IL CIELO SOTTOSOPRA
Giorgio è alto un metro e novanta. Fors'anche qualcosa in più.
L'ho sempre invidiato - e ammirato - per le sue incredibili qualità di showman.
Chissà quale delle due, per prima: se l'ammirazione o l'invidia.
Il film invece l'avevo visto appena uscito. All'”Arena del Sole”, Lido degli Estensi. Al cinema (all’aperto, bada bene!) ci andavamo la sera, la pelle biscottata dalle lunghe giornate a giocare a pallone sulla spiaggia. L'entusiasmo irrefrenabile di quei primi anni '80, che ti sentivi invincibile. Pronto a sfidare, con i tuoi vent'anni, tutto il mondo che ne sarebbe seguito, venuto dopo.
Quell'estate stavamo preparando un concerto mica male come impegno, programma e ambizioni. Per quei tempi, per i mezzi che avevamo. La scaletta era già pronta, ma la visione di quell'epico film ci mise meno di un assaggio di pop-corn, a stravolgerla. Da cima a fondo. Ray, Elwood, Jake, Aretha, James... qualcuno avrebbe potuto resistere al fascino di quei divini musici e interpreti, che rieditavano a loro modo i grandi classi del soul e del rhythm and blues?
“Lascia star la bomba
che scava la tua tomba
e metti le tue scarpe da pallon”
L'originale titolava “Rawhide”, uno standard del genere western. Nella pellicola, è il brano scelto a ripiego dalla band (e che band!) mentre si trovano in un locale zeppo di avvinazzati cowboys. Avevano attaccato “Gimme Some Lovin'”, ma la reazione dei bifolchi a suon di contumelie e lanci di boccali di birra li aveva costretti a desistere e virare verso il country-style, a malcontento.
Noi avevamo rivisitato il testo, rendendolo un inno antimilitarista e pacifista:
“Se il mondo è un pallone
stiamo attenti ai furbi
che son pronti a farcelo scoppiar...
Palla palla palla
palla palla pallaaaa!”
A Giorgio toccava la parte del solista. Anche perché, con i suoi quasi due metri, la voce profonda e il trilby nero calato sui Ray-ban da sole, di Elwood era il sosia sputato.
E' di poco tempo fa la divulgazione dei risultati di uno studio complesso in ambito neuroscientifico.
Durato diversi anni e coordinato dalla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste con la collaborazione dell’Università di Roma Tor Vergata. Può avere ricadute importantissime, epocali addirittura, nel campo della medicina. Vi si dimostra che un nuovo materiale (una spugna tridimensionale fatta di nanotubi di carbonio) riesce a fare da sostegno alla crescita di fibre nervose, collegando porzioni staccate di tessuto. La connessione osservata non è soltanto fisica ma anche funzionale.
Lo studio, pubblicato su Science Advances (una “costola” della prestigiosa rivista Science) dimostra che questo materiale è molto promettente nelle applicazioni biomediche e potrebbe essere valutato il suo utilizzo negli impianti nervosi permanenti. In ambito umano, ciò significherebbe la possibilità di recuperare l'uso degli arti: gambe, braccia o entrambi, per chi ne ha perso l'uso a seguito di gravi traumi con lesioni midollari, perlopiù rappresentati da incidenti stradali o sportivi. L'esempio - tra molti - di Cristopher Reeve, il celebre attore americano che impersonava Superman e rimasto tetraplegico a seguito di una caduta da cavallo, è tristemente noto a tutti.
L'aspetto che più mi impressiona, tuttavia, sta nella risposta che Maurizio Prato, chimico organico, docente e ricercatore dell'Università di Trieste ha fornito, in una recente intervista televisiva, al giornalista che gli chiedeva in che tempi potremo vedere un'applicazione clinica di queste ricerche. “Una decina d'anni”. Ecco, questo mi impressiona: la differenza tra i “tempi lunghi” della ricerca scientifica seria, rigorosa ed efficiente e l'illusorio “tutto-e-subito” dell'era digitale. Apri Facebook, e ti sembra che l'onnipotenza sia calata sulla terra. Tutti sanno tutto di tutto, esprimono sentenze, promulgano assoluzioni, dissertano di fisica subatomica come di linguistica forense o computazionale con assoluta nonchalance.
Ricordo il giorno del cinquantesimo compleanno di Giorgio. E' sempre stato uno sportivo. Appassionatissimo di montagna. Non era un caso, quell'abbondanza di regali di abbigliamento tecnico, fitness e attrezzature da scalata.
E' questa la passione che lo stava conducendo, quel pomeriggio di una domenica d'estate, appena dopo pranzo, verso la sua amata Enego, sull'altopiano di Asiago. Disponeva da poco di un appartamento, del quale era felicissimo. Una sorta di piccolo rifugio dove poter correre, appena possibile, a rigenerare mente, corpo ed emozioni. Magari con qualche buona lettura, inframezzata a qualche sana e rigenerante escursione tra i boschi di larici.
L’automobile corre veloce lungo la statale della Valsugana. Qualche motociclista lo sorpassa, dipingendo amabili traiettorie mentre "piega" dolcemente dentro le ampie curve direzione Trento. In quella danza cenestesica che assomiglia così da vicino al condurre la propria esistenza attraverso le svolte della vita. Quelle dell'età, della professione. Dei figli che crescono. Delle relazioni che cambiano.
Si capovolgono, talvolta.
Inaspettatamente.
All'improvviso, uno pneumatico scoppia.
No, non è quello della moto.
La Fiat grigio chiara di Giorgio inizia una scombinata danza di rimbalzi e capriole lungo, fuori e sopra il nastro d'asfalto.
E' un soleggiatissimo primo pomeriggio dell'otto agosto 2011.
Ma la vita, cambia per sempre.
L'elisoccorso, l'azzurro del cielo che si confonde e mescola con il grigio della parete rocciosa, il verde dell'erba, il colore e il sapore della terra che invade l'abitacolo attraverso i vetri polverizzati, il tetto sfondato, il corpo schiacciato contro il sedile.
Non sono questi i particolari che contano, oramai.
Giorgio lo trovavi, e ancor oggi lo trovi, in fondo a via Altinate. Una delle vie spine dorsali del centro storico di Padova.
Fermati quando lo sguardo s'imbatte contro la parete inclinata di una delle più belle chiese del romanico veneto esistenti. Entraci pure, è gratis.
Non potrai che trovarla magnifica, specie dopo i recenti restauri che hanno restituito alla pietra dei mattoni una pulizia, luminosità e calore eccezionali.
Se è domenica mattina, Giorgio è quello dietro all'altare. Quello sulla sedia a rotelle.
Ne comanda i movimenti elettromeccanici tramite uno joystick. L'avambraccio sinistro è una parte del corpo che dopo una lunghissima riabilitazione ha potuto veder restituita a una sia pur limitata funzionalità. Gli consente un minimo di autonomia. Non certo quella di potersi lavare, o andare al bagno; nemmeno farsi la barba, da solo.
Sta celebrando il rito del pane e del vino. Per i credenti, è la cena comune dell'eucarestia.
Se ti siedi, dopo la lettura del Vangelo lo sentirai commentare la Parola.
E’ possibile che il brano, in una domenica magari di primavera, racconti questo:
“La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d'angolo...”
La Buona Novella rovescia le prospettive.
Ribalta le gerarchie.
“Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”.
Domani è il suo compleanno.
Ancora, e di nuovo: tanti, tanti auguri, prodigioso e incredibile “Socio”, amico mio!
- marcondiro'ndera, marcondiro'ndà -
L'ho sempre invidiato - e ammirato - per le sue incredibili qualità di showman.
Chissà quale delle due, per prima: se l'ammirazione o l'invidia.
Il film invece l'avevo visto appena uscito. All'”Arena del Sole”, Lido degli Estensi. Al cinema (all’aperto, bada bene!) ci andavamo la sera, la pelle biscottata dalle lunghe giornate a giocare a pallone sulla spiaggia. L'entusiasmo irrefrenabile di quei primi anni '80, che ti sentivi invincibile. Pronto a sfidare, con i tuoi vent'anni, tutto il mondo che ne sarebbe seguito, venuto dopo.
Quell'estate stavamo preparando un concerto mica male come impegno, programma e ambizioni. Per quei tempi, per i mezzi che avevamo. La scaletta era già pronta, ma la visione di quell'epico film ci mise meno di un assaggio di pop-corn, a stravolgerla. Da cima a fondo. Ray, Elwood, Jake, Aretha, James... qualcuno avrebbe potuto resistere al fascino di quei divini musici e interpreti, che rieditavano a loro modo i grandi classi del soul e del rhythm and blues?
“Lascia star la bomba
che scava la tua tomba
e metti le tue scarpe da pallon”
L'originale titolava “Rawhide”, uno standard del genere western. Nella pellicola, è il brano scelto a ripiego dalla band (e che band!) mentre si trovano in un locale zeppo di avvinazzati cowboys. Avevano attaccato “Gimme Some Lovin'”, ma la reazione dei bifolchi a suon di contumelie e lanci di boccali di birra li aveva costretti a desistere e virare verso il country-style, a malcontento.
Noi avevamo rivisitato il testo, rendendolo un inno antimilitarista e pacifista:
“Se il mondo è un pallone
stiamo attenti ai furbi
che son pronti a farcelo scoppiar...
Palla palla palla
palla palla pallaaaa!”
A Giorgio toccava la parte del solista. Anche perché, con i suoi quasi due metri, la voce profonda e il trilby nero calato sui Ray-ban da sole, di Elwood era il sosia sputato.
E' di poco tempo fa la divulgazione dei risultati di uno studio complesso in ambito neuroscientifico.
Durato diversi anni e coordinato dalla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste con la collaborazione dell’Università di Roma Tor Vergata. Può avere ricadute importantissime, epocali addirittura, nel campo della medicina. Vi si dimostra che un nuovo materiale (una spugna tridimensionale fatta di nanotubi di carbonio) riesce a fare da sostegno alla crescita di fibre nervose, collegando porzioni staccate di tessuto. La connessione osservata non è soltanto fisica ma anche funzionale.
Lo studio, pubblicato su Science Advances (una “costola” della prestigiosa rivista Science) dimostra che questo materiale è molto promettente nelle applicazioni biomediche e potrebbe essere valutato il suo utilizzo negli impianti nervosi permanenti. In ambito umano, ciò significherebbe la possibilità di recuperare l'uso degli arti: gambe, braccia o entrambi, per chi ne ha perso l'uso a seguito di gravi traumi con lesioni midollari, perlopiù rappresentati da incidenti stradali o sportivi. L'esempio - tra molti - di Cristopher Reeve, il celebre attore americano che impersonava Superman e rimasto tetraplegico a seguito di una caduta da cavallo, è tristemente noto a tutti.
L'aspetto che più mi impressiona, tuttavia, sta nella risposta che Maurizio Prato, chimico organico, docente e ricercatore dell'Università di Trieste ha fornito, in una recente intervista televisiva, al giornalista che gli chiedeva in che tempi potremo vedere un'applicazione clinica di queste ricerche. “Una decina d'anni”. Ecco, questo mi impressiona: la differenza tra i “tempi lunghi” della ricerca scientifica seria, rigorosa ed efficiente e l'illusorio “tutto-e-subito” dell'era digitale. Apri Facebook, e ti sembra che l'onnipotenza sia calata sulla terra. Tutti sanno tutto di tutto, esprimono sentenze, promulgano assoluzioni, dissertano di fisica subatomica come di linguistica forense o computazionale con assoluta nonchalance.
Ricordo il giorno del cinquantesimo compleanno di Giorgio. E' sempre stato uno sportivo. Appassionatissimo di montagna. Non era un caso, quell'abbondanza di regali di abbigliamento tecnico, fitness e attrezzature da scalata.
E' questa la passione che lo stava conducendo, quel pomeriggio di una domenica d'estate, appena dopo pranzo, verso la sua amata Enego, sull'altopiano di Asiago. Disponeva da poco di un appartamento, del quale era felicissimo. Una sorta di piccolo rifugio dove poter correre, appena possibile, a rigenerare mente, corpo ed emozioni. Magari con qualche buona lettura, inframezzata a qualche sana e rigenerante escursione tra i boschi di larici.
L’automobile corre veloce lungo la statale della Valsugana. Qualche motociclista lo sorpassa, dipingendo amabili traiettorie mentre "piega" dolcemente dentro le ampie curve direzione Trento. In quella danza cenestesica che assomiglia così da vicino al condurre la propria esistenza attraverso le svolte della vita. Quelle dell'età, della professione. Dei figli che crescono. Delle relazioni che cambiano.
Si capovolgono, talvolta.
Inaspettatamente.
All'improvviso, uno pneumatico scoppia.
No, non è quello della moto.
La Fiat grigio chiara di Giorgio inizia una scombinata danza di rimbalzi e capriole lungo, fuori e sopra il nastro d'asfalto.
E' un soleggiatissimo primo pomeriggio dell'otto agosto 2011.
Ma la vita, cambia per sempre.
L'elisoccorso, l'azzurro del cielo che si confonde e mescola con il grigio della parete rocciosa, il verde dell'erba, il colore e il sapore della terra che invade l'abitacolo attraverso i vetri polverizzati, il tetto sfondato, il corpo schiacciato contro il sedile.
Non sono questi i particolari che contano, oramai.
Giorgio lo trovavi, e ancor oggi lo trovi, in fondo a via Altinate. Una delle vie spine dorsali del centro storico di Padova.
Fermati quando lo sguardo s'imbatte contro la parete inclinata di una delle più belle chiese del romanico veneto esistenti. Entraci pure, è gratis.
Non potrai che trovarla magnifica, specie dopo i recenti restauri che hanno restituito alla pietra dei mattoni una pulizia, luminosità e calore eccezionali.
Se è domenica mattina, Giorgio è quello dietro all'altare. Quello sulla sedia a rotelle.
Ne comanda i movimenti elettromeccanici tramite uno joystick. L'avambraccio sinistro è una parte del corpo che dopo una lunghissima riabilitazione ha potuto veder restituita a una sia pur limitata funzionalità. Gli consente un minimo di autonomia. Non certo quella di potersi lavare, o andare al bagno; nemmeno farsi la barba, da solo.
Sta celebrando il rito del pane e del vino. Per i credenti, è la cena comune dell'eucarestia.
Se ti siedi, dopo la lettura del Vangelo lo sentirai commentare la Parola.
E’ possibile che il brano, in una domenica magari di primavera, racconti questo:
“La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d'angolo...”
La Buona Novella rovescia le prospettive.
Ribalta le gerarchie.
“Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”.
Domani è il suo compleanno.
Ancora, e di nuovo: tanti, tanti auguri, prodigioso e incredibile “Socio”, amico mio!
- marcondiro'ndera, marcondiro'ndà -