HONKY TONK, MY FRIENDS
Un mito non muore.
Mai, per definizione.
Tantopiù se l'hai adorato fin dall'adolescenza.
Vigeva un obbligo, per la nostra generazione; un codice non scritto, ma che in quegli anni portavi a sigillo indiscutibile nell'anima: “fare gruppo”.
Così era in parrocchia, così a scuola, idem nella squadra di pallone.
Così nelle lunghe domeniche pomeriggio trascorse naso a naso, in pose varie ma stabilmente in orbita georeferenziale rispetto agli scalini affacciati sulla piazza del paese.
Uno dei ricordi più vividi, lo rintraccio nella primavera del 1977:
“Dove andiamo a testimoniare il nostro impegno il prossimo fine settimana, ragazzi?”
“Beh, tutti alla Casa di Riposo di Piove di Sacco, no?”
C'è sempre uno più degli altri, che a quell'età manifesta eclatanti sintomi di fanatismo, misto magari a una dose di mitomania sopra la media.
A turno, tocca un po' a ciascuno.
Quel pomeriggio il Fenomeno lo potevi osservare nel personaggio che sul manubrio della bici teneva un registratore Grundig a cassette - che pure le batterie probabilmente invocavano “pietà, non ne possiamo più” - a tutto volume lungo la strada che separa Sant'Angelo da Piove.
Il ritmo, quello di un incontenibile boogie woogie, sigla in quella stagione di un programma tv chiamato: “Odeon – tutto quanto fa spettacolo”.
Lo sciame di ragazzi che eravamo, sicuramente non inferiore ai venti.
Tutti ormoni al galoppo (per legge naturale a quell'età, Battiato docet), entusiasmo, ingenuità e convinzione che davvero il mondo ce l'avremmo fatta, ad aggiustarlo.
Principiando esattamente dalla visita elargita a quei vecchietti, poveri ospiti della Casa di Riposo di Piove di Sacco, ai nostri occhi eloquenti vittime reietti della società capitalista.
Il “Fenomeno” musical-sonoro, in quelle curve di via Piovega, nell'occasione ero io.
Che poi l'ossessione, come se l'ascolto ripetuto ne facilitasse l'assimilazione, era quella terzina ribattuta dove l'anulare picchiava sopra il medio, a quella velocità che manco settimane di tamburellar di dita sul banco del liceo durante le ore di italiano della Bixio, mi riuscivano a rendere sciolto, agevole e automatico.
Come diamine facevi, brutto Keith, a farle risuonare così distinte, precise e tintinnanti quelle note, lungo quell'indiavolato riff?
Certo, mica ti si poteva considerare un Rocker improvvisato. La tua formazione era proprio quella classica: Lizst, Brahms, Beethoven, Rachmaninov...
Vuoi mettere, nel mio immaginario, come ti faceva “figo” agli occhi delle ragazzine riuscire ad eseguire sulla tastiera ciò che era nello sguardo di milioni di telespettatori?
Ho ascoltato - basito - alla radio la notizia che il tuo treno s'è fermato stamattina.
Hai deciso tu l'ultima battuta dello spartito.
Quella del Sol più basso.
Quello della prima ottava, sempre tonante, conclusivo.
Così staccato che quando vi ci affondavi potente il mignolo sul tasto, scrosciava ogni volta incontenibile l'applauso.
Ti ho sempre pensato invincibile, per questo non ho mai smesso di imitarti, immenso Keith.
Attaccalo ancora, e sempre, quel tuo inarrestabile Honky Tonk.
Ascoltandoti, mi sembrerà di pedalare nuovamente lungo quel fossato, attorniato dal zig-zag dei miei amici e dal profumo primaverile di quelle spumeggianti adolescenti.
Fatte di capelli al vento, fascino, mistero, timore e desiderio.
Allora, per me, tutto confuso insieme.
Però s'aveva integro, in quegli anni, il futuro intero spalancato in fronte: sogni immensi e interminabili percorsi.
Ancora - allora - tutti da prevedere.
E da interpretare.
Honky Tonk, lovely girls.
https://www.youtube.com/watch?v=1kSZWkYe09g
Mai, per definizione.
Tantopiù se l'hai adorato fin dall'adolescenza.
Vigeva un obbligo, per la nostra generazione; un codice non scritto, ma che in quegli anni portavi a sigillo indiscutibile nell'anima: “fare gruppo”.
Così era in parrocchia, così a scuola, idem nella squadra di pallone.
Così nelle lunghe domeniche pomeriggio trascorse naso a naso, in pose varie ma stabilmente in orbita georeferenziale rispetto agli scalini affacciati sulla piazza del paese.
Uno dei ricordi più vividi, lo rintraccio nella primavera del 1977:
“Dove andiamo a testimoniare il nostro impegno il prossimo fine settimana, ragazzi?”
“Beh, tutti alla Casa di Riposo di Piove di Sacco, no?”
C'è sempre uno più degli altri, che a quell'età manifesta eclatanti sintomi di fanatismo, misto magari a una dose di mitomania sopra la media.
A turno, tocca un po' a ciascuno.
Quel pomeriggio il Fenomeno lo potevi osservare nel personaggio che sul manubrio della bici teneva un registratore Grundig a cassette - che pure le batterie probabilmente invocavano “pietà, non ne possiamo più” - a tutto volume lungo la strada che separa Sant'Angelo da Piove.
Il ritmo, quello di un incontenibile boogie woogie, sigla in quella stagione di un programma tv chiamato: “Odeon – tutto quanto fa spettacolo”.
Lo sciame di ragazzi che eravamo, sicuramente non inferiore ai venti.
Tutti ormoni al galoppo (per legge naturale a quell'età, Battiato docet), entusiasmo, ingenuità e convinzione che davvero il mondo ce l'avremmo fatta, ad aggiustarlo.
Principiando esattamente dalla visita elargita a quei vecchietti, poveri ospiti della Casa di Riposo di Piove di Sacco, ai nostri occhi eloquenti vittime reietti della società capitalista.
Il “Fenomeno” musical-sonoro, in quelle curve di via Piovega, nell'occasione ero io.
Che poi l'ossessione, come se l'ascolto ripetuto ne facilitasse l'assimilazione, era quella terzina ribattuta dove l'anulare picchiava sopra il medio, a quella velocità che manco settimane di tamburellar di dita sul banco del liceo durante le ore di italiano della Bixio, mi riuscivano a rendere sciolto, agevole e automatico.
Come diamine facevi, brutto Keith, a farle risuonare così distinte, precise e tintinnanti quelle note, lungo quell'indiavolato riff?
Certo, mica ti si poteva considerare un Rocker improvvisato. La tua formazione era proprio quella classica: Lizst, Brahms, Beethoven, Rachmaninov...
Vuoi mettere, nel mio immaginario, come ti faceva “figo” agli occhi delle ragazzine riuscire ad eseguire sulla tastiera ciò che era nello sguardo di milioni di telespettatori?
Ho ascoltato - basito - alla radio la notizia che il tuo treno s'è fermato stamattina.
Hai deciso tu l'ultima battuta dello spartito.
Quella del Sol più basso.
Quello della prima ottava, sempre tonante, conclusivo.
Così staccato che quando vi ci affondavi potente il mignolo sul tasto, scrosciava ogni volta incontenibile l'applauso.
Ti ho sempre pensato invincibile, per questo non ho mai smesso di imitarti, immenso Keith.
Attaccalo ancora, e sempre, quel tuo inarrestabile Honky Tonk.
Ascoltandoti, mi sembrerà di pedalare nuovamente lungo quel fossato, attorniato dal zig-zag dei miei amici e dal profumo primaverile di quelle spumeggianti adolescenti.
Fatte di capelli al vento, fascino, mistero, timore e desiderio.
Allora, per me, tutto confuso insieme.
Però s'aveva integro, in quegli anni, il futuro intero spalancato in fronte: sogni immensi e interminabili percorsi.
Ancora - allora - tutti da prevedere.
E da interpretare.
Honky Tonk, lovely girls.
https://www.youtube.com/watch?v=1kSZWkYe09g