
Nel mio campo di esperienza professionale, sostanzialmente tre:
- Ansia generalizzata e comportamenti fobici rispetto al timore del contagio;
- Aspetti depressivi legati alle perdite;
- Frustrazione e nervosismo per la limitazione delle libertà individuali e degli spazi di movimento.
In pratica:
- La paura ha un oggetto. è un’emozione primaria, riguarda un elemento identificabile: Il fuoco, le altezze, la velocità, le bestie feroci, ecc… è fondamentale per la nostra difesa e sopravvivenza: se non la provassimo, non riusciremmo a metterci in salvo dai rischi. Qui invece stiamo combattendo un nemico invisibile, che al pari di una truppa di terroristi sa infilarsi nell’incognito e nell’imprevedibilità. Da qui l’ansia generalizzata e il panico. Il rischio di contagio viene generalizzato percependo ogni situazione come rischiosa ed allarmante.
- Le perdite fanno parte della vita. Razionalmente, lo sappiamo tutti. Accettarle sul piano emotivo, invece, è altra cosa. Richiede tempi, riti, evocazione di memorie, narrazioni e ristrutturazioni. Non poter vivere la celebrazione del funerale, ad esempio, quale esperienza corale del lutto, aggiunge dolore alla perdita. Altrettanto drammatica l’impossibilità di una assistenza ospedaliera, di una vicinanza fisica (ed emotiva) come anche una semplice visita, cui le disposizioni legate alla limitazione del contagio costringono;
- Il terzo punto mi invita ad un racconto: la vita delle marmotte. Lo trovo un utilissimo esempio di come possiamo superare questa prova impegnativa e preoccupante. Prendo pari-pari una descrizione etologica offerta da “guidedolomiti”, un bel sito specializzato e divulgativo su questi nostri “Monti Pallidi” che incorniciano il Nord Est d’Italia, Patrimonio Mondiale Unesco.
Le marmotte vivono in gruppo. E lavorano in squadra.
Sono animali che amano prendere il sole, in società: di giorno vanno in cerca di cibo, di luce e calore. Giocano tra di loro, ma rimanendo sempre vicine alla propria tana, in cui rientrano la sera.
Quando sono impaurite, emettono un fischio caratteristico e molto acuto. Servendosi delle zampe e dei lunghi artigli scavano lunghe tane, con diverse stanze collegate da gallerie sotterranee. Le tane estive sono poco profonde e con molte uscite, quelle invernali sono invece costruite più scrupolosamente: praticamente hanno una galleria d’accesso che può essere lunga anche diversi metri e conduce ad una grande camera che viene rifornita di fieno. Possono ibernare in questi rifugi fino a sei mesi.
Il letargo della marmotta.
Si tratta di un animale estremo, in grado di vivere e riprodursi in un ambiente inospitale come può essere a volte l’alta montagna. A fine settembre, si ritrovano nelle loro tane e le preparano per affrontare il lungo periodo invernale. In queste tane possono stare da 3 a 10/15 marmotte. La marmotta va in letargo, a seconda della rigidità del clima, generalmente da ottobre ad aprile. Questo roditore possiede un sonno da record, che le consente di superare il freddo e il nevoso inverno delle alte quote.
Durante il letargo compie un vero e proprio miracolo fisiologico, la sua temperatura corporea scende da 35 a meno di cinque gradi, il cuore rallenta da 130 a 15 battiti al minuto e la respirazione diviene appena percettibile.
In questo periodo lentamente consuma le scorte di grasso corporeo accumulate nella bella stagione e per sei mesi dorme profondamente accanto al resto della sua famiglia. Si sveglia sporadicamente, in genere, solo quando la temperatura all’interno della tana scende sotto i cinque gradi. Sopravvivere all’inverno è comunque molto difficile. È stato evidenziato come la socialità sia un elemento determinante per la sopravvivenza.
Alcuni dati dimostrano che i cuccioli hanno più possibilità di farcela quando vanno in letargo con i genitori e con i fratelli maggiori. Quando invece nella tana mancano il padre e la madre oppure è scomparso un genitore, nel 70% dei casi la prole non supererà i rigori della stagione fredda. Quella della marmotta è, quindi, una termoregolazione sociale: più si è, più possibilità ci sono di sopravvivere, soprattutto per i piccoli, che hanno dimensioni che non permettono loro di accumulare un sufficiente strato di grasso prima dell’arrivo del freddo e, per questo motivo, hanno bisogno di essere scaldati dagli adulti. Questi ultimi presentano una maggiore perdita di peso corporeo quando all’interno della tana ci sono i nuovi nati dell’anno.
Quando si avvicina un predatore, la regola è fuggire. E per farlo in fretta, le marmotte hanno escogitato un sistema efficace: la prima che fiuta il pericolo dà l’allarme e in pochi secondi il gruppo si rifugia nella tana.
La tecnica è semplice. La “sentinella” si alza ritta sulle zampe posteriori, nella posizione a candela, spalanca la bocca ed emette un grido simile a un fischio, provocato dall’espulsione di aria attraverso le corde vocali, che secondo gli studiosi è un vero linguaggio.
Sei mai stato sull’altipiano del Mondeval? È un luogo magico, dal punto di vista naturalistico e ambientale. Un fascino immenso. Puoi salirci da Selva di Cadore o dal rifugio Città di Fiume, versante Pelmo. Oppure da Passo Giau, dirigendoti verso Forcella Ambrizzola, a 2277 metri di altitudine. Ci sono stato l’ultima volta la scorsa primavera, a disgelo inoltrato. Iniziava il risveglio delle marmotte. Ho provato ad immaginare cosa possa significare destarsi da un sonno durato sei mesi. Mettere il naso fuori dalla tana, e lasciare che le narici si impregnino con il profumo umido dell’erba, gli aromi del pino mugo e il frigore cristallino dell’aria rarefatta in quota.
Ho provato a immaginare cosa si possa provare a sortire da una notte così lunga e senza tempo, sollevar pian piano le palpebre e trovarsi d’improvviso travolti e abbacinati dalla bellezza inarrivabile del panorama. Gira lo sguardo da sinistra verso destra e ti compaiono - altissime e solenni avanti a te - le cime delle Tofane, le Cinque Torri, la Marmolada, lì sotto in fondo alla valle Cortina d'Ampezzo, il Sorapis, il Cristallo, la Croda Rossa, il Monte Pelmo e la Civetta.
Ecco, io credo che quando usciremo da questa sorta di incubo che è l’epidemia del Coronavirus e torneremo a riempire le piazze, lungo le strade, dentro le chiese e nelle sagre di paese, le sensazioni potranno in qualche modo esser simili.
A patto che in questo “inverno fuor di stagione” cui siamo consegnati, ci comportiamo bene.
Uniti, compatti, solidali. Tutti per uno, uno per tutti.
Sull’esempio delle marmotte.
Ce la faremo?
- e guardo il mondo da un oblò -