IL RIPOSINO DELL'IMPERATORE
Mio padre era milanista. Di quelli storici, radicati.
La generazione che tifava Josè Altafini, Nereo Rocco, Gianni Rivera, Enrico Albertosi.
Napoleone diceva che agli uomini dovevano bastare quattro ore di sonno.
Alle donne, cinque.
Agli imbecilli, sei.
Io invece ero interista. Lo sono sempre stato.
Per quella psicanalitica legge di opposizione che porta il figlio di un padre "troppo" in tutto, a schierarsi sul fronte opposto.
Poi però Napoleone si concedeva - addirittura sul campo di battaglia - delle brevi soste di recupero entro la sua tenda. Degli intervalli, pare di un quarto d'ora. Dei riposini, insomma.
Di fatto era Training Autogeno, anche se non lo sapeva.
Si, mio padre era milanista. Fin da quando ero piccolo.
E mai ho rosicato tanto, come quando venne l'epoca di quella che chiamarono "la squadra degli immortali". Gioco totale, un collettivo dove ogni calciatore si muoveva in una sincronia quasi osmotica entro l'organismo degli undici in campo. Arrigo Sacchi il suo profeta. Ciascuno votato al ruolo offensivo, quanto a quello difensivo. E quei tre colossi olandesi. Tre veri e propri Bronzi di Riace, di casacca colore arancio. Ruud Gullit, Marco Van Basten, Frank Rijkaard. Tre semidei alati. Inarrestabili, imprendibili. Invincibili.
Ma la cosa paradossale era che mio padre, tantopiù si esaltava alle imprese di quella leggendaria squadra - conquiste a nastro tra scudetti, Champions League, coppe intercontinentali - altrettanto produceva un inventario irripetibile di contumelie e improperi, quando sul piccolo schermo vedeva comparire il presidente proprietario. Il "Cavaliere". Che era anche uomo di potere. Economico, e politico.
Training Autogeno. Una procedura largamente usata in psicoterapia. Una tecnica di elezione per il controllo dell'ansia. In uno stato di distensione e rilassamento, di leggera trance, il paziente raggiunge una condizione ideale per rivivere a livello corporeo delle risposte psicofisiologiche tipiche degli stati di quiete. Rilassamento delle fasce muscolari, vasodilatazione periferica, normalizzazione del battito cardiaco. In questa modalità, il tracciato elettroencefalografico corrisponde agli stati di sonno profondo. Insomma, nello spazio di un quarto d'ora si arriva a una vera e propria “ricarica delle batterie”: fisiche, emotive, mentali.
Nelle fasi iniziali dell'allenamento, non è raro si verifichino dei piccoli spasmi, dei movimenti involontari. Vengono chiamate “scariche autogene” e segnalano la discesa nello stato di relax tramite il distacco dalle tensioni fisiche e psicologiche, come di notte quando ci si addormenta.
Quasi delle onde, delle vibrazioni. Come un ritmo, come una musica.
Napoleone Bonaparte.
Ufficiale di artiglieria, generale, Primo Console, quindi Imperatore dei francesi.
Su di lui circolano diversi aneddoti, non del tutto fondati. Ad esempio, non è vero fosse basso. Un metro e sessantotto. Tre centimetri sopra la media dell'epoca, per i maschi. La statura, quest'ultima, del nostro contemporaneo Sarkozy. Quella della bassa statura pare fosse una maldicenza messa in giro dagli inglesi per sminuirne la fama sui campi di battaglia. Le fake news non le ha inventate Facebook, insomma.
Immigrato, questo si. La sua famiglia - italiana - giunse in Corsica, da poco ceduta alla Francia dalla Repubblica di Genova, solo un anno prima della sua nascita. Per questo, come capita agli stranieri, fu deriso, guardato con ostilità e sospetto, odiato da molti, mal sopportato dalla maggioranza.
Egocentrico, malinconico, arrogantello e un po' complessato, non esprimeva opinioni granché positive sul carattere italico. Al vicerè d'Italia una volta disse: “Avete torto a pensare che gli italiani siano come fanciulli: c'è del malanimo in loro, non obbediscono che alla voce del padrone”.
Ambizioso, questo si. L'educazione ricevuta e le azzeccate scelte politiche trasformarono la sua avventura di emigrante in una carriera che lo portò a regnare su mezza Europa.
Nello stesso rito dell'incoronazione volle distinguersi su tutti, sollevando il papa dal gesto rituale (spettava ai pontefici porre la corona sul capo dei futuri regnanti). Bonaparte volle far da sé. Gesto simbolico, quello raccogliere nelle proprie mani il diadema per porselo autonomamente sul capo. Teso a sottolineare l'indipendenza e la supremazia del nuovo regime, anche nei confronti del potere religioso.
Vabbé, che mi metto a fare? A raccontare la storia dei Bonaparte, come non bastasse il trauma dell'esame di maturità?
“Mi parli della politica interna di Napoleone III”
“...”
“Vuole che le ripeta la domanda?”
“No, la domanda l'ho capita, è la risposta, che non so” avrei voluto dire.
Eppure mi pareva d'averla studiata, la faccenda, Che si trattasse del nipote, tramite il fratello Luigi... e poi: black out. Adrenalina e cortisolo a mille, memoria dichiarativa zero.
In compenso, di Napoleone III non mi sarei mai più dimenticato, per il resto dei miei giorni.
E pure di notte torna talvolta a visitarmi, sotto forma di incubo, di esame di maturità.
Riprendiamo, dallo zio. Napoleone nato qui in Ajaccio, l'Imperatore.
Si potrebbero ricordare migliaia di cose, legate al suo carisma. Battaglie, vittorie, sconfitte compresa quella disastrosa nella campagna di Russia: partirono settecentomila soldati e ne tornarono vivi solo centomila.
Ammiro la promulgazione del Codice Napoleonico. Uno dei più celebri Codici Civili. In esso si confermano le principali conquiste della rivoluzione francese come l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e l'abolizione del feudalesimo, oltre a proteggere il diritto di proprietà. Ancora: i diritti della persona e della famiglia concernenti le norme sullo stato civile: il matrimonio, il divorzio, la paternità (con la riduzione dei poteri del pater familias), la parificazione tra figli legittimi maschi e femmine e con l'attribuzione di qualche diritto ai figli naturali, la capacità di agire.
Raccontando di Bonaparte arrivo nella sua città natale, in queste caldissime ferie dell'estate 2019, dedicate alla Corsica. E' sera, ormai. Cerchiamo un posto dove mangiar qualcosa. Scegliamo una piccola trattoria nei pressi del molo. La numerosa clientela convenuta sembra confermare l'impressione di un localino dove vale la pena fermarsi.
Ci sediamo. Scorgo una coppia di anziani, al tavolo a fianco. Lei è in sedia a rotelle, l'espressione sorridente, ma inconfondibilmente persa nel vuoto. Quella tipica degli ostaggi di Alzheimer.
Lui, con infinita pazienza, attende che la moglie insegua con la punta della forchetta, ad una lentezza millimetrica, il contenuto di una cozza.
Solo dopo venti minuti, con un gesto di una struggente tenerezza, la imbocca.
L'aveva aspettata. Senza impazienza. Senza irritazione.
Come dici? Se ho mai goduto di una rivincita - sportivamente parlando - nei confronti di Renzo, mio padre?
Certo che si! E' venuta l'era dei Maicon-Schneider-Milito-Mourinho-Matterazzi. Capitanati dall'indomito Capitan Zanetti. “Il” Capitano. L'équipo del magico “triplete” interista!
Ma di lì a poco, oramai, la lucidità cognitiva e la coscienza di sé avrebbero progressivamente abbandonato la mente di papà. Gli sfottò calcistici, le diatribe del lunedì, non erano più quelle di un tempo. Non potevano più esserlo.
Parallelamente, a quel tempo, anche il Cavaliere aveva perso smalto. E potere, di conseguenza.
Sembrava onnipotente, durante gli anni dei fasti al comando. Ora invece - uno dopo l'altro - anche gli adepti apparentemente più fidati, lo stavano abbandonando. Uno dopo l'altro.
Sic-transit-gloria-mundi.
Napoleone fini i suoi giorni - ironia della sorte - su di un'isola. Dopo l'esilio all'Elba, ancora, un'isola. Sempre più piccola. La sperduta, anonima Sant'Elena. Se la cerchi nell'atlante, fatichi a trovarla. Esplora le coste dell'Africa: all'altezza della Namibia, dell'Angola. Duemila chilometri dalla terraferma, verso ovest.
Napoleone, l'Imperatore, lì finì i suoi giorni. Ai margini del mondo. Ai margini della storia, che aveva contribuito a trasformare.
Sic-transit-gloria-mundi.
Io non so di preciso dove si trovi mio papà adesso, né cosa starà facendo.
E' “andato avanti”, come dicono gli alpini. Se n'è andato sul far del mattino. Oggi sono giusto due anni, da quel 25 luglio.
Quel 25 luglio.
In realtà, Renzo aveva cominciato ad andarsene già qualche tempo prima.
Se ne rendeva conto. Scherzandoci sopra, a volte. Di gran malavoglia, talaltre.
Se noi siamo la nostra memoria, la progressiva inesorabile perdita dei ricordi, l'incapacità di riconoscere - addirittura nel volto delle persone care - le memorie condivise, ciò significa lo smarrimento della nostra stessa identità. Ed è drammatico, quando il gioco dei giorni ti dà modo di accorgertene.
C'era un pianoforte austriaco, vecchio e un po' scordato, al piano terra della struttura di assistenza che si era resa necessaria negli ultimi tempi. Molto di frequente, quando lo andavo a trovare, mi chiedeva di condurre la carrozzina fin giù, a fianco del vecchio piano. E mi diceva; “Suonami una musichetta, che sei bravo”.
Tralascio la descrizione della commozione nel ricordare questo, e cito solo l'abstract di uno studio sulla mente musicale che mi son portato da leggere, tra una nuotata e l'altra in queste ampie baie della Corsica. Tratta dell'ippocampo, una struttura cerebrale situata nel sistema limbico, deputato ai circuiti delle emozioni e della memoria. E' straordinario apprendere come la pratica musicale agisca sulla plasticità di queste parti della nostra mente. Pazienti catatonici, con lesioni degenerative di queste sezioni del cervello, incapaci di memoria a breve, medio e lungo termine, si risvegliano nelle attività di canto corale. Riescono non solo a eseguire canzoni popolari cantate nella loro infanzia, ma anche ad apprendere in poche sedute diversi nuovi brani.
Potere della musica.
Onde sonore che riattivano onde cerebrali.
Vibrazioni terapeutiche.
No, non so cosa starà combinando papà, adesso.
Lo immagino indaffarato a costruire con forbici e cartone qualche aggeggio scherzoso, allo scopo di far giocare e divertire i piccoli angioletti che dalla terra salgono lassù, tutti troppo presto. Al modo che amava, con le nipotine e ciascun bambino che incontrava. Così determinato nel ruolo di imprenditore, così vulnerabile in quello di nonno.
Magari sta rivedendo un dribbling di Rivera, o un formidabile colpo di testa di Gullit. Smoccolando - questo sì, alla sua maniera - contro la politica di oggi, fatta di illusionisti e quaquaraquà. Così simile, nei toni e nei contenuti, agli anni della sua infanzia. Quelli della guerra, e della fame.
Probabilmente più di qualche partita a briscola se la concede, con quello che per lui era l'unico, autentico "Parón": Nereo Rocco, il mitico allenatore triestino, che capeggiò anche il Padova.
Mia figlia più piccola - quand'era piccola davvero - una volta se ne uscì in quest'espressione: “Ma quanto bello è, il riposino di pomeriggio, dopo la scuola? Ti svegli che sembra di essere in paradiso...”
Già.
Come sarà per me, come sarà per te, che mi stai leggendo adesso, l'ora della fine?
Te lo chiedi mai?
Io si, non poche volte.
Chi lo sa.
Chi lo potrà mai sapere.
Quello che vorrei, è fosse come abbandonarsi a un riposino, di quelli a metà estate.
Sapido, pregnante, inconsapevole.
Quasi un training autogeno, insomma.
Magari in spiaggia, quando si fa sera. La prima stella del crepuscolo, sempre più vicina.
Intanto una band di ragazzi o un solitario cantastorie - chi lo sa - fa scivolare nell'aria, salmastra e già impalpabile, note e versi di Lucio Dalla.
Allora mi arrendo, anch'io, a queste vibrazioni.
Adesso le sento.
In me.
Le riconosco, sono quelle che amo.
Che sempre, ho amato.
- buonanotte, anima mia -
https://youtu.be/7hj6yGv7BDM
La generazione che tifava Josè Altafini, Nereo Rocco, Gianni Rivera, Enrico Albertosi.
Napoleone diceva che agli uomini dovevano bastare quattro ore di sonno.
Alle donne, cinque.
Agli imbecilli, sei.
Io invece ero interista. Lo sono sempre stato.
Per quella psicanalitica legge di opposizione che porta il figlio di un padre "troppo" in tutto, a schierarsi sul fronte opposto.
Poi però Napoleone si concedeva - addirittura sul campo di battaglia - delle brevi soste di recupero entro la sua tenda. Degli intervalli, pare di un quarto d'ora. Dei riposini, insomma.
Di fatto era Training Autogeno, anche se non lo sapeva.
Si, mio padre era milanista. Fin da quando ero piccolo.
E mai ho rosicato tanto, come quando venne l'epoca di quella che chiamarono "la squadra degli immortali". Gioco totale, un collettivo dove ogni calciatore si muoveva in una sincronia quasi osmotica entro l'organismo degli undici in campo. Arrigo Sacchi il suo profeta. Ciascuno votato al ruolo offensivo, quanto a quello difensivo. E quei tre colossi olandesi. Tre veri e propri Bronzi di Riace, di casacca colore arancio. Ruud Gullit, Marco Van Basten, Frank Rijkaard. Tre semidei alati. Inarrestabili, imprendibili. Invincibili.
Ma la cosa paradossale era che mio padre, tantopiù si esaltava alle imprese di quella leggendaria squadra - conquiste a nastro tra scudetti, Champions League, coppe intercontinentali - altrettanto produceva un inventario irripetibile di contumelie e improperi, quando sul piccolo schermo vedeva comparire il presidente proprietario. Il "Cavaliere". Che era anche uomo di potere. Economico, e politico.
Training Autogeno. Una procedura largamente usata in psicoterapia. Una tecnica di elezione per il controllo dell'ansia. In uno stato di distensione e rilassamento, di leggera trance, il paziente raggiunge una condizione ideale per rivivere a livello corporeo delle risposte psicofisiologiche tipiche degli stati di quiete. Rilassamento delle fasce muscolari, vasodilatazione periferica, normalizzazione del battito cardiaco. In questa modalità, il tracciato elettroencefalografico corrisponde agli stati di sonno profondo. Insomma, nello spazio di un quarto d'ora si arriva a una vera e propria “ricarica delle batterie”: fisiche, emotive, mentali.
Nelle fasi iniziali dell'allenamento, non è raro si verifichino dei piccoli spasmi, dei movimenti involontari. Vengono chiamate “scariche autogene” e segnalano la discesa nello stato di relax tramite il distacco dalle tensioni fisiche e psicologiche, come di notte quando ci si addormenta.
Quasi delle onde, delle vibrazioni. Come un ritmo, come una musica.
Napoleone Bonaparte.
Ufficiale di artiglieria, generale, Primo Console, quindi Imperatore dei francesi.
Su di lui circolano diversi aneddoti, non del tutto fondati. Ad esempio, non è vero fosse basso. Un metro e sessantotto. Tre centimetri sopra la media dell'epoca, per i maschi. La statura, quest'ultima, del nostro contemporaneo Sarkozy. Quella della bassa statura pare fosse una maldicenza messa in giro dagli inglesi per sminuirne la fama sui campi di battaglia. Le fake news non le ha inventate Facebook, insomma.
Immigrato, questo si. La sua famiglia - italiana - giunse in Corsica, da poco ceduta alla Francia dalla Repubblica di Genova, solo un anno prima della sua nascita. Per questo, come capita agli stranieri, fu deriso, guardato con ostilità e sospetto, odiato da molti, mal sopportato dalla maggioranza.
Egocentrico, malinconico, arrogantello e un po' complessato, non esprimeva opinioni granché positive sul carattere italico. Al vicerè d'Italia una volta disse: “Avete torto a pensare che gli italiani siano come fanciulli: c'è del malanimo in loro, non obbediscono che alla voce del padrone”.
Ambizioso, questo si. L'educazione ricevuta e le azzeccate scelte politiche trasformarono la sua avventura di emigrante in una carriera che lo portò a regnare su mezza Europa.
Nello stesso rito dell'incoronazione volle distinguersi su tutti, sollevando il papa dal gesto rituale (spettava ai pontefici porre la corona sul capo dei futuri regnanti). Bonaparte volle far da sé. Gesto simbolico, quello raccogliere nelle proprie mani il diadema per porselo autonomamente sul capo. Teso a sottolineare l'indipendenza e la supremazia del nuovo regime, anche nei confronti del potere religioso.
Vabbé, che mi metto a fare? A raccontare la storia dei Bonaparte, come non bastasse il trauma dell'esame di maturità?
“Mi parli della politica interna di Napoleone III”
“...”
“Vuole che le ripeta la domanda?”
“No, la domanda l'ho capita, è la risposta, che non so” avrei voluto dire.
Eppure mi pareva d'averla studiata, la faccenda, Che si trattasse del nipote, tramite il fratello Luigi... e poi: black out. Adrenalina e cortisolo a mille, memoria dichiarativa zero.
In compenso, di Napoleone III non mi sarei mai più dimenticato, per il resto dei miei giorni.
E pure di notte torna talvolta a visitarmi, sotto forma di incubo, di esame di maturità.
Riprendiamo, dallo zio. Napoleone nato qui in Ajaccio, l'Imperatore.
Si potrebbero ricordare migliaia di cose, legate al suo carisma. Battaglie, vittorie, sconfitte compresa quella disastrosa nella campagna di Russia: partirono settecentomila soldati e ne tornarono vivi solo centomila.
Ammiro la promulgazione del Codice Napoleonico. Uno dei più celebri Codici Civili. In esso si confermano le principali conquiste della rivoluzione francese come l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e l'abolizione del feudalesimo, oltre a proteggere il diritto di proprietà. Ancora: i diritti della persona e della famiglia concernenti le norme sullo stato civile: il matrimonio, il divorzio, la paternità (con la riduzione dei poteri del pater familias), la parificazione tra figli legittimi maschi e femmine e con l'attribuzione di qualche diritto ai figli naturali, la capacità di agire.
Raccontando di Bonaparte arrivo nella sua città natale, in queste caldissime ferie dell'estate 2019, dedicate alla Corsica. E' sera, ormai. Cerchiamo un posto dove mangiar qualcosa. Scegliamo una piccola trattoria nei pressi del molo. La numerosa clientela convenuta sembra confermare l'impressione di un localino dove vale la pena fermarsi.
Ci sediamo. Scorgo una coppia di anziani, al tavolo a fianco. Lei è in sedia a rotelle, l'espressione sorridente, ma inconfondibilmente persa nel vuoto. Quella tipica degli ostaggi di Alzheimer.
Lui, con infinita pazienza, attende che la moglie insegua con la punta della forchetta, ad una lentezza millimetrica, il contenuto di una cozza.
Solo dopo venti minuti, con un gesto di una struggente tenerezza, la imbocca.
L'aveva aspettata. Senza impazienza. Senza irritazione.
Come dici? Se ho mai goduto di una rivincita - sportivamente parlando - nei confronti di Renzo, mio padre?
Certo che si! E' venuta l'era dei Maicon-Schneider-Milito-Mourinho-Matterazzi. Capitanati dall'indomito Capitan Zanetti. “Il” Capitano. L'équipo del magico “triplete” interista!
Ma di lì a poco, oramai, la lucidità cognitiva e la coscienza di sé avrebbero progressivamente abbandonato la mente di papà. Gli sfottò calcistici, le diatribe del lunedì, non erano più quelle di un tempo. Non potevano più esserlo.
Parallelamente, a quel tempo, anche il Cavaliere aveva perso smalto. E potere, di conseguenza.
Sembrava onnipotente, durante gli anni dei fasti al comando. Ora invece - uno dopo l'altro - anche gli adepti apparentemente più fidati, lo stavano abbandonando. Uno dopo l'altro.
Sic-transit-gloria-mundi.
Napoleone fini i suoi giorni - ironia della sorte - su di un'isola. Dopo l'esilio all'Elba, ancora, un'isola. Sempre più piccola. La sperduta, anonima Sant'Elena. Se la cerchi nell'atlante, fatichi a trovarla. Esplora le coste dell'Africa: all'altezza della Namibia, dell'Angola. Duemila chilometri dalla terraferma, verso ovest.
Napoleone, l'Imperatore, lì finì i suoi giorni. Ai margini del mondo. Ai margini della storia, che aveva contribuito a trasformare.
Sic-transit-gloria-mundi.
Io non so di preciso dove si trovi mio papà adesso, né cosa starà facendo.
E' “andato avanti”, come dicono gli alpini. Se n'è andato sul far del mattino. Oggi sono giusto due anni, da quel 25 luglio.
Quel 25 luglio.
In realtà, Renzo aveva cominciato ad andarsene già qualche tempo prima.
Se ne rendeva conto. Scherzandoci sopra, a volte. Di gran malavoglia, talaltre.
Se noi siamo la nostra memoria, la progressiva inesorabile perdita dei ricordi, l'incapacità di riconoscere - addirittura nel volto delle persone care - le memorie condivise, ciò significa lo smarrimento della nostra stessa identità. Ed è drammatico, quando il gioco dei giorni ti dà modo di accorgertene.
C'era un pianoforte austriaco, vecchio e un po' scordato, al piano terra della struttura di assistenza che si era resa necessaria negli ultimi tempi. Molto di frequente, quando lo andavo a trovare, mi chiedeva di condurre la carrozzina fin giù, a fianco del vecchio piano. E mi diceva; “Suonami una musichetta, che sei bravo”.
Tralascio la descrizione della commozione nel ricordare questo, e cito solo l'abstract di uno studio sulla mente musicale che mi son portato da leggere, tra una nuotata e l'altra in queste ampie baie della Corsica. Tratta dell'ippocampo, una struttura cerebrale situata nel sistema limbico, deputato ai circuiti delle emozioni e della memoria. E' straordinario apprendere come la pratica musicale agisca sulla plasticità di queste parti della nostra mente. Pazienti catatonici, con lesioni degenerative di queste sezioni del cervello, incapaci di memoria a breve, medio e lungo termine, si risvegliano nelle attività di canto corale. Riescono non solo a eseguire canzoni popolari cantate nella loro infanzia, ma anche ad apprendere in poche sedute diversi nuovi brani.
Potere della musica.
Onde sonore che riattivano onde cerebrali.
Vibrazioni terapeutiche.
No, non so cosa starà combinando papà, adesso.
Lo immagino indaffarato a costruire con forbici e cartone qualche aggeggio scherzoso, allo scopo di far giocare e divertire i piccoli angioletti che dalla terra salgono lassù, tutti troppo presto. Al modo che amava, con le nipotine e ciascun bambino che incontrava. Così determinato nel ruolo di imprenditore, così vulnerabile in quello di nonno.
Magari sta rivedendo un dribbling di Rivera, o un formidabile colpo di testa di Gullit. Smoccolando - questo sì, alla sua maniera - contro la politica di oggi, fatta di illusionisti e quaquaraquà. Così simile, nei toni e nei contenuti, agli anni della sua infanzia. Quelli della guerra, e della fame.
Probabilmente più di qualche partita a briscola se la concede, con quello che per lui era l'unico, autentico "Parón": Nereo Rocco, il mitico allenatore triestino, che capeggiò anche il Padova.
Mia figlia più piccola - quand'era piccola davvero - una volta se ne uscì in quest'espressione: “Ma quanto bello è, il riposino di pomeriggio, dopo la scuola? Ti svegli che sembra di essere in paradiso...”
Già.
Come sarà per me, come sarà per te, che mi stai leggendo adesso, l'ora della fine?
Te lo chiedi mai?
Io si, non poche volte.
Chi lo sa.
Chi lo potrà mai sapere.
Quello che vorrei, è fosse come abbandonarsi a un riposino, di quelli a metà estate.
Sapido, pregnante, inconsapevole.
Quasi un training autogeno, insomma.
Magari in spiaggia, quando si fa sera. La prima stella del crepuscolo, sempre più vicina.
Intanto una band di ragazzi o un solitario cantastorie - chi lo sa - fa scivolare nell'aria, salmastra e già impalpabile, note e versi di Lucio Dalla.
Allora mi arrendo, anch'io, a queste vibrazioni.
Adesso le sento.
In me.
Le riconosco, sono quelle che amo.
Che sempre, ho amato.
- buonanotte, anima mia -
https://youtu.be/7hj6yGv7BDM