TU COME STAI?
No, l’assassino non si è scoperto subito, chi fosse.
Se vai ad Alleghe, regalati una passeggiata sul lungolago. Un’oretta, e lo giri per intero. Prenditela pure ad andatura da pensionato, sempre che tu sopravviva alla magnifica possanza della parete del Civetta. Ti incombe sul capo, dall’alto dei suoi tremiladuecento metri di placida dolomia, che si incendia verso sera.
Incombe. Aperta e vasta, come le sterminate canne di un organo da cattedrale. Ben più e oltre, le preoccupazioni che hai lasciato a valle.
Non trascurare di prendere un caffè in un localino di quelli storici, e fatti raccontare la storia delle morti misteriose.
Anche Claudio Baglioni, da giovane, era un habituè di questi luoghi.
Una leggenda che si tramanda dal 1771, l’anno in cui due frane staccatesi dalla sommità del monte Piz seppellirono i villaggi del fondovalle con i loro abitanti, narra che quando s’ode il rintocco delle campane sommerse, ciò significa la morte imminente di qualcheduno.
Siamo nel maggio del 1933. Emma De Ventura, una cameriera dell'albergo Centrale di Alleghe, viene trovata uccisa. I proprietari sostengono si sia suicidata. Dalla ricostruzione, e dalle analisi del medico condotto, risulta che la ragazza si sia uccisa ingerendo della tintura di iodio. In realtà presenta anche un profondo taglio alla gola. Si dice se lo sia procurato a causa dei forti dolori, che l'avrebbero spinta a farla finita più velocemente.
Inverno dello stesso anno.
Il figlio del macellaio del paese, Aldo Da Tos, sposa Carolina Finazzer, una ragazza di ricca famiglia. Partono per la luna di miele verso Venezia e Roma, che però interrompono prima del previsto facendo ritorno a casa. La sposa chiama la madre chiedendole di venire a prenderla ad Alleghe il giorno dopo ma, il 4 dicembre 1933, viene trovata morta nelle acque dell'imbarcadero.
Si parla di depressione, di sonnambulismo. Ragioni per cui la donna sarebbe quindi caduta accidentalmente nel lago. Alcuni lividi sul corpo vengono valutati dal medico legale come i primi segni della putrefazione, nonostante fossero passate poche ore dalla morte. La successiva autopsia conferma la morte per annegamento e viene quindi dichiarato che si tratta di suicidio.
Caso archiviato.
Deve ancora scoppiare il secondo conflitto mondiale, non è ancora giunto quel fatidico 1940. Sale ad Alleghe un ragazzo di Castelfranco Veneto. Il ragazzo è intelligente, curioso. Uno che in quel delizioso paesino di montagna ci va in vacanza con gli amici, in bicicletta. Come fai a non vederlo, in quelle lunghe serate estive, che la luce sovrumana del Civetta ancora non tramonta, a chiacchierare, ridere e scherzare nei bar, con gli amici?
Tra un discorso, e l’altro, e un bicchiere di buon vino, comincia a sentire alcune storie strane che iniziano a interessarlo. A intrigarlo.
Il ragazzo si chiama Sergio Saviane, giornalista e scrittore. Queste le sue parole, tratte molti anni dopo, da un’intervista di Alessandro Riva:
“Nel paese, quando si andava nelle osterie, si sentiva, si parlava, però nessuno voleva parlarne … Piano piano si è cominciato a capire che c’era qualcosa di losco. Queste chiacchiere partivano sempre da un misterioso campanile che suonava sotto il lago … Dalle chiacchiere del campanile partivano anche allusioni sulle morti misteriose … Sembrava una storia di fantasmi, però si capiva che c’era qualcosa sotto”.
18 novembre 1946. Vengono uccisi in piena notte i coniugi Del Monego, Luigi e Luigia. A colpi di pistola, nel vicolo La Voi, mentre stavano tornando a casa dopo aver chiuso il loro negozio con l'incasso. Non ci sono testimoni. Nessuno fa caso ai colpi sparati, in quanto la guerra è finita da poco; non è inusuale sentire qualche colpo di arma da fuoco. Il giorno dopo vengono trovati i loro corpi senza l'incasso e alla donna mancano gli orecchini. Del delitto viene inizialmente accusato Luigi Verocai, un latitante evaso dal carcere prima della condanna in contumacia per un altro omicidio dal quale verrà poi assolto nel 1949. Verocai viene arrestato, ma poi prosciolto dalle accuse in fase di istruttoria e il delitto viene archiviato come omicidio a scopo di rapina a carico d'ignoti.
Sergio Saviane è a Castelfranco quando legge sui giornali della morte dei coniugi Del Monego.
“Mi agito immediatamente, perché Luigi e Gigia Del Monego erano miei amici, cari amici. … Alla sera, Gigio veniva al Polo Nord, che era l’alberghetto di Alleghe dove abitavo io, si giocava a carte e lui beveva molto e lo accompagnavo a casa. Quando arrivavamo davanti al Centrale, lui diceva - Questi non hanno la coscienza pulita, hanno la coscienza sporca - … Si vedeva che era terrorizzato … Ho pensato che c’era un collegamento con le morti precedenti che, allora, era tutto vero quello che si sapeva e che si sentiva dire … Che c’erano questi delitti precedenti”.
Le campane non suonano se non sono tirate, recita il proverbio. Le chiacchiere della gente, quindi, parlano di delitti, non di suicidi. Con il tempo Saviane si convince ci sia un possibile collegamento tra le morti del 1933 e quelle del 1946.
Nei primi anni del 1950, Saviane è a Roma, lavora come giornalista al settimanale Il Lavoro Illustrato. I misteri di Alleghe gli girano sempre in testa e ne parla al suo capo redattore, Pasquale Festa Campanile. Insieme concordano che la storia di Alleghe merita un’inchiesta approfondita.
Nel 1952, Saviane torna ad Alleghe e comincia a indagare. Parla con i suoi amici alleghesi, lì conosce bene tutti, parla anche con Aldo Da Tos, ma trova un clima di terrore, come dice lui, che produce molta omertà e poche risposte. Tra quei tutti che non parlano, però, qualcuno, come il barbiere che vide Emma sul balcone del Centrale, la stessa mattina che fu poi ritrovata morta, lo incoraggia a scrivere, a raccontare, a non demordere.
Qualcuno che forse vorrebbe parlare, ma non ci riesce.
Un brigadiere dei carabinieri ad Auronzo, Ezio Cesca, dopo aver letto l’articolo che Saviane scrisse nel 1953 sulla vicenda, espone i suoi dubbi ai superiori che decidono l'apertura di un'indagine. Il brigadiere si reca quindi in incognito ad Alleghe, trovando lavoro come operaio e, frequentando le osterie, raccoglie quanto si raccontava in giro. Arriva a scoprire che i coniugi Del Monego sarebbero stati uccisi per qualcosa che avevano visto. Esce il nome di Giuseppe Gasperin. Il brigadiere Cesca riesce a conoscerlo, e ne diviene amico.
Questi sì che sono investigatori!
Tanto amico, che Gasperin arriva a confidargli che nel vicolo La Voi abitava una signora, Corona Valt, che poteva sapere qualcosa sull'omicidio della coppia. Per arrivare alla Valt, il brigadiere Cesca arriva a fidanzarsi con la nipote e, dopo qualche tempo, l'anziana donna gli confida che la notte del delitto aveva visto tre persone nel vicolo, una delle quali era Giuseppe Gasperin. A quel punto il brigadiere, per far confessare Gasperin, gli propone di partecipare a un affare nel quale sarebbero serviti uomini in grado di sparare. Gasperin, come si fa solo con gli amici più sinceri, accetta, confidandogli che lui di uccidere era capace: lo aveva già fatto.
A seguito di questo, Gasperin viene convocato in caserma, dove venne arrestato. Qui, interrogato, rivela i nomi dei responsabili dei delitti portando, nel 1958, all'arresto di Pietro de Biasio, il marito di Adelina, e Aldo da Tos. Pochi mesi dopo arresteranno anche Adelina Da Tos, accusata di aver ucciso Emma De Ventura.
Hai presente quella canzone di Baglioni che fa:
“Cerca di non metterti nei guai
Abbottonati il paltò per bene
E fra i clacson delle auto e le campane
Ripetevo - non ce l'ho con te -
E non darti pena sai per me
Mentre il fiato si faceva fumo
Mi sembrava di crollare piano piano
E tu piano piano andavi via…”
L’ha scritta proprio qui, ad Alleghe. C’è un bel palazzo rinascimentale, un tesoro Liberty tra le Dolomiti. Villa Paganini Ruspoli, un baluardo della Belle Époque a quasi mille metri di altitudine. Il più settentrionale dei palazzi di architettura veneziana. Sorge proprio sopra la frana che, strozzando il corso del torrente Cordevole, ha generato il lago. Claudio Baglioni vi ha trascorso diverse estati, specialmente nel periodo della sua depressione artistica, appena prima degli anni’80. Dove riesplose, a partire da quell’album-capolavoro concepito negli studios inglesi di Geoff Westley, in Oxford. Con musicisti sopraffini, di eccezionale levatura: “Strada Facendo”.
Ma qual è stata la causa, ti starai chiedendo, della lunga serie dei misteriosi omicidi, occorsi attorno al lago di Alleghe?
L'inizio parte da un trascorso della signora Elvira Riva, la proprietaria dell'albergo Centrale e di altri immobili, la quale si era sposata con un povero bracciante più giovane di lei di undici anni, Fiore Da Tos, nonostante fosse già incinta di un altro uomo. Fiore fece partorire Elvira a Mirano, dove era nata, lasciando poi il bambino, chiamato Umberto Giovanni, a Venezia da una conoscente, affinché lo allevasse a sue spese.
Una volta cresciuto, tuttavia, Umberto Giovanni giunse ad Alleghe, per reclamare la sua parte di eredità, e venne per questo ucciso.
Casualmente la cameriera Emma De Ventura ne aveva scoperto il corpo nelle cantine dell'albergo, e fu quindi ammazzata affinché non parlasse.
Successivamente Carolina Finazzer, la moglie di Aldo, venne invece strangolata da Pietro De Biasio, con l'aiuto dei fratelli Da Tos, perché durante il viaggio di nozze il marito le aveva parlato dell'omicidio della cameriera, e lei non aveva reagito bene, dando segni di paura. Così i Da Tos decisero di eliminarla.
I coniugi Del Monego vennero poi uccisi perché la notte del 4 dicembre 1933, avevano visto Aldo portare in spalla il corpo della moglie morta verso il lago. Dopo tredici anni avevano quindi deciso di eliminarli, tramite i colpi di pistola sparati loro nel vicolo da Aldo Da Tos, Pietro De Biasio e Giuseppe Gasperin.
Dopo il processo durato sei mesi, con trentatrè udienze, l'8 giugno 1960, la Corte d'Assise di Belluno riconobbe colpevoli Aldo e Adelina Da Tos e Pietro De Biasio, condannandoli all'ergastolo.
Aldo e Pietro sono colpevoli della morte di Carolina Finazzer e dei coniugi Del Monego, Adelina solo della morte di Finazzer; l'omicidio di Emma De Ventura era invece caduto in prescrizione.
Giuseppe Gasperin venne condannato a trent'anni di cui sei condonati per aver contribuito, con la sua confessione, ad arrestare gli altri responsabili.
Aldo Da Tos e Pietro De Biasio morirono in carcere, mentre Adelina Da Tos venne graziata nel 1981 a 73 anni.
Morì nel 1988.
Forse qualcuno udrà ancora dei rintocchi di campana uscire dai fondali dell’incantevole lago di Alleghe, talvolta.
Ma grazie alla curiosità di un giovane giornalista e l’intraprendenza di un brigadiere dei carabinieri, in questa storia, anche la verità è venuta a galla.
- la vita è adesso -
Se vai ad Alleghe, regalati una passeggiata sul lungolago. Un’oretta, e lo giri per intero. Prenditela pure ad andatura da pensionato, sempre che tu sopravviva alla magnifica possanza della parete del Civetta. Ti incombe sul capo, dall’alto dei suoi tremiladuecento metri di placida dolomia, che si incendia verso sera.
Incombe. Aperta e vasta, come le sterminate canne di un organo da cattedrale. Ben più e oltre, le preoccupazioni che hai lasciato a valle.
Non trascurare di prendere un caffè in un localino di quelli storici, e fatti raccontare la storia delle morti misteriose.
Anche Claudio Baglioni, da giovane, era un habituè di questi luoghi.
Una leggenda che si tramanda dal 1771, l’anno in cui due frane staccatesi dalla sommità del monte Piz seppellirono i villaggi del fondovalle con i loro abitanti, narra che quando s’ode il rintocco delle campane sommerse, ciò significa la morte imminente di qualcheduno.
Siamo nel maggio del 1933. Emma De Ventura, una cameriera dell'albergo Centrale di Alleghe, viene trovata uccisa. I proprietari sostengono si sia suicidata. Dalla ricostruzione, e dalle analisi del medico condotto, risulta che la ragazza si sia uccisa ingerendo della tintura di iodio. In realtà presenta anche un profondo taglio alla gola. Si dice se lo sia procurato a causa dei forti dolori, che l'avrebbero spinta a farla finita più velocemente.
Inverno dello stesso anno.
Il figlio del macellaio del paese, Aldo Da Tos, sposa Carolina Finazzer, una ragazza di ricca famiglia. Partono per la luna di miele verso Venezia e Roma, che però interrompono prima del previsto facendo ritorno a casa. La sposa chiama la madre chiedendole di venire a prenderla ad Alleghe il giorno dopo ma, il 4 dicembre 1933, viene trovata morta nelle acque dell'imbarcadero.
Si parla di depressione, di sonnambulismo. Ragioni per cui la donna sarebbe quindi caduta accidentalmente nel lago. Alcuni lividi sul corpo vengono valutati dal medico legale come i primi segni della putrefazione, nonostante fossero passate poche ore dalla morte. La successiva autopsia conferma la morte per annegamento e viene quindi dichiarato che si tratta di suicidio.
Caso archiviato.
Deve ancora scoppiare il secondo conflitto mondiale, non è ancora giunto quel fatidico 1940. Sale ad Alleghe un ragazzo di Castelfranco Veneto. Il ragazzo è intelligente, curioso. Uno che in quel delizioso paesino di montagna ci va in vacanza con gli amici, in bicicletta. Come fai a non vederlo, in quelle lunghe serate estive, che la luce sovrumana del Civetta ancora non tramonta, a chiacchierare, ridere e scherzare nei bar, con gli amici?
Tra un discorso, e l’altro, e un bicchiere di buon vino, comincia a sentire alcune storie strane che iniziano a interessarlo. A intrigarlo.
Il ragazzo si chiama Sergio Saviane, giornalista e scrittore. Queste le sue parole, tratte molti anni dopo, da un’intervista di Alessandro Riva:
“Nel paese, quando si andava nelle osterie, si sentiva, si parlava, però nessuno voleva parlarne … Piano piano si è cominciato a capire che c’era qualcosa di losco. Queste chiacchiere partivano sempre da un misterioso campanile che suonava sotto il lago … Dalle chiacchiere del campanile partivano anche allusioni sulle morti misteriose … Sembrava una storia di fantasmi, però si capiva che c’era qualcosa sotto”.
18 novembre 1946. Vengono uccisi in piena notte i coniugi Del Monego, Luigi e Luigia. A colpi di pistola, nel vicolo La Voi, mentre stavano tornando a casa dopo aver chiuso il loro negozio con l'incasso. Non ci sono testimoni. Nessuno fa caso ai colpi sparati, in quanto la guerra è finita da poco; non è inusuale sentire qualche colpo di arma da fuoco. Il giorno dopo vengono trovati i loro corpi senza l'incasso e alla donna mancano gli orecchini. Del delitto viene inizialmente accusato Luigi Verocai, un latitante evaso dal carcere prima della condanna in contumacia per un altro omicidio dal quale verrà poi assolto nel 1949. Verocai viene arrestato, ma poi prosciolto dalle accuse in fase di istruttoria e il delitto viene archiviato come omicidio a scopo di rapina a carico d'ignoti.
Sergio Saviane è a Castelfranco quando legge sui giornali della morte dei coniugi Del Monego.
“Mi agito immediatamente, perché Luigi e Gigia Del Monego erano miei amici, cari amici. … Alla sera, Gigio veniva al Polo Nord, che era l’alberghetto di Alleghe dove abitavo io, si giocava a carte e lui beveva molto e lo accompagnavo a casa. Quando arrivavamo davanti al Centrale, lui diceva - Questi non hanno la coscienza pulita, hanno la coscienza sporca - … Si vedeva che era terrorizzato … Ho pensato che c’era un collegamento con le morti precedenti che, allora, era tutto vero quello che si sapeva e che si sentiva dire … Che c’erano questi delitti precedenti”.
Le campane non suonano se non sono tirate, recita il proverbio. Le chiacchiere della gente, quindi, parlano di delitti, non di suicidi. Con il tempo Saviane si convince ci sia un possibile collegamento tra le morti del 1933 e quelle del 1946.
Nei primi anni del 1950, Saviane è a Roma, lavora come giornalista al settimanale Il Lavoro Illustrato. I misteri di Alleghe gli girano sempre in testa e ne parla al suo capo redattore, Pasquale Festa Campanile. Insieme concordano che la storia di Alleghe merita un’inchiesta approfondita.
Nel 1952, Saviane torna ad Alleghe e comincia a indagare. Parla con i suoi amici alleghesi, lì conosce bene tutti, parla anche con Aldo Da Tos, ma trova un clima di terrore, come dice lui, che produce molta omertà e poche risposte. Tra quei tutti che non parlano, però, qualcuno, come il barbiere che vide Emma sul balcone del Centrale, la stessa mattina che fu poi ritrovata morta, lo incoraggia a scrivere, a raccontare, a non demordere.
Qualcuno che forse vorrebbe parlare, ma non ci riesce.
Un brigadiere dei carabinieri ad Auronzo, Ezio Cesca, dopo aver letto l’articolo che Saviane scrisse nel 1953 sulla vicenda, espone i suoi dubbi ai superiori che decidono l'apertura di un'indagine. Il brigadiere si reca quindi in incognito ad Alleghe, trovando lavoro come operaio e, frequentando le osterie, raccoglie quanto si raccontava in giro. Arriva a scoprire che i coniugi Del Monego sarebbero stati uccisi per qualcosa che avevano visto. Esce il nome di Giuseppe Gasperin. Il brigadiere Cesca riesce a conoscerlo, e ne diviene amico.
Questi sì che sono investigatori!
Tanto amico, che Gasperin arriva a confidargli che nel vicolo La Voi abitava una signora, Corona Valt, che poteva sapere qualcosa sull'omicidio della coppia. Per arrivare alla Valt, il brigadiere Cesca arriva a fidanzarsi con la nipote e, dopo qualche tempo, l'anziana donna gli confida che la notte del delitto aveva visto tre persone nel vicolo, una delle quali era Giuseppe Gasperin. A quel punto il brigadiere, per far confessare Gasperin, gli propone di partecipare a un affare nel quale sarebbero serviti uomini in grado di sparare. Gasperin, come si fa solo con gli amici più sinceri, accetta, confidandogli che lui di uccidere era capace: lo aveva già fatto.
A seguito di questo, Gasperin viene convocato in caserma, dove venne arrestato. Qui, interrogato, rivela i nomi dei responsabili dei delitti portando, nel 1958, all'arresto di Pietro de Biasio, il marito di Adelina, e Aldo da Tos. Pochi mesi dopo arresteranno anche Adelina Da Tos, accusata di aver ucciso Emma De Ventura.
Hai presente quella canzone di Baglioni che fa:
“Cerca di non metterti nei guai
Abbottonati il paltò per bene
E fra i clacson delle auto e le campane
Ripetevo - non ce l'ho con te -
E non darti pena sai per me
Mentre il fiato si faceva fumo
Mi sembrava di crollare piano piano
E tu piano piano andavi via…”
L’ha scritta proprio qui, ad Alleghe. C’è un bel palazzo rinascimentale, un tesoro Liberty tra le Dolomiti. Villa Paganini Ruspoli, un baluardo della Belle Époque a quasi mille metri di altitudine. Il più settentrionale dei palazzi di architettura veneziana. Sorge proprio sopra la frana che, strozzando il corso del torrente Cordevole, ha generato il lago. Claudio Baglioni vi ha trascorso diverse estati, specialmente nel periodo della sua depressione artistica, appena prima degli anni’80. Dove riesplose, a partire da quell’album-capolavoro concepito negli studios inglesi di Geoff Westley, in Oxford. Con musicisti sopraffini, di eccezionale levatura: “Strada Facendo”.
Ma qual è stata la causa, ti starai chiedendo, della lunga serie dei misteriosi omicidi, occorsi attorno al lago di Alleghe?
L'inizio parte da un trascorso della signora Elvira Riva, la proprietaria dell'albergo Centrale e di altri immobili, la quale si era sposata con un povero bracciante più giovane di lei di undici anni, Fiore Da Tos, nonostante fosse già incinta di un altro uomo. Fiore fece partorire Elvira a Mirano, dove era nata, lasciando poi il bambino, chiamato Umberto Giovanni, a Venezia da una conoscente, affinché lo allevasse a sue spese.
Una volta cresciuto, tuttavia, Umberto Giovanni giunse ad Alleghe, per reclamare la sua parte di eredità, e venne per questo ucciso.
Casualmente la cameriera Emma De Ventura ne aveva scoperto il corpo nelle cantine dell'albergo, e fu quindi ammazzata affinché non parlasse.
Successivamente Carolina Finazzer, la moglie di Aldo, venne invece strangolata da Pietro De Biasio, con l'aiuto dei fratelli Da Tos, perché durante il viaggio di nozze il marito le aveva parlato dell'omicidio della cameriera, e lei non aveva reagito bene, dando segni di paura. Così i Da Tos decisero di eliminarla.
I coniugi Del Monego vennero poi uccisi perché la notte del 4 dicembre 1933, avevano visto Aldo portare in spalla il corpo della moglie morta verso il lago. Dopo tredici anni avevano quindi deciso di eliminarli, tramite i colpi di pistola sparati loro nel vicolo da Aldo Da Tos, Pietro De Biasio e Giuseppe Gasperin.
Dopo il processo durato sei mesi, con trentatrè udienze, l'8 giugno 1960, la Corte d'Assise di Belluno riconobbe colpevoli Aldo e Adelina Da Tos e Pietro De Biasio, condannandoli all'ergastolo.
Aldo e Pietro sono colpevoli della morte di Carolina Finazzer e dei coniugi Del Monego, Adelina solo della morte di Finazzer; l'omicidio di Emma De Ventura era invece caduto in prescrizione.
Giuseppe Gasperin venne condannato a trent'anni di cui sei condonati per aver contribuito, con la sua confessione, ad arrestare gli altri responsabili.
Aldo Da Tos e Pietro De Biasio morirono in carcere, mentre Adelina Da Tos venne graziata nel 1981 a 73 anni.
Morì nel 1988.
Forse qualcuno udrà ancora dei rintocchi di campana uscire dai fondali dell’incantevole lago di Alleghe, talvolta.
Ma grazie alla curiosità di un giovane giornalista e l’intraprendenza di un brigadiere dei carabinieri, in questa storia, anche la verità è venuta a galla.
- la vita è adesso -