Vabbè, forse un po’ sopra la media, lo ammetto.
E’ che quando scattano i processi di identificazione, cioè nel momento in cui in quel personaggio rivedi te stesso proprio com’eri a quell’età, le birbantate e i piccoli grandi sconquassi che hai prodotto per strada e in famiglia, l’attenzione si fa volentieri selettiva: scatta un’automatica simpatia.
Qualche incidente, motorini sfasciati, ossa rotte, gambe ingessate e giorni d’ospedale. Genitori che non sanno più che pesci prendere. Convocazioni di zii e autorevoli personaggi - dal medico di famiglia al parroco del paese - nel disperato tentativo si avveri un taumaturgico cambiamento. Più che altro, una vera e propria miracolosa conversione.
Oh, tieni conto che lo stesso San Paolo, già Saulo di Tarso, ‘sta cosa della conversione gli era capitata proprio capottandosi per strada (questa almeno era l’argomentazione che personalmente infilavo nelle mie arringhe difensive).
Aggiungiamo, nel caso di Loris - chiamiamolo così - l’essersi “impiantato” con la scuola. Ah, in quanti corridoi scolastici risuonerà per i secoli eterni la mitica frase “è intelligente, ma non si impegna” recitata come le giaculatorie, nei ricevimenti genitori? In tutti, praticamente.
La questione che aveva spinto questa mamma fino allo studio dello psicologo era l’ultimo anello di una catena che l’aveva vista peregrinare da quello del medico di famiglia, al pediatra, al parroco (immancabile, a quell’epoca), fino alla cartomante. Era qui, che la mamma di Loris aveva ricevuto la fatale diagnosi: “Signora, non vorrei dirglielo, ma le carte parlano chiaro: suo figlio entro l’anno morirà”.
Mettetevi per un attimo seduti al posto di questa donna. Sentite i brividi dietro e lungo la schiena. La secchezza delle fauci, inaridite dal blocco della salivazione. Prova a fermare le palpitazioni del cuore, questa tachicardia parossistica che si è fatta incontrollabile, se ci riesci.
A quel punto, quando il panico si è impossessato totalmente di ogni funzione razionale, di qualsiasi capacità di discernimento, la consumata fattucchiera cala l’asso (e cosa, sennò?): “Io, però, cara signora, posso provare a far qualcosa. A salvarlo, suo figlio”.
Ovviamente non a titolo di volontariato, va detto, bensì a un costo che in quegli anni - si pagava ancora in lire - prevedeva qualche sudato milioncino.
A questo punto, il cerchio è perfettamente chiuso. La preda è nella rete. Quale genitore, disperato e sconfitto in ogni altro tentativo di cura, speso qualsiasi sforzo educativo e di recupero, non pagherebbe l’impossibile pur di veder salva la vita del proprio unico figlio?
Pensaci bene: comunque vada, sarà un successo.
Per la cartomante, beninteso.
Il ragazzo muore?
Purtroppo, capita, anche a un certo numero di ragazzi giovani, ogni anno.
“Lo vedi, che aveva ragione? Mica aveva detto che era certa, la salvezza; ha detto che poteva provare, a salvarlo”.
Il ragazzo non muore?
E a chi mai attribuiremo il merito, dopo tutti quei soldi spesi, versati per le “cure” della fattucchiera?
Una strategia comunicativa che contiene sia la tecnica del “doppio legame” che la “profezia che si autoadempie”, per dirla nel linguaggio psicologico. Tu chiamalo più semplicemente sciacallaggio, e fai bene.
Quando ti arriva una persona in stato di panico, o addirittura sei tu che glielo induci disseminando il campo di paure, ipotesi di pericoli, invasori e minacce sparse, l’hai praticamente in pugno. E’ già dipendente, nei tuoi confronti. Certo, l’hai capito: nel mondo della politica, qualche squallido praticante del genere ce l’abbiamo tutti i giorni sotto lo sguardo. Purtroppo.
Ah: te l’assicuro: Loris, che adesso ha più di quarant’anni, è vivo e vegeto. E’ scampato sia alla morte, che alle grinfie della cartomante. Oggi ha pure due figli, in età di scuola primaria. (Lo so che stai già sogghignando al pensiero: aspetta che abbiano sedici anni, e poi mi dirai…).
Vabbè, saltiamo a piè pari oltre il tuo moto di cinismo da contrappasso, e lascia che provi a spiegarti cosa ha prodotto la “svolta”, in questa storia.
Da un lato la crescita, la maturazione della personalità del ragazzo. Le neuroscienze ci hanno fatto scoprire come la corteccia prefrontale, l’area del cervello deputata alla cosiddetta “regolazione emotiva” tra cui il controllo dell’impulsività, si completa mediamente attorno ai 23 anni, nei maschi.
Per Loris è stato molto produttivo anche imparare a “dare un nome” alle proprie emozioni, indicatori infallibili dei bisogni. A diventarne consapevole. Un lavoro che Peter Fonagy, psicanalista e ricercatore ungherese, ha definito “mentalizzazione”.
Tutto ciò sarebbe stato scarsamente utile, tuttavia, se anche la mamma non avesse compiuto un passo indietro. Non si fosse cioè resa conto che questo figlio - unico - lo stava soffocando con troppe aspettative. Era sempre andata così, sin da piccolo. Su Loris aveva riversato tutto il desiderio di riscatto da un’infanzia (la propria) povera di opportunità. Povera di libertà.
Loris non era più, dall’età delle scuole medie oramai, il bambino tutto-bravo-tutto-bello-gioia-della-mamma. Stava rivendicando, sia pure in modo estremo attraverso anche le condotte a rischio, il suo doveroso diritto alle dimissioni dall’infanzia. La sua sana voglia di autonomia, indipendenza, individuazione.
Un lavoro costoso?
Si, certo. Ma non per il portafoglio.
Per l’attaccamento morboso e compensativo, questo sì.
Vuoi che ti dica quando questa mamma l’ha davvero compreso?
In seguito all’ennesimo incidente in moto, nel momento in cui è stata davvero a un passo dal “perderlo”, questo figlio.
E’ lì, che, finalmente, l’ha “lasciato andare”.
Lo vedi, che talvolta i “capottamenti” portano davvero alle conversioni?
- salagadula megicabula bibbidi bobbidi bu -