente più stentato che sinuoso verso il bagno, sforzandosi di recuperare in un tempo plausibile alla decenza una parvenza di posizione eretta.
Tuttavia, mentre poi di fronte allo specchio mi stavo dando l’ultimo colpetto di pettine – simbolico – non riuscivo a non pensare a quanto Karl Popper aveva affermato nella sua prolusione ad un convegno dei “Fellows of the Center for Advanced Study of the Behavioral Sciences” a Stanford, in California, nel 1956: “Esistono soltanto problemi e l’esigenza di risolverli. Una scienza come la botanica o la chimica è soltanto un’unità amministrativa”. E, forse per un analogo stato di frustrazione a seguito del brusco ritorno alla realtà dopo il sogno della notte appena trascorsa, mi sentivo particolarmente in sintonia con il seguito, quando Popper indica tre cose che lo irritano e che gli piace criticare:
Autoefficacia, grafologia, comunicazione, psicologia, multidisciplinarietà, collaborazione professionale… magari alla luce di queste non nuove, ma sempre attuali riflessioni popperiane si può riscoprire un codice di confronto, comprensione e sviluppo per ogni studioso che si occupi dell’”oggetto” uomo, da qualunque “disciplina” provenga?
I have a dream.
Yes, we can.
Mi stavo preparando per raggiungere la hall dell’albergo. Un’ultima stretta al nodo della cravatta, un colpetto di pettine – simbolico - ai pochi residui di un ciuffo che in epoche non poi così lontane aveva continuato a garantirmi una sembianza giovanile, quindi via diritto verso l’ascensore.
Ordinai un caffè al banco del piano terra dove la cameriera – era palese dietro quello sguardo forse più perplesso che interrogativo – sicuramente stava pensando se tutti quei grafologi colà riuniti fossero per davvero dotati di uno strumento utile a sciogliere l’arcano dubbio che si dibatteva tanto nella sua mente quanto nel suo altalenante umore: sarà mai la “persona giusta” quell’uomo con il quale stava per iniziare una convivenza? Mannaggia alla sorte, quella mattina manco un foglio di appunti, una cartolina del suo ragazzo poteva esibire a qualcuno di quei personaggi - per la verità un po’ paludati nell’aspetto e nelle movenze - studiosi della scrittura lì riuniti per un convegno, per estrapolarne un consiglio, un verdetto, un oracolo…
“L’autoefficacia del grafologo”, questo il titolo dell’evento. Solenne celebrazione di un’Associazione che, nata per opera di uno sparuto gruppo di appassionati cultori della materia nell’ultimo scorcio del “secolo breve”, era progressivamente aumentata di importanza fino a divenire un assoluto riferimento tra le Associazioni Scientifiche Internazionali. A.S.e.R.Graf.: Associazione Studi e Ricerca Grafologica.
L’austero professore veronese, da poco salito agli onori – ed agli oneri – dell’incarico di presidenza dell’InGrAss (International Graphologic Association) si stava preparando ad aprire solennemente i lavori. Da par suo. Non avrebbe usato slides o sussidi telematici. Come sempre, si sarebbe affidato esclusivamente alla propria eloquenza. Nessuno meglio di lui pareva in grado di svolgere la prolusione inaugurale, nonostante non ci fosse grafologo al mondo all’oscuro del fatto che quel mio vecchio compagno di corso negli anni degli studi urbinati eccellesse in tutto, fuorché nella sintesi.
Come primo relatore della mattinata, a seguire, era prevista la Lectio Magistralis del prof. Patriarchi, probabilmente il miglior grafologo di via Carlo Marx a Bologna. Il quale, nonostante l’altisonante nomea veterotestamentaria, veniva apprezzato quale un brillante cultore degli “altri segni” morettiani. “Da destra a sinistra: vidi vincere il mio lato ombra. Quando e come la grafologia mi risvegliò bustrofedico”. Questo il titolo della sua più recente pubblicazione scientifica, che costituiva l’oggetto del suo intervento. Praticamente, la storia di una conversione.
La seconda relazione era stata riservata ad un altro celebre luminare patavino, che proponeva questo argomento: “Su Moretti, dopo Moretti e dentro Moretti, davanti a Moretti. Perché Moretti… è Moretti”. Una sola convinzione traboccava adamantina dalle compiaciute espressioni degli altri soci A.S.e.R.Graf. già seduti in aula, mentre il loro sguardo si posava su questo punto della scaletta: “Comunque vada, sarà un successo”.
Il terzo intervento prima della pausa di metà mattinata vedeva in programma l’emerito Prof. Barin, noto come il “Piero Angela della grafologia”, straordinario divulgatore e padre di intere generazione di studiosi della scrittura, da lui personalmente iniziati, che avrebbe incentrato la sua relazione attorno al tema: “Un’analisi non si nega a nessuno. Più grafologia, per tutti”.
Mi ero fermato un istante, pensieroso, lungo il corridoio dalla soffice, rossa, moquette con ancora in bocca il gusto della brioche e nella mente il titolo del convegno che continuava a rimbalzarmi da un neurone e l’altro: “L’autoefficacia del grafologo”. E’ noto che con il termine “autoefficacia” si intende la “convinzione della propria capacità di fornire una certa prestazione, organizzando ed eseguendo le sequenze di azioni necessarie per gestire adeguatamente le situazioni che si incontreranno”. In altri termini, ciò si esprime nelle frasi in cui ci diciamo cose di questo tipo: “sono capace”; “ce la posso fare”; “Yes, I can….”.
Mi ero sempre chiesto se, ed in che modo, la grafologia potesse intercettare e misurare questo indice di personalità. Forse con l’Intozzata I modo? Mantiene il rigo? Dinamica? Aste rette? Ma, ci ricorda la teoria sociocognitiva, molto dipende dalle situazioni specifiche, e tra loro diverse, nelle quali ci veniamo a trovare. Ad esempio, nel caso di un grafologo, egli si può sentire particolarmente autoefficace nel campo dell’orientamento scolastico e professionale, ma molto meno in quello peritale, se non dispone di una preparazione specifica.
D’altronde, ci ricorda Albert Bandura, se l’autoefficacia non può essere considerata in termini di tratti di personalità, questo non esclude tuttavia la possibilità di considerarla in modo “generalizzato”, in quanto le aspettative legate ad eventi specifici si possono trasferire anche ad altri comportamenti e situazioni che possono richiedere modi di agire ed abilità tra loro simili.
In particolare, tre – ricorda Bandura -sono le dimensioni lungo le quali possono variare le aspettative di efficacia: la grandezza, la forza e la generalizzazione. Esemplificando, diciamo che la grandezza si riferisce al numero di difficoltà, in crescendo, che la persona si ritiene in grado di affrontare.
Ad esempio, un individuo che si propone di smettere di fumare può avere fiducia di riuscirvi quando è calmo e rilassato, ma avere dubbi sulla sua capacità di controllarsi in presenza di situazioni stressanti o persone che fumano.
La forza si riferisce all’ammontare del convincimento con cui si pensa alla propria efficacia: due fumatori potrebbero manifestare simili aspettative di efficacia circa la loro capacità di non fumare ad una festa, ma – su una scala da 1 a 100 - le credenze dell’uno potrebbero risultare più consistenti di quelle dell’altro.
La generalizzazione, infine, si riferisce alla misura con cui le autovalutazioni di efficacia nei confronto di determinate prestazioni sono in grado di influenzare le credenze di autoefficacia per compiti, comportamenti e situazioni simili. Se una persona riesce a smettere di fumare, ad esempio, è più facile che ritenga di riuscire anche a mettersi seriamente e con successo a dieta.
Ma se le cose stanno in questi termini, andavo rimurginando silenzioso, mentre chi mi passava accanto lungo il corridoio deve certamente aver notato il mio sguardo inebetito e perso nel vuoto, cosa mai “c’azzecca” con l’autoefficacia la grafologia, in quanto modello teorico che descrive la personalità principalmente in termini di tratti?
Fu a quel punto che uno strattone al gomito mi riportò alla realtà: era il collega Luciano Massi, che con un’aria ancor tanto sonnolenta quanto compassionevole mi passava accanto. Il caro Luciano, urbinate doc, anch’egli mio compagno di corso negli studi giovanili, poi successore del grande Palaferri nella sua prestigiosa medesima cattedra. Era rientrato nella notte, Luciano, con un lungo ponte aereo da Boston dove era stato uno dei più accreditati relatore al MIT nel contesto di un seminario scientifico di studi sistemico-genetici dedicato al tema: “Dal fotogramma all’enneagramma: la perdita delle pellicole nei nativi digitali come fattore rivelatore della scorza genitoriale”.
Fu proprio grazie a lui che i miei ultimi passi verso la sala convegni furono guidati da un minimo di consapevolezza. Tuttavia, non appena presi posto in aula, sprofondando nella comoda poltroncina di un verde ignifugo quantomai distensivo per i miei provati sensi, il turbine del dubbio riprese a girare forte: autoefficacia e grafologia, che mai c’azzeccheranno?...
Nel preciso istante in cui la benemerita preside Bertuzzo – gloriosa figura di docente, studiosa ed esperta di relazioni umane (chissà mai in qual modo le fosse riuscito di tenere insieme e d’accordo quella manica di grafologi per oltre vent’anni senza che si sbranassero tra loro…) eccola, finalmente, l’intuizione, il frammento di ricordo, l’insight che venne a salvarmi.
A più riprese Bandura aveva descritto le “fonti” dell’autoefficacia nei seguenti termini:
1. l’esperienza passata, in particolare la quantità di successi e fallimenti sperimentati dalla persona;
2. la quantità di apprendimento che la persona è riuscita a registrare tramite l’osservazione e l’imitazione;
3. la capacità immaginativa delle persone
4. la suscettibilità nei confronti della persuasione verbale
5. gli stati fisiologici: è più probabile che una persona avverta un senso di fallimento e tenda a dubitare della propria competenza quando è consapevole della presenza di sgradevoli sensazioni fisiologiche quali sudorazione, accelerazione del battito cardiaco, rossore, ecc. Sensazioni positive di benessere e rilassamento facilitano invece il sentirsi fiducioso nelle proprie capacità e competenze;
6. gli stati emozionali sperimentati che, non derivando semplicemente dall’arousal fisiologico, possono far registrare impatti diversi sulle prestazioni e sulle aspettative di autoefficacia.
E vuoi vedere allora, mi dicevo, che i tratti di personalità che grafologicamente emergono a partire dalla scrittura di un individuo non possano illuminarci assai su queste “fonti” dell’autoefficacia, specialmente a riguardo dei punti 3,4,5,6 appena citati, in termini di pre-disposizioni temperamentali?
Devo dire che questo brandello di memoria mi aiutò anche se, in realtà, non subito. Non mi ero infatti accorto che il tempo del coffee-break era già abbondantemente scaduto, e mentre io ero rimasto seduto in aula, prigioniero solitario ed assente delle mie elucubrazioni, tutti i convegnisti erano già usciti e rientrati. Mi stavo tuttavia progressivamente riprendendo, recuperando l’attenzione e la concentrazione su quanto veniva illustrato e discusso. Parlava in quel momento la giovane collega Milan, tra i primi allievi della scuola patavina e presto divenutane docente, che andava esponendo la sua brillante relazione sul tema: “La legge è diseguale per tutti. Metodicamente, rinviando a giudizio”.
In quell’anno, il 2019, la grafologia aveva finalmente assunto una dignità scientifica e specialmente un peso politico di primo piano e, riprendendomi, ne ritornavo consapevole. Sfilavano in successione gli interventi dei colleghi Todescato, Gentile, Ferrante, Addis, Candeo, Boracchi, Fossati, Gotti, Pozzobon, Smajato, Merletti. Interessantissimo, anche se di retrogusto un po’ amaro il contributo di quest’ultimo, altro storico docente di grafologia professionale in Urbino che riportava i dati di una sua famosa indagine statistica sui neolaureati di inizio millennio: “Chi non lavora, farà il dottore”. Si, a confronto con il recente passato la situazione attuale descriveva un “epoca d’oro” per la grafologia. Nel 2012 aveva riaperto i battenti il corso di laurea in Scienze Grafologiche all’università di Urbino. L’anno dopo, Roma e Palermo. Nel 2015, l’istituzione dei corsi accademici nelle università di Padova, Milano, l’Aquila, Bologna, Cagliari e Trieste. I principali docenti incaricati, oramai assunti allo status di professori ordinari, tutti provenienti dalla scuola patavina dell’ A.S.e.R.Graf…
Ecco, fu in quel momento che la sveglia suonò.
Non sono in grado di stabilire con precisione in quale fase del sonno REM mi trovassi, certo che le immagini erano di una vividezza… allucinante. Non appena i 15 secondi necessari allo sforzo di sollevare la prima palpebra me lo consentirono, il mio sguardo si mise alla ricerca del display della radiosveglia, che già aveva cominciato a gracchiare le notizie iniziali: “Una buona giornata a tutti voi ascoltatori, e buon ascolto del GR1, edizione delle 7,00 di sabato 7 novembre 2009…”.
Yes, I had a dream.
Allungai una mano dall’inconscio verso la radio e quasi per dispetto cambiai canale. La sintonia cadde su di una stazione locale. “Radio Gramma 109 nel darvi il benvenuto al convegno Grafologia e Comunicazione in programma oggi, a partire dalle ore nove, vi ricorda i che presso la cartoleria Scriba di via Del Santo, 69 a Padova potete trovare a prezzi scontatissimi i migliori prodotti…”
Yes, I had a dream.
Ancora contorto tra le coperte, capii che era inesorabilmente giunto il momento di alzarsi dal letto, per tentare di avviarsi lungo un percorso certamente più stentato che sinuoso verso il bagno, sforzandosi di recuperare in un tempo plausibile alla decenza una parvenza di posizione eretta.
Tuttavia, mentre poi di fronte allo specchio mi stavo dando l’ultimo colpetto di pettine – simbolico – non riuscivo a non pensare a quanto Karl Popper aveva affermato nella sua prolusione ad un convegno dei “Fellows of the Center for Advanced Study of the Behavioral Sciences” a Stanford, in California, nel 1956: “Esistono soltanto problemi e l’esigenza di risolverli. Una scienza come la botanica o la chimica è soltanto un’unità amministrativa”. E, forse per un analogo stato di frustrazione a seguito del brusco ritorno alla realtà dopo il sogno della notte appena trascorsa, mi sentivo particolarmente in sintonia con il seguito, quando Popper indica tre cose che lo irritano e che gli piace criticare:
- le mode: “Non credo in mode, orientamenti, tendenze o scuole, nè nella scienza nè nella filosofìa…”
- lo scimmiottamento della scienza fisica: “Disprezzo il tentativo, fatto in campi esterni alle scienze fisiche, di scimmiottarle praticando i loro presunti metodi (misurazione e induzione dall'osservazione). La dottrina che ci sia tanta scienza in una disciplina quanta è la matematica o la misurazione, o la precisione, che vi si ritrova si basa su un totale fraintendimento. Al contrario, la seguente massima vale per tutte le scienze: non puntare mai a una precisione maggiore di quanta non ne richieda il problema in esame”
- l'autorità dello specialista: “Non credo nella specializzazione e negli specialisti. Tributando un eccessivo rispetto allo specialista, noi stiamo distruggendo la comunità del sapere, la tradizione razionalista e la scienza stessa".
Autoefficacia, grafologia, comunicazione, psicologia, multidisciplinarietà, collaborazione professionale… magari alla luce di queste non nuove, ma sempre attuali riflessioni popperiane si può riscoprire un codice di confronto, comprensione e sviluppo per ogni studioso che si occupi dell’”oggetto” uomo, da qualunque “disciplina” provenga?
I have a dream.
Yes, we can.