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BOTTE DA ORBI

15/9/2018

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Non ero mai riuscito a capire come i pugili non ce la facessero a rialzarsi, sia pure dopo un titanico fendente che li aveva fatti stramazzare al suolo. Pensavo fosse una finzione, più o meno cinematografica. Davvero.

Hai presente Maggie, in "Million Dollar Baby"?
Li stende tutti, in pochi istanti. Poche zampate, di quelle giuste, magari sul naso, e l'avversaria a terra, senza scampo. Immobile. Stordita. Fessa.
Fino a quando incontra Billie, "The Blue Bear".
Il finale è tragico. Il film, magnifico.

Si, credevo fosse tutta una sceneggiata.
Fino a quella volta in cui, incespicando sugli sci, ho battuto la testa, cadendo sulla nuca.
Per fortuna avevo il casco.
È una brutta sensazione, decisamente.
Il cervello invia l'ordine: "Rialzati!". “Subito!”.

Le gambe non rispondono. Se ne infischiano, altamente.
Deve passare un po' di tempo. Quello necessario alle vie neurali per riconnettersi.

Lo spiegano così: quando la testa è soggetta a una accelerazione molto violenta, il cervello, che non è “fissato” nella scatola cranica, oscilla leggermente e questo provoca un rilascio massiccio di neurotrasmettitori. Se il trauma è abbastanza forte, le aree cerebrali interessate sono talmente tante da provocare un sovraccarico per il lavoro del cervello che fa quello che fa un computer quando si imballa: riparte dopo un "reboot”.
Durante questo reboot il cervello è sostanzialmente incapace di gestire qualunque cosa non sia completamente automatica come il respiro o il battito cardiaco: in particolare l’equilibrio e il tono dei muscoli volontari vanno a farsi benedire e crolli, come un sacco di patate.

Da certe botte ti rialzi, e tutto sommato passa presto.
Altri colpi rimangono dentro più a lungo.

Alcuni, addirittura, riaffiorano.

Lo si chiama PTSD.
“Disturbo Post Traumatico da Stress”, nella dicitura italiana.
L’American Psychiatric Association (APA) dà un elenco dettagliato dei sintomi che lo costituiscono. Compaiono solitamente entro tre mesi dal trauma. In qualche caso anche più tardi. Sono classificabili in tre categorie:
• episodi di intrusione: le persone affette da PTSD hanno ricordi improvvisi che si manifestano in modo molto vivido e sono accompagnati da emozioni dolorose e dal ‘rivivere’ il dramma. A volte, l’esperienza è talmente forte da far sembrare all’individuo coinvolto che l’evento traumatico si stia ripetendo.
• volontà di evitare e mancata elaborazione: l’individuo cerca di evitare contatti con chiunque e con qualunque cosa che lo riporti al trauma.
• ipersensibilità e ipervigilanza: le persone si comportano come se fossero costantemente minacciate dal trauma.

Se ne esce?
Certo che si.
Con i rimedi giusti.
Qualcuno con cui parlarne. Nel contesto appropriato. Si chiama "elaborazione del trauma" .

Anche con un sostegno farmacologico, quando serve.

Ah, e con un pizzico di ironia, magari. Che non guasta mai, anzi.

La sai quella del tizio che doveva sottoporsi a una rischiosissima operazione chirurgica, per la quale il tasso di sopravvivenza era di un paziente su cento?
Si reca – al terror panico – dal chirurgo che, con fare serafico, gli fa:
“Caro signore, stia sereno”.
"Come, stia sereno: il tasso di sopravvivenza a questo intervento è di un paziente su cento!".

“Stia assolutamente sereno, le dico: ne ho operati novantanove questo mese, e sono tutti morti”.

- todo pasa -

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E SCUÒE ALTE (HIGH SCHOOL SUPERLATIVES)

4/9/2018

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Alla cassa per il pagamento automatico, ospedale di Piove di Sacco.
Una banale rx toracica, niente di che.
La solerte signora di una certa età, volontaria, sicuramente pensionata o ex-casalinga a buon punto nel percorso junghiano di individuazione verso l'Eroe, si spende a spiegare al paziente che mi sta davanti la procedura che prevede lettura ottica del codice a barre - inserimento del contante o della carta di credito - digitazione del pin.

Ma chi l'ha detto che questi “immigrati digitali” risultino meno valenti dei nativi?

Che poi, quando ti rechi all'ospedale “sotto casa”, e in aggiunta hai un fratello farmacista, i tempi di percorrenza – al minimo – si quadruplicano. Trovi mezzo mondo, che ti conosce. E ti ferma. E ti racconta.

Ecco, dovevate vedere l'espressione nella faccia del quarantenne - probabilmente un rappresentante purosangue dell'indigeno medio – quando ha appurato basito che i consigli della nonnina funzionano davvero! Che l'aveva tolto d'impaccio, come per magia!
“Siora, pare quasi che ea gàbia fàto e scuòe alte, ea!”

Niente, mentre aspetto che la febbre scenda, sorrido divertito di fronte ai paradossi dell'esistenza.
Mi piace pensare con quanta facilità, non appena ci troviamo in situazioni di bisogno (qui il vernacolo del profondo veneto prevederebbe un'altra espressione, molto più pregnante, epperò la netiquette che adotto nei social me la impedisce) tante categorie di giudizio semplicemente si rovescino.
Sulle persone, sul mondo, sulla politica.

Ricordo quanto ho letto in un post di un amico musicista (uno di quelli bravi, ma bravi davvero, e meritatamente famoso, per questo) quando scriveva che la cosa più probabile che ci possa capitare è di morire su un letto dove se n'è appena andato un albanese, magari assistito da una badante rumena, curato da un medico del Camerun.
E allora in quel momento, anche ricordando De Andrè, sarà una sola la parola che ci uscirà di bocca, forse con l'ultimo fiato.
Non saranno quelle idiote, trasudanti risentimento ed egoismo, che si leggono in certi post.
No, non saranno quelle.

Sarà una sola: “aiutami”.
“Aiutami”.

E qui mi fermo, un po' perché la febbre sta salendo di nuovo, un po' perché è sempre e solo l'esperienza che insegna. Non i discorsi o le orazioni via social, come questa mia.

“Usus Magister Egregius” diceva Plinio il Giovane, avvocato, scrittore e magistrato romano.

Come dargli torto?

- un viaggio incredibile -


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    Noneto Circin

    La parola, il suono, l’immagine, sono l’oggetto dei miei interessi nel tempo libero. 
    A volte, tentano di diventare voce. 
    Nella scrittura, nella musica, nella fotografia. 
    Per passione, per divertimento.
    Insomma, per una delle cose più serie nella vita: il gioco. 
    Tramite i tasti di un pianoforte, una penna che scorre veloce, le lenti di un vecchio obiettivo. 

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