Anche se ti chiamano il “numero uno”, a volte non trovi scampo. Forse tantopiù per questo.
C'è un luogo dove lo sguardo diventa smorfia. E' la zona dell'invidia.
E' la ferita data dal senso dell'esclusione. E' il patimento dato dal godimento dell'intruso.
E' una dimensione costitutiva del desiderio umano, ove attecchiscono tutti i fantasmi di distruzione più arcaici.
Non la soddisfi se non nell'auspicio della demolizione dei beni altrui.
Per questo va automaticamente a sposarsi con la rabbia, l'aggressività.
Non ne esci, se non riconosci l'Altro.
Ciò che tu non sei, o forse non diverrai mai. Magari ciò che sei stato, in tempi differenti.
Ciò che l'Altro è, nella realtà, non come avatar delle tue paure.
Non ne esci se smetti di considerare l'esistenza un grande eterno gioco.
Io oggi sorpasso te, tu domani – o prima ancora che m'accorga – me.
Possibile?
Forse si, ma a una condizione.
Quella di non mandare a gambe all'aria il desiderio della relazione, della presenza altrui.
Del nuovo, del diverso.
Perchè se l'Altro lo togli di mezzo, non c'é più nemmeno gara.
E una sola cosa, ti rimane: l'insoddisfazione.