Ah, si: da quella figlia scappata di casa.
Quell'adolescente ribelle, con la quale il padre tenta in ogni modo un dialogo, che risulta purtroppo impossibile. Una storia tormentata, davvero.
Il genitore cerca di capire dove ha sbagliato e cosa può fare per cambiare la situazione, la ragazza risponde con siluri tipo: “Sei tu che mi hai messa al mondo, non io; sei tu che hai creato questa situazione, non io; sei tu che vi devi porre rimedio, non io”.
Così agisce la critica sterile dell’adolescente rivoltoso.
Il mondo degli adulti, agli occhi massimalisti della figlia, è disonesto. Falso, impuro e merita solo di essere insultato. Per definizione. Aprioristicamente.
Un'adolescente ribelle, balbuziente, prima aderente a una banda di terroristi e poi a una setta religiosa che obbliga a portare una mascherina sul viso per non uccidere i microrganismi che popolano l’aria.
L'altro, chi la pensa diversamente da sé, è visto irrimediabilmente fuori gioco, incapace di comprendere e immeritevole di confronto.
E' la storia di “Pastorale americana”, il celebre libro di Philip Roth, dal quale anche un film.
Nulla di nuovo, nella sostanza. Una trama che si ritrova sovente nelle famiglie, dove i tentativi di dialogo con un ragazzo ostaggio della fase puberale dell'intolleranza spesso naufragano addosso agli scogli dell'intransigenza, del rifiuto pregiudiziale. Del “Voi non mi capite”.
O, parimenti, del “O si fa come dico io, o non se ne fa nulla” della contraerea genitoriale.
Stili di dialogo fallimentare.
Relazioni bacate dall'immaturità, dell'egocentrismo ancora irrisolto.
E poi basta, per oggi.
Altrimenti mi dite che parlo sempre di politica.
- non ho l'età, per amarti -