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VIVA LE NONNE!

30/12/2018

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“La polvere, Giovanna, la polvere.”
“Si, Eulalia. La polvere. Come una volta. Certo.”
“E il paltano?  Quello argilloso, dei Colli Euganei? Rosso come l’inferno e viscido più di una saponetta dentro i tasselli degli pneumatici artigliati, mica te lo sarai scordato?
“Ah, Eulalia. Eulalia…”
“Vabbè, dai. Mica ricominceremo ancora con queste nostalgie, proprio adesso che siamo giunte in capo a questo fiordo, quassù nella lontana Islanda?”
“Ma te le vedi, Eulalia, le motorette d’oggi sporcarsi i raggi, macinare chilometri allo sfinimento e beccarsi tanta pioggia come quella che abbiamo addosso? A quelle sbarbine, basta arrivare davanti a un bar, imbellettarsi un po’, allargare la ghiera del fanale in uno smile, e farsi quel benedetto cavolo di selfie.”
“Soprattutto pubblicarlo - all’istante-  su Motogram o Motobook, altrimenti a che serve, esistere?”
“Ah, beh. E i motorini, allora? Tutti depilati, oooopsss…  - elaborati - con quella voce da garruli eunuchi, una botta di decalcomanie sul serbatoio, i parafanghi, il parabrezza, dappertutto che… come si chiama, quel modello belga, dal motore ibrido… Naingolan, forse? Che fa due chilometri e dopo ‘sta fermo un mese? Ah, Eulalia mia, non ci sono più i motori di una volta”.
“Già. Manco le mezze cilindrate, Giovanna cara. Ma te la ricordi, la Morini Tre-e-mezzo?”
“Sta zitta, va. Che ancora non l’ho digerita, quella. La odio. Te lo devo raccontare ancora, come mi ha portato via il centauro? Era così bello... prestante… ah, motore, motore, mio… ancora mi manca da morire, sai?”
“E' il minimo. Il minimo, Giovanna.  Datti una regolata. Ancora ci soffri? Sei proprio fuori giri! Che quella marmittona della Tre-e-mezzo se la faceva con chiunque, lo sai, no? E tutti che gli girava la testa, ogni volta che la vedevano passare. Che biella… ma quanto biella… Morini, amorino mio… e tutti a sgocciolarle dietro”.
“Beh, biella era biella davvero… e pure sexy conturbante, con quella posa sempre a V, divaricata al vento.”
“Mondo pistone, Giovanna. Mondo pistone!”
”Vabbè, Eulalia. Parliamo d’oggi. Dell’attualità. Di questi quattro tempi moderni”
“Ho conosciuto un nuovo centauro, l’altro giorno. Si è fatto trasportare fino a Reykjavík”
“Audace e spericolato come Gaston Rahier, Eulalia mia? Quel pilota che sulla nostra sella gli abbiamo fatto vincere due volte la Parigi-Dakar, negli anni ‘80?”
“No, Giovanna, no. Uno più tranquillo. Un uomo posato. Fa lo scrittore, adesso. Prende con calma cose, fatti e persone. Pensa che è pure un ex-magistrato. In un suo recente romanzo, intitolato “Il bordo vertiginoso delle cose…”
“Vertiginoso, Eulalia? Che parola pauroserrima! Ma te lo ricordi, quel tornante sullo Stelvio, che stavi per tirare dritta fuori strada… che burrone! Mica per sterzo! Mamma mia, che sbandata avevi preso!”
“Il bordo vertiginoso delle cose, si. Parla anche di motociclette, come noi. Si sente che è uno che ne sa. Di una Benelli 125, parla…”
“Ah, e adesso, cosa sta scrivendo, il tuo fascinoso centauro?”
“Beh, il libro più recente mi pare sia un dialogo a due voci, tra lui e un insegnante alle scuole superiori, dottore in filosofia. Si intitola “Con i piedi nel fango”.
“Nel fango? Come noi!”
“Si, come noi, Giovanna. Come me e te. “Con i piedi nel fango. Conversazioni su politica e verità”, s’intitola.“
“E che ci hai trovato, di bello?”
“Ah… tante cose, Giovanna, vecchiona mia. Tanta roba, davvero. Ad esempio, dati statistici alla mano, sostiene che il mondo di oggi è migliore di quello del passato. Cita a proposito un famoso storico israeliano, Harari. Tu pensa, ad esempio, che oggi muoiono 24.000 persone al giorno per fame o cause ad essa correlate; vent’anni fa, mentre noi spadroneggiavamo nei deserti sahariani vincendo i rallies motociclistici, erano 41.000, i morti per fame al giorno, nel mondo.”
”Ventiquattromila morti per fame al giorno nel mondo ogni giorno… è un dato sconvolgente, ma impressionante, in senso positivo, è anche il decremento…”
”Senti poi questa, Giò: “Un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni”, così scrive.”
”Ma questa frase non era di De Gasperi, lo statista trentino; oh, ma che belle strade e sterrati abbiamo percorso nell’incantevole Alto Adige?“
”Infatti. Ascolta adesso la seconda parte, meno famosa: un politico pensa al successo del suo partito, lo statista a quello del suo paese.”
”Beh, oggi in realtà il politico medio non pensa nemmeno alle prossime elezioni: pensa al prossimo sondaggio o alla prima risposta da dare su Facebook o Twitter.”
”Bleaahh, Giovanna! E dire che a me e te, manco Motogram o Motobook fanno un baffo, se non s’era capito…”
”Baffo, Eulalia? Dici che sia già tempo di ripassare dall’estetist… ooops: meccanico per il tagliando?”
”Aspetta, Giovanna. Tempo al tempo. Due tempi ai due tempi. Quattro tempi (come noi) ai quattro tempi. Niente anticipo.”
”Vabbè, Eulalia, se adesso però ti rimetti a parlare in motorese, anche qui, davanti all’oceano… sai che non lo sopporto più. Mi fai svalvolare, così, di brutto!”
”Calmetta, Giovanna. Calmetta. Noi due, vecchiette a modo, non possiamo permetterci il lusso di perdere il controllo. Il giusto grip. A queste generazioni di motorette che stanno crescendo, chi ci pensa? Chi indicherà loro la giusta direzione? Niente scoppi d’ira, quindi.”
“S’è fatto tardi. Rimettiamoci in strada, che è ancora lunga, per ritornare a casa.”
”A casa? Intendi Monaco di Baviera? In Germania, dove siamo state partorite?”
”Secondo te, Eulalia, uno può sentirsi a casa solo dove è stato messo al mondo? Dove è semplicemente cominciata, la sua corsa?”
”Non lo so, Giovanna. A me sembra che - tanto più negli ultimi tempi - la gente per strada ci guardi strano… ci consideri vecchie, o che ne so… “fuori”… roba “diversa”, insomma.”
”Eulalia cara, lo sai: te l’ho detto più volte, te lo ripeto sempre: nessuno è straniero, quando ne conosci la storia. Nero, giallo, bianco o rosa. Bello o brutto, giovine o vecchietto, alto o basso. Nessuno è straniero, inutile, diverso, quando ne conosci la storia. E noi due, di storia, ne abbiamo da vendere.”
“Parli come una statista, Giò!”
“Sta’ zitta, che mi monto la testa.”
“Beh… statiste forse ancora no, ma delle gran… stradiste, questo sì!”
 ”Brum, Eulalietta bella!”
“Brum-Bruuum, Giò!”
”Andiamo?”
”Partenza, Giò!”
 
          - una terra promessa –


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IL SALAME SUGLI OCCHI

16/12/2018

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 Chissà perché alcune cose le capisci solo dopo i quarant'anni.
Mica che prima non le sapessi. No, non sto dicendo questo.
E' che è sempre solo l'esperienza, la miglior “professoressa”.
Aiutata da qualche buona lettura, of course.

Tipo il fatto che vivere è cambiare. 
Che quella “cosa” chiamata amore (mi piace paragonarlo a un continente, che ad ascoltare storie e vicende, casi umani e disturbi clinici, va da Madre Teresa a Rocco Siffredi) evolve, si trasforma, si interrompe, ti converte e capovolge, sometimes.

John Bowlby.
Si, l'ho veramente apprezzato solo dopo la mia quarta decade di vita.
Prima ero cresciuto nutrito a Sigmund Fred e cognitivismo, ben conditi da qualche lauta immersione nelle terapie strategiche di origine nordamericana. Poi riscopro questo inglese, con la sua disarmante concretezza. Il suo approccio etologico, cioè basato sull'osservazione naturalistica, lo studio del comportamento dell'animale e dell'uomo seguendo gli stessi criteri con i quali viene condotta la ricerca in altri campi della biologia. Senza partire da modelli filosofici o sovrastrutture interpretative a-priori.

Il concetto è semplice: si chiama Attaccamento.
L'attaccamento non è una scelta. E' un motore, una forza vitale che orienta tutta la vita degli individui. Innesca la ricerca della prossimità. Da quando veniamo al mondo fragili e indifesi, bisognosi di ogni cosa e di ogni cura, a quando ci innamoriamo e rendiamo quella persona la cosa più preziosa al mondo. Unica, irrinunciabile. Senza di lui/lei, ci par di morire. 

Poi di fatto giunge davvero, inesorabile e spietata per chiunque, l'ora della morte. 
Per chi amiamo, per chi ci ama. Per noi. 
Si, l'amore è una questione di sopravvivenza. 
Hai mica fatto caso come  espressioni del tipo: “Ti amerò per sempre”; “Non ci lasceremo mai”; “Me & You forever” contengano – tutte – una sfida all'eternità?

La sua opera principale, John Bowlby l'ha intitolata così: “Attaccamento e Perdita”. Medico, psicologo, psicoanalista. Tre volumi sul rapporto madre-bambino, che si rivela il paradigma dei futuri stili, anche nelle relazioni adulte di coppia: attaccamento sicuro, ambivalente, evitante.

Insomma, per farla breve, mi sono ritrovato tra le mani in questi giorni un libro, scritto da un veterinario comportamentista. Una rivelazione. Tra le pagine migliori che mi sia capitato di leggere negli ultimi tempi: “Anche gli animali amano” di Claude Béata. Un francese. Che poi sia anche sessuologo, lo si capisce seguendo le sue appassionanti descrizioni e considerazioni.

Tipo questa: 
“Allora, cerchiamo di riassumere: dopo l'alchimia dei primi secondi dell'incontro, eccoci qua. La connessione è stabilita. Vi state innamorando. Questa persona, qualche secondo fa ancora sconosciuta, vi sembra preziosa e differente. La sua voce, il suo odore, la forma delle sue mani, il suo sguardo vi fanno sentire bene come non mai (un  fiotto di dopamina invade il nucleo accumbens). E, anni dopo, sarete ancora capaci di descrivere ciò che indossava quel giorno, la sciarpa che aveva annodata al collo, ciò che aveva bevuto, il colore della carta da da parati  del luogo luogo in cui vi siete incontrati (è l'aumento del tasso di noradrenalina nei centri della vigilanza che vi rende ipersensibili al contesto e ai dettagli). Ma questo non basta a caratterizzare lo stato amoroso: bisogna anche diventare ciechi nei confronti dei difetti. Quella pronuncia blesa, il fatto che sia di bassa statura mentre a voi piacciono gli spilungoni, le dicerie che vi sono giunte all'orecchio, tutto ciò che avrebbe dovuto essere redibitorio sparisce semplicemente (il tasso di serotonina è crollato nelle zone corticali dello spirito critico). Eccovi ipnotizzati da questa voce calda, da quegli occhi di velluto, da un profumo che per anni risveglierà il vostro desiderio, da una pelle che siete sicuri sarà dolce al tatto (sensibilizzati dalla dopamina, i recettori dell'ossitocina adesso sono stimolati e cominciano a stabilire il legame).  Vi sentite bene, euforici e ciò sarà ancor più vero dopo aver fatto l'amore, se non sarà successo nulla che guasti la festa (l'ossitocina e le endorfine si associano in quel momento). A partire da questo istante, eccovi agganciati! E non uso questa parola a caso: le endorfine, lo sapete, sono degli analoghi endogeni della morfina,della famiglia dell'eroina. Dal momento in cui siete di nuovo soli, non avete che un'idea in testa: ricominciare, ritrovare colui o colei il cui contatto scatena questo stato di beatitudine, la cui assenza provoca un dolore”.

Nel corso del tempo, l'innamoramento tende a sfociare nell'attaccamento. Mica si può restare drogati tutta vita, no? O meglio: anche qui, l'assuefazione e la tolleranza  (fenomeno per cui l'individuo consumatore deve aumentare progressivamente la dose per ottenere lo stesso effetto) la vincono. 
L'attaccamento ha un orizzonte, che è il distacco. La fascinazione della madre per il bimbo piccolo, l'annichilimento dello spirito critico per gli innamorati: tutto ciò ha un termine che corrisponde all'accesso alla maturità dopo l'adolescenza, per il ragazzo; alla transizione riuscita tra due forme di relazioni positive (l'innamoramento prima, la stabilità dell'amore emozionale, poi), per le coppie di lungo corso. 

La sai quella del trentesimo presidente degli Stati Uniti che si reca in vistita con la First Lady a una fattoria sperimentale patrocinata dal governo? Un fatto realmente accaduto,  mica no. Calvin Coolidge, si chiamava. Da qui, quello che in psicologia viene denominato, appunto, l'”effetto Coolidge”. La storia vuole che la moglie di questo importante personaggio notasse un gallo che si accoppiava molto frequentemente. Chiedendo al fattore quanto spesso avvenisse il fatto, le venne risposto “dozzine di volte al giorno”. “Lo dica al signor Coolidge,” replicò la First Lady. Il Presidente, informato della cosa, chiese a sua volta: “Ma ogni volta con la stessa gallina?”. “No,” rispose il contadino, “ogni volta con una gallina diversa”. “Lo dica alla signora Coolidge!” disse il Presidente. 

Vabbè, per oggi ne ho scritte abbastanza.

     - ah, la felicità -

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SORRISI e CANZONI, DI PIÙ

1/12/2018

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Lo sai perché le lancette degli orologi, nelle pubblicità, segnano sempre le 10,10?
No?

Prova a controllare in qualsiasi gioielleria o – se ti fa più comodo – cerca in qualche sito tipo Amazon o eBay.
Adesso, subito, nel medesimo display dove stai leggendo questo post.
Visto?

Il motivo, te lo spiega la Gestalt (che significa “psicologia della forma”). E' la posizione delle braccia aperte. E' l'espressione del sorriso.

Vuoi mai che, per invitarti all'acquisto del prodotto, l'immagine vada a solleticare gli angoli bui e tristi del tuo inconscio ove abitano le paure, le chiusure, la diffidenza sospettosa?
No, queste strategie lasciale ai politici del Quaquaraquà. Tipo quelli attualmente in auge.

Non mi metto a descrivere, adesso, le ragioni per cui fin dai primi anni del 1900, negli Stati Uniti, la psicologia è stata largamente utilizzata nel marketing.
Tutto sommato, le regole-base rimangono sempre le stesse: capire e soddisfare bisogni e desideri del proprio target; far leva sulle emozioni utilizzando storie e immagini che parlino al cuore e alla pancia; mostrare che altri hanno già acquistato quel prodotto o stanno già facendo quella cosa; dichiarare che ne rimane una disponibilità limitata o che la possibilità di ottenerlo a condizioni vantaggiose è solo per un determinato periodo di tempo, ecc...

No, non è questo che mi interessa, stasera.
Mi piace piuttosto pensare al fatto che la direzione verso la felicità è quella dell'apertura, non della chiusura. Si, come la storia delle lancette dell'orologio. Anzi, di più.

René Arpad Spitz. Austriaco naturalizzato statunitense. Si occupa dapprima di bambini ospedalizzati. Poi arriva a descrivere quelli che conosciamo come i “tre organizzatori” dell'Io: la comparsa del sorriso attorno al secondo mese di vita del neonato, la reazione di angoscia di fronte al volto di un estraneo all'ottavo, la comparsa del “NO” sistematico attorno ai due anni.

Cosa organizzano, di bello, questi comportamenti?
La struttura della personalità, hai detto niente!

La comparsa del sorriso (attorno ai due-tre mesi) segna il passaggio dalla sola necessità di soddisfazione dei bisogni istintuali alla percezione che “fuori” esiste un mondo: il principio di realtà inizia a funzionare.

La reazione di angoscia di fronte a un viso che non sia quello della madre o di una figura nota, attorno all'ottavo mese, segnala una prima capacità di riconoscimento e di discriminazione tra figure “sicure” e quelle che non lo sono (tutti gli altri).

Il “NO” eretto a sistema (due anni, circa) si basa su alcuni riflessi innati, tipo quello cefalogiro (il bambino si dirige o allontana verso il capezzolo del seno o il biberon a seconda della propria fame o sazietà). Nello stesso tempo il “no” costituisce la prima acquisizione concettuale puramente astratta del bambino: gli consentirà l’accesso al mondo simbolico, come le parole che progressivamente va conoscendo e acquisendo.

Certo, chiunque sia diventato genitore per aver messo al mondo dei figli propri, o adottando un bimbo destinato all'insignificanza, che è la stessa cosa, sa bene quanta pazienza occorra al mestiere.

Quanto più efficaci risultino i sorrisi (“rinforzi positivi”, li chiamano i comportamentisti) rispetto alle sberle e alle “messe in castigo”.
Come sia arduo, talvolta, affrontare, gestire, rassicurare ed educare questi benedetti “NO” che i bimbi producono, per partito preso...

Penso a come, in fondo, tutti noi veniamo al mondo grazie a una scintilla.
D'amore, di passione, d'incoscienza o tutte queste cose miste assieme, che scattano - chissà come e perché - tra un uomo e una donna.
Una sfida all'estinzione della specie. Alla sterilità.
Alla morte, per dirla tutta.

Nasciamo programmati all'apertura, alla propulsione, all'espansione.
Al sorriso, alle braccia aperte.
Poi dobbiamo attraversare le crisi (“crisi” = “passaggio”) della crescita. Che significa sopravvivere a qualche frustrazione. Utilizzarla come materiale di costruzione. Imparare dalle difficoltà. Sfuttarle per affinare intelligenza, intuito, sensibilità. Cuore e sentimenti, magari.

Invece qualcuno non ce la fa, e si lascia ghermire dalle paure, dall'ansia, dal panico sociale.
Dallo spavento di fronte alle diversità.

Come dici?
Che ci sono mestieranti specializzati in questo senso, e pure prendono voti alle elezioni, in tempi di crisi economica e sociale?

Beh, non è una novità. Pensa che Hitler, nel 1943, è andato al potere con il 43% dei consensi.
Sfruttando esattamente – Goebbels docet – questi meccanismi.

Qualcuno si accontenta di questo. Gli basta così.
Tu, invece, hai capito perché a me piace, la pubblicità dell'orologio?

https://www.youtube.com/watch?v=MamyDyLlAeY


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    Noneto Circin

    La parola, il suono, l’immagine, sono l’oggetto dei miei interessi nel tempo libero. 
    A volte, tentano di diventare voce. 
    Nella scrittura, nella musica, nella fotografia. 
    Per passione, per divertimento.
    Insomma, per una delle cose più serie nella vita: il gioco. 
    Tramite i tasti di un pianoforte, una penna che scorre veloce, le lenti di un vecchio obiettivo. 

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