Anzi, le votazioni. Giorni di passione.
Tra le persone incontrate ieri - vuoi per strada, vuoi in un ambulatorio, in una corsia d'ospedale, in uno studio, non ha importanza - qualche spezzone di dialogo:
“Sàeo, dotòre, me sento tanto sola. Da quando che sò vedova… A casa, no so còsa fare. Eòra tàco ea teèvision.... e me piaxe scoltare... (cita l'attuale Ministro dell'Interno) el parla ben. El parla tanto. Ma... dopo penso: chèl faxa dàvero tùte chée robe chel dixe? Mah... eù, còsa dixeo?”.
Altra situazione:
“Una migliore amica? Si, ce l'avevo. Mi è stata tanto vicina, quando ho avuto la seconda operazione, per la recidiva. Tanto, tanto vicina. Poi, abbiamo litigato. Di brutto.”
“Ah, una brutta litigata. Forse, un motivo grave?”
“No, una “monàda” (stupidaggine), tutto sommato. Bah... era diventata... (cita il partito di un famoso comico). Io, invece, sono sempre stata di sinistra. Si è fatto impossibile parlarci. Adesso, però, che le hanno diagnosticato un carcinoma al quarto stadio, vado a trovarla tutti i giorni.”
Tralasciamo poi le zuffe via social: le descrizioni cliniche sono superflue.
Cos'è che muove tante emozioni? In nome di che, si è in grado di rompere amicizie, scatenare liti familiari, far smettere alle persone di parlarsi?
Un'idea politica.
Potremmo pensare si tratti di un'operazione del pensiero.
Di quel “software”, in altri termini, che ci differenzia dagli animali, dai mammiferi inferiori, dalle lucertole. Insomma, roba della corteccia cerebrale, quell'area del cervello tipica degli umani. Quella che ci fa risolvere le equazioni matematiche, andare sulla luna, costruire i bolidi della Formula Uno, scoprire le meravigliose leggi della biologia...
E invece, no.
E invece, no!
(“E invece, no”: questa l'aveva scritta e la cantava, prima di Coez, Edoardo Bennato, nei primi anni '80. Un bel reggae blues, davvero).
Invece, no: non è questione di corteccia, di “scorza”, bensì di polpa.
Il sistema limbico, il “cervello delle emozioni”.
Paul MacLean, un neurofisiologo americano, negli anni '70 del secolo scorso lo aveva chiamato “cervello mammifero”. Altri autori come Damasio, portoghese e Joseph Ledoux, statunitense, negli anni successivi hanno perfezionato e approfondito questi studi. Specialmente in relazione ai comportamenti legati all'ansia e alla paura.
Il cervello delle emozioni: sistema limbico, amigdala, ippocampo, bulbi olfattivi, ecc...
Ci arrabbiamo, discutiamo, prendiamo posizione più per confermare il nostro senso di identità e di appartenenza, che per l'effettiva competenza su questioni complesse: politiche, sociali, demografiche, sanitarie.
Siamo tutti ignoranti, in campi diversi. Ammettiamolo.
A volte chiediamo consiglio: “Tu, cosa voti?” a confermare un bisogno di sicurezza che è il primo, a livello evolutivo. Dal neonato al malato terminale: un legame sicuro, ci serve. Ci sostiene. Ci rincuora.
La polpa, e la scorza.
Una dura lotta. Sentimenti e passioni, vs. ragionamenti e pensieri.
Il pensiero.
Dove abitano i filosofi. Anche quelli della politica.
Già: primo di tutti, il buon Aristotele. Che descriveva l'arte della “Polis” (amministrazione della città) come ricerca del Bene Comune.
Ah, che bei ricordi al primo anno di università: la politica come finalizzata alla filosofia: deve creare le condizioni per coltivare la scholè (tempo libero) e le attività teoretiche, tra cui la matematica, la fisica, lo studio del cielo...
Nel corso della storia, poi, parole come "democrazia", "politica", "tirannide" sono andate assumendo significati diversi, rispetto all’originario pensiero greco. Una revisione radicale, che si sviluppò nel Rinascimento, con Niccolò Machiavelli, prima, e Thomas Hobbes, in seguito.
Per i Greci, le questioni del potere e del controllo erano marginali. La comunità (koinonia) era tutto.
Lo scopo ultimo della politica era di conseguire "il bel vivere". A differenza dei tempi odierni, non si sperimentava quel conflitto fra società e individuo che è causato dalla distanza fra chi governa e chi è governato.
Epperò mentre i politici in tv e nei Social parlano di Europa, reddito, TAV (no, quella adesso basta, non più…) il nostro “cervello-polpa” tende a registrare questa posizione: “Dove mi sento a casa?”. “Qual è la mia squadra?”.
Insomma, domenica andremo a votare. E da mezzanotte o giù di lì, qualcuno comincerà (Yahùu!) a cantar vittoria, altri a dire che non hanno perso, altri che non-hanno-vinto-ma-vuoi-mettere-come-poteva-andare?
Vabbé, sai che ti dico?
Che ho scritto un post inutile.
Si, perché sia chi come me voterà il partito che cinque anni fa ha preso il 40% dei voti e stavolta forse ne raccoglierà la metà, sia chi esulterà per un risultato domenica (forse) simile, a poco gli serviranno i festeggiamenti o le consolazioni del lunedì.
Perché?
Non tanto perché sarà la legge dell’economia, dei risultati effettivamente raggiunti a fronte delle balle raccontate, a dimostrare la realtà.
Non tanto perché le percezioni (specie in politica) mutano rapidamente, e la “polpa” ha date di scadenza più ravvicinate di quelle della “scorza”.
Quanto perché ci saremo tutti – quelli troppo impegnati a litigare – dimenticati del partito maggiore. Quello che non ha sedi. Non ha loghi. Non ha leader. Non ha profili social. Non scende mai in piazza. Non ha un programma e non ha neppure un manifesto affisso in giro. Non ha nulla e non fa nulla, ciononostante è il primo partito, quello con la più alta percentuale di giovani tra le sue schiere, in costante crescita, in Italia e in tutte le democrazie occidentali: il Partito dell’Astensione.
Vuoi un nome?
Uno, su tutti?
Carl Gustav Jung.
Senti cosa scrive, nel comunicato stampa in occasione di una visita negli Stati Uniti (4 ottobre 1936):
“Voglio sottolineare che disprezzo la politica di tutto cuore: non sono né un bolscevico, né un nazista, né un antisemita. Sono uno svizzero neutrale e perfino nel mio paese non mi interesso di politica, perché sono convinto che per il novantanove per cento la politica sia solo un sintomo e che tutto faccia tranne che curare i mali sociali.
Circa il cinquanta per cento della politica è detestabile perché avvelena la mente del tutto incompetente delle masse. Ci mettiamo in guardia contro le malattie contagiose del corpo, ma siamo esasperatamente incauti riguardo alle malattie collettive – ancora più pericolose – della mente.
In un’atmosfera come questa, politicamente avvelenata e surriscaldata, è diventato praticamente impossibile condurre una discussione scientifica sana e spassionata su questi problemi così delicati eppure estremamente importanti. Discutere pubblicamente questi problemi avrebbe più o meno la stessa efficacia di un direttore di manicomio che si mettesse a discutere le particolari fissazioni dei suoi pazienti proprio in mezzo a loro.
Vedete, il fatto tragicomico è che tutti sono convinti della loro normalità, esattamente come il dottore stesso è convinto del proprio equilibrio mentale”.
Io invece, per una volta - una sola volta - vorrei domenica sera vedere smentito il grande Gustav Jung, rispetto alle sue idee sulla politica.
E’ vero, si: servirebbe un’esca.
Tipo un frutto appetitoso. Buccia aulentissima, e succo prelibato.
Come dici?
Che in questo clima inacidito e odioso, manco il serpente tentatore dell’Eden, quello di Adamo ed Eva, ce la farebbe?
Forse hai ragione.
- cogli la prima mela -