Semplicemente impensabile: nessuna equazione pitagorica la poteva prevedere.
Eppure la mise là. Inchiodata in alto, all’incrocio, sotto la traversa. Tacconi, subìta e consumata l’offesa, giace addosso al palo. Come un ladrone crocifisso, appena deposto al suolo.
Perché è giusto questa, l’esclusiva dei campioni. Anzi, del genio: hai l’intenzione, e la traduci in atto.
Senza ripensamenti, senza sbavature. L’azione viene liscia, come la pelle di un bambino.
Quello che mille volte tenti di replicare, nella vita.
E nello sport, sia pure dilettante. Una su mille, magari ti riesce.
Come in quella partitella, domenica novembre pomeriggio. Al Marafognà, poco sopra metà campo. Scarto Massimiliano, ventun anni per due metri (aver le leve corte ti avvantaggia, in certe cose). La zolla del terreno me la rimbalza a mezza altezza. Chiudo gli occhi e tiro, a più non posso. La incoccio a collo pieno.
Rialzo lo sguardo, mentre si sta insaccando; un punto a capo in mezzo al 7. Baccarin, il portiere del mistero, vola come un pipistrello, che per lui è normale. Doveva avere le molle nei tacchetti - sottratte all’officina - e due pistoni nelle gambe. Lo pensavamo tutti, ma quella volta non ci arriva.
E’ goal! Lo capisco dai gridolini dei sette-otto spettatori, ma ancora non ci credo.
Invece a Diego Armando queste cose risultavano normali. Un gioco di prestigio, la palla che entra in rete, ottantamila cuori in orgasmo sugli spalti.
Festa, giubilo, oblio d’ogni dolore. Poveracci e intellettuali, scarti umani e belle donne, teneri bimbi e delinquenti.
Fors’anche qualche algido prelato: gioia, abbracci; sangue sciolto dint’e vene.
Vincere tutto, e sbagliare molto.
Chi è senza peccato, scagli la prima punizione.
Un figlio dell’Uomo che vince, soffre, muore.
Forse questa la ragione per cui lo si ama, contro ogni ragione.
Mamà, si.
Ho visto Maradona.