IL CAPODANNO DEL CRICETO JOE
“Vorrei fosse già il 7 gennaio!”
Si, è stata una delle affermazioni più ricorrenti che ho ascoltato nei giorni antecedenti il Natale.
Chiunque si occupi di supporto emotivo, di consulenza professionale ai disturbi dell'umore, o più semplicemente abbia personalmente attraversato qualche momento “buca” nella vita, conosce bene di cosa si sta parlando.
No, non si tratta solo di quelle depressioni stagionali (a livello clinico esiste addirittura un'etichetta: “Seasonal Affective Disorders”) ben documentate e maggiormente presenti nei paesi del Nord, dove la luce e le temperature sono inferiori al resto d’Europa.
Sto raccontando di quel disagio condito da fastidio e irritabilità che affligge chi le feste “comandate” - specie quelle dell'intimità e del buon augurio come il 25 dicembre e il Capodanno - si trova a trascorrerle in solitudine, o in situazioni di difficoltà relazionale.
Allora, in questa notte vigilia dell'Epifania, mi piace pensare a una favola.
Una storia che potremmo costruire qui, adesso, proprio mentre la sto scrivendo.
Facciamola principiar così: “C'era una volta un criceto di nome Joe...”.
Gli era stata data una famiglia da un castoro e una marmotta, che non potevano avere cuccioli propri. Ma, si sa: la genitorialità è sempre un'esperienza adottiva. E' sottrarre un'esistenza all'insignificanza. E' fornire un nome, un'identità, una prospettiva di futuro.
Babbo castoro aveva un proprio personale slogan programmatico, che aveva eletto a regola di vita: “Si vive una volta sola!”.
Mamma marmotta invece - al contrario, ma con la medesima risolutezza e convinzione - ribatteva di continuo: “No, una volta sola si muore; si vive tutti i giorni, ogni nuovo giorno”.
Erano andati a raccoglierlo dall'altra parte della terra, Joe; o del mondo, addirittura. In una selvaggia steppa prossima all'Antartide. Gli avevano dato una casa, un focolare. Indumenti puliti e un piatto sempre pronto, di cibo caldo e confortante.
Aveva imparato a stare con gli amici. Gli esperti chiamano 'sta cosa “socializzare”. Chissà perché bisogna sempre trovare parole più complicate di come l'esperienza parli: semplice, concreto.
“Si vive una volta sola!”
“No, caro mio: una volta sola si muore; si vive tutti i giorni, ogni nuovo giorno” ribatteva ostinata mamma marmotta.
Joe non era sicuro fosse questo, il motivo per cui a un certo punto si erano lasciati. A causa di questa divergenza, ingranditasi giorno dopo giorno in un conflitto che pareva insanabile.
Ironia della sorte: era successo proprio alla vigilia di Natale. La notte dell'amore, delle cose soffici e protettive. Del calore che promana dalla pelle un bue, dal fiato di un asinello. A riscaldare la fragilità suprema di un bimbo piccolo, un neonato. Proprio com'era capitato a Joe.
“Proprio come me!”, pensava.
Si dice che i criceti siano creature smemorate, ripetano compulsivamente di continuo le stesse azioni in quanto non riescono a trattenere oltre la memoria a breve termine le informazioni, le sequenze utili a risparmiar fatica cognitiva e operazionale.
Fatto sta che Joe, il piccolo criceto, ne aveva elaborato uno tutto suo, di slogan programmatico. Nuovo, originale, estremamente personale. A furia di far girare la ruota del suo minuscolo, ma vivacissimo cervellino, aveva trovato una soluzione – almeno per lui era buona – al perché la sua storia, la propria biografia, assomigliasse a un ottovolante di continui abbandoni e ripescaggi, perdite e ritrovamenti, abbracci e solitudini.
No, non è tuttavia l'unica, quella del criceto Joe, la storia che conosco.
Penso a Roberto, cinquantenne, solo con la sua sedia a rotelle. Era stato una giovane promessa dello sport. Poi un incidente in moto. Poi una donna che l'ha amato. Poi divenuta moglie.
Poi un divorzio. E gli amici che non capiscono. Che giudicano, molti.
Anche quelli che si schierano dalla tua parte, a rimanere, alla fine, restan pochi.
A volte la vita gira più velocemente di una ruota. Non sempre è quella della fortuna.
Penso a Zoe, otto anni di convivenza con l'uomo assieme al quale condivideva i sogni, l'amore, i viaggi. Il progetto di un'esistenza da spendere in due, uno al fianco dell'altra.
Nella buona, nella cattiva sorte.
Zoe, che alla vigilia di Natale si ritrova con le pagine strappate. Era un bellissimo libro, scritto a quattro mani. Ora, un quaderno lacero. Lo vorrebbe buttare, vederlo ardere, dilaniato da fiamme impietose. Come quelle le bruciano dentro l'anima. Giorno e notte. Notte, e giorno. Senza tregua. Senza pace. E non ce la fa. Non ci riesce.
Non c'è peggior dolore, di quello senza scampo.
Finché ci sembra, senza scampo.
Per tutto il tempo che dura.
A volte, davvero lungo.
Sempre troppo, lungo.
Qual'era la frase coniata dal piccolo criceto Joe, mi stai chiedendo?
Beh, quelle di papà castoro e di mamma marmotta te le ricordi, no?
“Si vive una volta sola!”.
“No, caro mio: una volta sola si muore; si vive tutti i giorni, ogni nuovo giorno”.
Joe pensava che, di morire, gli era capitato già diverse volte, nella sua pur breve esistenza.
E di rinascere, pure.
“Muoio ogni giorno, ogni volta”, si diceva, “quando penso alla mia mamma dell'altra parte del mondo. Quella che mi ha abbandonato. Mi chiedo perché. Se io fossi stato più buono, l'avrebbe fatto?”
“Ma rinasco, quando sento la mia piccola mano dentro quella di mamma marmotta. Quando sento che stringe la mia. E camminiamo lungo il viale. E a lei posso fare tutte le domande del mondo. Confidare le mie paure. Si, rinasco ogni giorno, quando sono con lei. Mamma marmotta. Ma quanto bella è?”.
“Muoio quando penso che forse ho altri fratelli. Forse non li conoscerò mai. Muoio quando immagino che i miei genitori lontani hanno preferito tenere loro, e abbandonare me. Sono stato troppo cattivo? Mi sono comportato male? E' così, che non mi hanno più voluto bene?”
“Però rinasco ogni giorno, quando papà castoro mi porta sulla bicicletta. E mi fa ascoltare la musica del rock. E cantiamo assieme, a squarciagola. Un giorno, ha detto, mi regalerà una chitarra. Elettrica!”.
Come quella dei Pink Floyd, che ascolta sempre.
Si, Joe il criceto ne aveva elaborata una, tutta sua, di frase programmatica: “Non si vive una volta sola. E non è vero, che si muore una sola volta”, come pensavano papà castoro o mamma marmotta.
Joe il piccolo criceto aveva capito che si muore di più in certi giorni, rispetto ad altri.
Ma si rinasce anche; a lui era successo, tante volte.
“Quando ho loro accanto a me”, si diceva, “allora rinasco”.
“Quando gioco con i miei amici. Quando la maestra mi dice “bravo!” e si vede che le piace davvero, il mio disegno”.
”Quando Francesca, la mia amica della scuola materna, mi faceva le carezze sulla guancia. Con quella sua manina, così leggera, che sapeva di gelato alla panna...”.
Anche mamma marmotta e papà castoro si erano rifatti una vita. Erano rinati, quindi.
E risultavano davvero bravi a far sentire – ancora e sempre – il piccolo Joe così speciale. La cosa più importante del mondo. Al di sopra delle loro divergenze. Dei soldi. Delle case. Dei week end.
Un giorno, andando a scuola, raggiunta oramai l'età della primaria, delle prime operazioni di matematica, Joe interrogava il suo amichetto Mario in questo modo: “Tu, l'hai mai visto un primo che arriva dopo l'ultimo?”
Mario in quel momento pensava Joe si fosse rincitrullito, e stava per correre a dirlo, alla maestra.
“Aspetta!” gli fa Joe.
“Io sì: il 31 dicembre. A mezzanotte, quando tutti si abbracciano, si stappano le bottiglie, si baciano e si fanno gli auguri. Il primo, arriva dopo l'ultimo. L'ultimo dell'anno vecchio, che finisce, e il primo dell'anno nuovo, che arriva!”.
Proprio così.
Il piccolo criceto aveva imparato, non solo sui libri di carta ma lungo le pagine della vita (come quelle di Zoe, e di Roberto, e mille altri: le mie, le tue) che nulla nasce senza che qualcos'altro nel contempo muoia.
Che:“Non si vive una volta sola. E non si muore una sola volta”.
Che si può vivere, e anche rinascere, tutti i giorni. Ogni nuovo giorno.
“Allora”, ci sta dicendo Joe da questa notte dell'Epifania, la notte della vecchina che vola sulla scopa, brutta ma che sa esser anche buona, con chi lo merita... “Buon nuovo anno, buon anno nuovo, a tutto il mondo!”
Fino all'Antartide?
"Certamente!"
“Tu, però, mamma-marmotta, non mi abbandonerai, vero?”
- stand by me -
Si, è stata una delle affermazioni più ricorrenti che ho ascoltato nei giorni antecedenti il Natale.
Chiunque si occupi di supporto emotivo, di consulenza professionale ai disturbi dell'umore, o più semplicemente abbia personalmente attraversato qualche momento “buca” nella vita, conosce bene di cosa si sta parlando.
No, non si tratta solo di quelle depressioni stagionali (a livello clinico esiste addirittura un'etichetta: “Seasonal Affective Disorders”) ben documentate e maggiormente presenti nei paesi del Nord, dove la luce e le temperature sono inferiori al resto d’Europa.
Sto raccontando di quel disagio condito da fastidio e irritabilità che affligge chi le feste “comandate” - specie quelle dell'intimità e del buon augurio come il 25 dicembre e il Capodanno - si trova a trascorrerle in solitudine, o in situazioni di difficoltà relazionale.
Allora, in questa notte vigilia dell'Epifania, mi piace pensare a una favola.
Una storia che potremmo costruire qui, adesso, proprio mentre la sto scrivendo.
Facciamola principiar così: “C'era una volta un criceto di nome Joe...”.
Gli era stata data una famiglia da un castoro e una marmotta, che non potevano avere cuccioli propri. Ma, si sa: la genitorialità è sempre un'esperienza adottiva. E' sottrarre un'esistenza all'insignificanza. E' fornire un nome, un'identità, una prospettiva di futuro.
Babbo castoro aveva un proprio personale slogan programmatico, che aveva eletto a regola di vita: “Si vive una volta sola!”.
Mamma marmotta invece - al contrario, ma con la medesima risolutezza e convinzione - ribatteva di continuo: “No, una volta sola si muore; si vive tutti i giorni, ogni nuovo giorno”.
Erano andati a raccoglierlo dall'altra parte della terra, Joe; o del mondo, addirittura. In una selvaggia steppa prossima all'Antartide. Gli avevano dato una casa, un focolare. Indumenti puliti e un piatto sempre pronto, di cibo caldo e confortante.
Aveva imparato a stare con gli amici. Gli esperti chiamano 'sta cosa “socializzare”. Chissà perché bisogna sempre trovare parole più complicate di come l'esperienza parli: semplice, concreto.
“Si vive una volta sola!”
“No, caro mio: una volta sola si muore; si vive tutti i giorni, ogni nuovo giorno” ribatteva ostinata mamma marmotta.
Joe non era sicuro fosse questo, il motivo per cui a un certo punto si erano lasciati. A causa di questa divergenza, ingranditasi giorno dopo giorno in un conflitto che pareva insanabile.
Ironia della sorte: era successo proprio alla vigilia di Natale. La notte dell'amore, delle cose soffici e protettive. Del calore che promana dalla pelle un bue, dal fiato di un asinello. A riscaldare la fragilità suprema di un bimbo piccolo, un neonato. Proprio com'era capitato a Joe.
“Proprio come me!”, pensava.
Si dice che i criceti siano creature smemorate, ripetano compulsivamente di continuo le stesse azioni in quanto non riescono a trattenere oltre la memoria a breve termine le informazioni, le sequenze utili a risparmiar fatica cognitiva e operazionale.
Fatto sta che Joe, il piccolo criceto, ne aveva elaborato uno tutto suo, di slogan programmatico. Nuovo, originale, estremamente personale. A furia di far girare la ruota del suo minuscolo, ma vivacissimo cervellino, aveva trovato una soluzione – almeno per lui era buona – al perché la sua storia, la propria biografia, assomigliasse a un ottovolante di continui abbandoni e ripescaggi, perdite e ritrovamenti, abbracci e solitudini.
No, non è tuttavia l'unica, quella del criceto Joe, la storia che conosco.
Penso a Roberto, cinquantenne, solo con la sua sedia a rotelle. Era stato una giovane promessa dello sport. Poi un incidente in moto. Poi una donna che l'ha amato. Poi divenuta moglie.
Poi un divorzio. E gli amici che non capiscono. Che giudicano, molti.
Anche quelli che si schierano dalla tua parte, a rimanere, alla fine, restan pochi.
A volte la vita gira più velocemente di una ruota. Non sempre è quella della fortuna.
Penso a Zoe, otto anni di convivenza con l'uomo assieme al quale condivideva i sogni, l'amore, i viaggi. Il progetto di un'esistenza da spendere in due, uno al fianco dell'altra.
Nella buona, nella cattiva sorte.
Zoe, che alla vigilia di Natale si ritrova con le pagine strappate. Era un bellissimo libro, scritto a quattro mani. Ora, un quaderno lacero. Lo vorrebbe buttare, vederlo ardere, dilaniato da fiamme impietose. Come quelle le bruciano dentro l'anima. Giorno e notte. Notte, e giorno. Senza tregua. Senza pace. E non ce la fa. Non ci riesce.
Non c'è peggior dolore, di quello senza scampo.
Finché ci sembra, senza scampo.
Per tutto il tempo che dura.
A volte, davvero lungo.
Sempre troppo, lungo.
Qual'era la frase coniata dal piccolo criceto Joe, mi stai chiedendo?
Beh, quelle di papà castoro e di mamma marmotta te le ricordi, no?
“Si vive una volta sola!”.
“No, caro mio: una volta sola si muore; si vive tutti i giorni, ogni nuovo giorno”.
Joe pensava che, di morire, gli era capitato già diverse volte, nella sua pur breve esistenza.
E di rinascere, pure.
“Muoio ogni giorno, ogni volta”, si diceva, “quando penso alla mia mamma dell'altra parte del mondo. Quella che mi ha abbandonato. Mi chiedo perché. Se io fossi stato più buono, l'avrebbe fatto?”
“Ma rinasco, quando sento la mia piccola mano dentro quella di mamma marmotta. Quando sento che stringe la mia. E camminiamo lungo il viale. E a lei posso fare tutte le domande del mondo. Confidare le mie paure. Si, rinasco ogni giorno, quando sono con lei. Mamma marmotta. Ma quanto bella è?”.
“Muoio quando penso che forse ho altri fratelli. Forse non li conoscerò mai. Muoio quando immagino che i miei genitori lontani hanno preferito tenere loro, e abbandonare me. Sono stato troppo cattivo? Mi sono comportato male? E' così, che non mi hanno più voluto bene?”
“Però rinasco ogni giorno, quando papà castoro mi porta sulla bicicletta. E mi fa ascoltare la musica del rock. E cantiamo assieme, a squarciagola. Un giorno, ha detto, mi regalerà una chitarra. Elettrica!”.
Come quella dei Pink Floyd, che ascolta sempre.
Si, Joe il criceto ne aveva elaborata una, tutta sua, di frase programmatica: “Non si vive una volta sola. E non è vero, che si muore una sola volta”, come pensavano papà castoro o mamma marmotta.
Joe il piccolo criceto aveva capito che si muore di più in certi giorni, rispetto ad altri.
Ma si rinasce anche; a lui era successo, tante volte.
“Quando ho loro accanto a me”, si diceva, “allora rinasco”.
“Quando gioco con i miei amici. Quando la maestra mi dice “bravo!” e si vede che le piace davvero, il mio disegno”.
”Quando Francesca, la mia amica della scuola materna, mi faceva le carezze sulla guancia. Con quella sua manina, così leggera, che sapeva di gelato alla panna...”.
Anche mamma marmotta e papà castoro si erano rifatti una vita. Erano rinati, quindi.
E risultavano davvero bravi a far sentire – ancora e sempre – il piccolo Joe così speciale. La cosa più importante del mondo. Al di sopra delle loro divergenze. Dei soldi. Delle case. Dei week end.
Un giorno, andando a scuola, raggiunta oramai l'età della primaria, delle prime operazioni di matematica, Joe interrogava il suo amichetto Mario in questo modo: “Tu, l'hai mai visto un primo che arriva dopo l'ultimo?”
Mario in quel momento pensava Joe si fosse rincitrullito, e stava per correre a dirlo, alla maestra.
“Aspetta!” gli fa Joe.
“Io sì: il 31 dicembre. A mezzanotte, quando tutti si abbracciano, si stappano le bottiglie, si baciano e si fanno gli auguri. Il primo, arriva dopo l'ultimo. L'ultimo dell'anno vecchio, che finisce, e il primo dell'anno nuovo, che arriva!”.
Proprio così.
Il piccolo criceto aveva imparato, non solo sui libri di carta ma lungo le pagine della vita (come quelle di Zoe, e di Roberto, e mille altri: le mie, le tue) che nulla nasce senza che qualcos'altro nel contempo muoia.
Che:“Non si vive una volta sola. E non si muore una sola volta”.
Che si può vivere, e anche rinascere, tutti i giorni. Ogni nuovo giorno.
“Allora”, ci sta dicendo Joe da questa notte dell'Epifania, la notte della vecchina che vola sulla scopa, brutta ma che sa esser anche buona, con chi lo merita... “Buon nuovo anno, buon anno nuovo, a tutto il mondo!”
Fino all'Antartide?
"Certamente!"
“Tu, però, mamma-marmotta, non mi abbandonerai, vero?”
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