GIORGIO
Te ne sei andato di domenica pomeriggio.
Ci hai lasciati, ebeti e impotenti, che già sarebbe bastata per questo la nostra età, quei vent'anni troppo acerbi per dirci adulti, ma nel contempo già scaduti all'inconsapevolezza. Alle spalle, il decennio appena chiuso dei '70: l'uomo sulla luna, le leggi sul divorzio, l'aborto, il primo trapianto di cuore e tanta, tanta voglia di esserci. Nelle strade, nelle piazze in assemblea, sui palchi dei concerti, nelle biblioteche. Trentatrè anni sono passati da quel 18 ottobre, Giorgio: giusto l'età di Nostro Signore. Trentatrè. Tali e quali il numero dei canti del Purgatorio e del Paradiso, nella Divina Commedia di Dante. Eravamo in molti in quella sala, quella domenica d'autunno. “Ama e fa' quello che vuoi”, il titolo dello spettacolo, o “recital” come li chiamavamo. In scena, i “giovanissimi”: quelli nati attorno al 1965. Cosa ti potrei raccontare oggi, Giorgio, amico mio? Che dei Beatles sono rimasti in due? Che la PFM, quelli della sera d'estate in cui eravamo ad ascoltarli “dal vivo” ad Este, ancora suona alla grande: Franz di Cioccio rimasto un capretto saltellante e l'alce Mussida che le sue chitarre le fa cantare come pochi? Che quell'assolo di Mark Knopfler, quello con cui facevi urlare le ragazzine, ora non c'è band di adolescenti che non lo suoni? Sultans of Swing... Con Francesco di Giacomo, il “ciccione” con la voce da tenore di quel 33 giri: “Banco del mutuo soccorso” - che nome assurdo, pensai - che mi prestasti in quel lontano '75, magari ci avrai fatto pure qualche bella chiacchierata, in questi ultimi mesi. Ti potrei raccontare che il “tuo” Guccini ha pubblicato quello che si ostina a chiamare l'album conclusivo, dicendo che non ne seguiranno più, che altri non ne farà. E' un disco bellissimo, Giorgio. E se tu ascoltassi il brano numero due: “L'ultima volta”, ci ritroveresti tutto, di quei nostri imberbi 15 anni. Quei primi amori, quelle “prime”, di volte, tutta quella nostra - di allora - ingenuità. Si, quel Guccini che tu per primo mi portasti a conoscere. Ti ricordi? Recital, li chiamavamo; e tu con la chitarra, che nessuno tra noi, tranne Ennio, si era ancora messo a suonare. E a tutti i costi tu volesti cantarla, a tutti i costi con la tua testa dura, quel “Dio è morto” da poco tempo pubblicata, censurata dai bacchettoni della Rai ed invece già un inno per la nostra generazione di ribelli. Te ne sei andato di domenica pomeriggio. Sei partito alla maniera di Van Gogh, come se ne vanno i grandi artisti, i visionari caleidoscopici. Ci hai lasciati, sgomenti e soli, dentro un buio e già tardo pomeriggio di una domenica d'autunno. Ci è rimasta la tua voce, quasi l'eco di una pennellata lacerante, mentre mastichi parole forti. Come i colpi di giallo sulle tele di Vincent. Così possiamo ascoltarla ancora, quella tua voce, diretta ed impertinente. Sfrontata e disarmante, giusto com'eri tu. La tua voce, oggi che un vecchio nastro magnetico fa fatica a trattenerla. Te ne sei andato di domenica pomeriggio. Ti abbiamo cercato disperatamente, subito, dentro la caserma dei carabinieri di Piove di Sacco, poi forte, di corsa, lungo tutte le strade del paese che con la tua Vespa avevi percorso. Ma te n'eri andato, davvero. Già, davvero. Così non ci è restato che accovacciarci stretti, l'uno contro l'altro, dentro le parole di quella tua canzone: “In ciò che noi crediamo, Dio è risorto. Nel mondo che faremo... Dio è risorto”. Diciotto ottobre duemilaquattordici. Ciao Giorgio, amico mio. |
Noneto CircinLa parola, il suono, l’immagine, sono l’oggetto dei miei interessi nel tempo libero.
A volte, tentano di diventare voce. Nella scrittura, nella musica, nella fotografia. Per passione, per divertimento. Insomma, per una delle cose più serie nella vita: il gioco. Tramite i tasti di un pianoforte, una penna che scorre veloce, le lenti di un vecchio obiettivo. |