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PADRE NOSTRO, CHE SEI AL BAR

27/3/2015

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È straordinario quanto la religione coinvolga la gente. 
Nell'affermare il nome di Dio, nel negarlo, lodarlo, bestemmiarlo. 
Nel tirarlo in campo anche quando non c'entra nulla, come fa chi lo arruola in qualche guerra “santa” in giro per il globo.
Evocarlo a difesa di valori cosiddetti non negoziabili. Come si trovassero all'asta, su e-bay.
La religione è tutto ciò che un uomo fa per avvicinarsi a Dio: riti, tradizioni, codici di comportamento, convinzioni, libri sacri.
La fede è un atteggiamento interiore di apertura ad una proposta di senso, di significato per l'esistenza. 
Sono due cose diverse, ma l'una esiste in funzione dell'altra.
Non di rado attorno alla religione si concentrano paure, desideri, pulsioni e frustrazioni, in cerca di un autorevole tutore. 
Come da piccolo, quando hai bisogno del papà. Quelle volte in cui lo chiami a difenderti da chi vuol farti la “bua”.
Salvo poi da adolescente, quando al contrario hai bisogno di giudicarlo, ti ritrovi ad insultarlo e pure a disprezzarlo, tuo padre.
In effetti, è specialmente nel passaggio dall'infanzia all'adolescenza che l'idea di Dio entra fisiologicamente in crisi. Tra le ragioni, tre principali: 
a) la scoperta che la preghiera è “inefficace”, nel senso che per le richieste materiali essa non ottiene necessariamente l'effetto che ci si attende;
b) le immagini di Dio proposte dagli adulti sono spesso insufficienti a riempire la domanda di senso che l'adolescente si pone;
c) un rifiuto della trasmissione delle dottrine rivelate, quando effettuato in modo autoritario e non basato sulla fiducia verso l'intelligenza e la capacità critica del ragazzo stesso.
Ad uno sguardo psicologico, è singolare quanto il rapporto con Dio possa rispecchiare lo stile delle relazioni che nell'infanzia abbiamo avuto con le figure educative. A volte, mentre ce la stiamo prendendo con il Padreterno, in realtà stiamo ancora inconsciamente gridando rabbia addosso ai nostri genitori; magari ad uno solo di essi. 
Per come ci ha accudito, per come ci ha deluso, per come ci è sembrato troppo/poco intelligente o disponibile o responsivo, per come è riuscito o meno - a suo modo - ad amarci. 
Per come non siamo mai riusciti, queste cose, a dirgliele, ad esprimerle.
Per come lo abbiamo visto vivere l'affettività, la sessualità, la vita di coppia, giudicandolo più o meno coerente ai valori che predicava.
Per quanto ci sembrasse ciò lo rendesse felice, o schiavo.
“Fede” e “fiducia” sono figlie gemelle dello stesso umanissimo bisogno. Quello che ritrovi, da sempre, a qualunque latidune: il bisogno di un legame sicuro. Di un punto di riferimento, di una fonte di certezza e di orientamento. Stabile, forte, visibile, incrollabile. 
Il mestiere di un padre, appunto.
E' drammatico in questi giorni riflettere su questo aspetto, quando la fiducia viene tradita, offesa, umiliata da notizie ove si racconta di un pilota d'aereo che porta volontariamente e deliberatamente 150 vite umane a schiantarsi contro il fianco di una montagna. Trascinando con sé un'intera “famiglia umana” del tutto incolpevole ed estranea a questo delirio, ma che per il fatto stesso di accompagnarlo nella morte sottrae il gesto del pilota ad una disperata dimensione individuale e solipsistica; un innocente coro di esistenze, obbligate a partecipare senza scampo a questo suo gesto “onnipotente” e diabolico, nel quale egli si arroga il diritto di appropriarsi delle loro vite, e della loro morte.
Ciò mina alla radice, in ciascuno di noi, le più elementari sicurezze della vita quotidiana. 
L'uomo che dovrebbe proteggerti e portarti in salvo, si fa mostro e carnefice. 
Come due carabinieri, che scopri anche nel tempo libero rapinatori ed omicidi, in una inversa nemesi schizoide, dentro un supermercato della provincia italiana. 
E' l'angoscia che si portano dentro nel segreto alcuni figli, covando domande silenziose che non riceveranno mai una risposta plausibile, in certe famiglie frammentate e polverizzate da genitori drammaticamente incapaci di un ruolo adulto, perchè accartocciati su se stessi in un infantile ed esclusivo “principio del piacere” individuale ed egocentrico.
Dove sono finite le certezze, le sicurezze? Quali “padri” ci potranno mai difendere?
Allo stesso modo, una fede cieca e priva di consapevolezza - così come un'ipercritica pregiudiziale e chiusa ad ogni trascendenza, paradossalmente altrettanto dogmatica di ciò che vorrebbe contestare - sono entrambe in modo identico del tutto avulse dal messaggio di eguaglianza, fraternità, libertà e responsabilità annunciato dal Vangelo.
Suggestiva rimane la lettura dell'esperienza religiosa offerta da Lou Andreas Salomé, fascinosa scrittrice e psicanalista russa, musa ispiratrice di Friedrich Nietzsche e Rainer Maria Rilke, che coglie all’origine di ogni sapere (quello scientifico non meno che quello religioso) un “pensiero desiderante”. 
Per la Salomé il vero credente, cioè quello psicologicamente sano, si distingue dal “sedentario” perché è “creativo”: sa di essere “creatore del suo creatore” nel ricevere, utilizzare e costruire la propria rappresentazione di Dio. Per il credente la fede è “il fragile involucro del dubbio”: all’interno delle espressioni che danno un nome a Dio si agita il dubbio di tradirne la verità e di nominare il nome di Dio invano.
Non si tratta del dubbio del relativismo e dell’esasperazione nichilista; quanto, piuttosto, del dubbio dell’esitazione di chi cerca la verità, senza l’arroganza del possesso.
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    Noneto Circin

    La parola, il suono, l’immagine, sono l’oggetto dei miei interessi nel tempo libero. 
    A volte, tentano di diventare voce. 
    Nella scrittura, nella musica, nella fotografia. 
    Per passione, per divertimento.
    Insomma, per una delle cose più serie nella vita: il gioco. 
    Tramite i tasti di un pianoforte, una penna che scorre veloce, le lenti di un vecchio obiettivo. 

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