Anch’io ne sono stato diretto testimone. Gli fungevo all’epoca da animatore - oggi si direbbe “educatore” - e mai in vita mia, finché campo, scorderò la scena in cui vidi suo padre rincorrerlo furioso, sopra il tetto della casa.
Scorrevano gli anni di Mazinga Zeta, Ken Shiro, Goldrake.
E Michael Jackson sfondava i piccoli altoparlanti delle radioline a furia di girarci, a tutto volume.
Oh: non ci crederai, ma l’altra sera in pizzeria (prima che scattasse il decreto governativo #IoRestoaCasa) mi ha detto che in questi giorni si sta leggendo i Promessi Sposi!
Poco ci mancava che dallo shock io scivolassi sotto il tavolo.
“I Promessi Sposi, tu?”
“Si, me li ascolto”
“Come, te li ascolti?”
“Dallo stereo dell’auto, in formato audiolibro, andando al lavoro”
“Ahnn…”
Oh, robe da matti! E non solo I Promessi Sposi. Avresti dovuto sentirlo con che passione, e dovizia di particolari, mi andava descrivendo la scena della “Colonna Infame”. Te la ricordi, la vicenda, no? Quella del processo intentato a Milano durante la terribile peste del 1630 contro due presunti untori. Ritenuti responsabili del contagio pestilenziale, tramite misteriose sostanze, in seguito a un'accusa - infondata - da parte di una "donnicciola" del popolo, Caterina Rosa.
"Il sospetto e l'esasperazione, quando non sian frenati dalla ragione e dalla carità, hanno la trista virtù di far prender per colpevoli degli sventurati, sui più vani indizi e sulle più avventate affermazioni".
Così declamava, l’amico in pizzeria, citando alla lettera Manzoni.
E poi un'altra: "La falsa coscienza trova più facilmente pretesti per operare che formole per render conto di quello che ha fatto".
Robe da matti. Robe da matti.
Ci mancava solo il Coronavirus - pensavo - per riportare all’attualità i fenomeni che in psicologia della percezione definiamo come “framing”, “illusioni probabilistiche”, “riluttanza a falsificare” and so on.
Ti cito un esperimento. Un classico, in psicologia sociale. Quello di Kahneman, Slovic e Tversky, pubblicato nelle riviste scientifiche nel 1974.
“Un villaggio sta per essere investito da una rara forma epidemica e le autorità sanitarie prevedono che moriranno 600 persone. Per fronteggiare la calamità allestiscono quattro programmi”:
Programma A: adottando questo programma si salveranno 200 persone.
Programma B: in questo caso c’è 1/3 di probabilità che si salvino 600 persone e 2/3 di probabilità che nessuno si salvi.
Programma C: adottando questo programma moriranno 400 persone.
Programma D: in questo caso c’è 1/3 di probabilità che nessuno muoia e 2/3 di probabilità che muoiano
600 persone.
Come si vede, il programma B è statisticamente equivalente al programma A: infatti 200 persone sono 1/3 di 600.
Anche il programma D è statisticamente equivalente al programma C: infatti 400 persone sono 2/3 di 600.
Notiamo poi che i programmi C e D portano agli stessi risultati dei programmi A e B, solo che in un caso tali risultati sono espressi in termini di sopravvivenza, mentre nell’altro in termini di mortalità.
Dovendo scegliere fra i programmi A e B, voi quale preferireste?
E dovendo scegliere fra C e D?
Chiedendo a un gruppo di soggetti sperimentali di scegliere fra i programmi A e B, Kahneman e collaboratori constatarono che nel 72% dei casi le persone optavano per il programma A.
Chiedendo a un altro gruppo di soggetti di scegliere fra i programmi C e D, nel 78% dei casi le persone optavano per il programma D.
Ciò significa che nel primo caso (programmi A e B, riferiti alla sopravvivenza) i soggetti tendevano a privilegiare, piuttosto che la soluzione probabilistica, quella sicura. Invece nel secondo caso (programmi C e D, riferiti alla mortalità) i soggetti tendevano a privilegiare, piuttosto che la soluzione sicura, quella probabilistica.
Il modo in cui era stato presentato il problema (framing) aveva dunque chiaramente influenzato le opzioni.
E poi la ricerca del capro espiatorio. Te lo ricordi, sempre Manzoni, al capitolo 32?
“Gli animi, sempre più amareggiati dalla presenza de' mali, e irritati dall'insistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza: ché la collera aspira a punire. (...) Le piace più d'attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi”.
E quindi:
“Con una tal persuasione che ci fossero untori, se ne doveva scoprire, quasi infallibilmente: tutti gli occhi stavano all’erta”.
Prendiamo direttamente Facebook una testimonianza contemporanea. Si chiama Paola (nome di fantasia) e lavora in fabbrica. È una di quelle persone che non possono stare a casa, insomma, e scrive:
«Sono stanca. Psicologicamente e fisicamente stanca. Esco dal lavoro e mi fermo al semaforo rosso. Ho giù il finestrino, mi godo il sole. Sento un urlo: “Stai a casa, assassina! Dovete stare a casa sennò ci uccidete tutti!". Mi giro e dalla cascina che costeggia la strada, una tizia alla finestra sta gridando. Proprio rivolta a me». La donna alla finestra l'ha vista fuori casa e la sua reazione è violenta. «Una tizia che non mi conosce, che non sa nulla della mia vita, non sa perché sono fuori casa, si sente in diritto di gridarmi le sue frustrazioni dalla finestra. Non ci siamo mai viste prima ma lei, sicura tra le mura domestiche intenta a salvare il mondo, giudica me, l'assassina fuori casa senza motivo».
Se esci diventi un assassino. In automatico.
Meccanismi antichi. Vecchi come il mondo, o per meglio dire, nati con gli esseri umani. Che siamo noi - te l’eri scordato? – fatti di una pasta la cui farina si chiama emozioni, bisogni primari e un pizzico di razionalità che dovrebbe far da timone nei processi cognitivi e decisionali.
Diciamolo: Internet ci aveva illuso. I “Social”, poi…
Ci eravamo visti godere una sorta di “superpoteri”. Mail, chat, collegamenti istantanei e riscoperta dei compagni di classe dell’infanzia, possibilità di esprimere pareri su politica, scienza, medicina e arti in tempo reale, un pubblico costantemente a tua disposizione… roba da Jeeg Robot, da eroi dei fumetti. Quasi onniscienti, oltre che onnipotenti.
Adesso invece, ai tempi del contagio, ci scopriamo più simili a Lady Oscar. Che, perduto Andrè, il suo innamorato e già debilitata anch’essa nel fisico dalla tisi, cade e muore durante i tumulti della rivoluzione francese.
Presunti untori che vengono denunciati attraverso i post di Facebook; processi decisionali influenzati da emozioni primarie come la paura, la rabbia.
Incapacità in qualcuno di distinguere la differenza tra poter usufruire di una libertà e abusarne. Vale per i runners, e per chi li giudica indiscriminatamente. Come avviene spesso, il rischio è quello che la libertà, se non coniugata alla responsabilità, venga tolta a chiunque. Eppure fare attività fisica è una questione di salute. A livello fisico, mentale, emotivo e immunitario.
Cosa sto dicendo, in conclusione?
Ci aiuta a comprenderlo Stephen Karpman, un analista transazionale americano (sempre pragmatici, questi yankee). Propone uno schema rappresentato da un triangolo, in cui a ogni vertice corrisponde un ruolo.
I tre ruoli sono: Persecutore, Salvatore, Vittima. Lo chiama triangolo drammatico. Secondo l’autore, ognuna di queste posizioni permetterebbe di soddisfare alcuni bisogni del nostro Ego.
- Vittima (schema “povero me!”): la persona che recita questo copione ottiene attenzione, perché sia Persecutore che Salvatore si concentrano su di lei. Inoltre, il ruolo di vittima soddisfa il bisogno di dipendenza e permette di evitare l’assunzione di responsabilità. La vittima non è sempre realmente una vittima, ma agisce come tale. I suoi sentimenti hanno a che fare con il sentirsi oppresso, accusato, senza speranza. Questa persona appare incapace di prendere decisioni, di risolvere problemi e trovare soluzioni.
- Persecutore (schema “è tutta colpa tua!”): il persecutore è controllante, critico, oppressivo e giudicante. Si sente superiore e “bullizza” la vittima. In questo modo evita i propri sentimenti e le proprie paure.
- Salvatore (schema “ti aiuto io!”): il salvatore accorre in aiuto della vittima. Ciò gli permette di mettersi in buona luce e sentirsi moralmente superiore, giusto, ma anche di evitare i propri problemi e sentimenti. Questo personaggio si sente frustrato e in colpa se non riesce a salvare gli altri. Le sue azioni hanno comunque effetti negativi, perché permettono alla Vittima di rimanere dipendente e al Persecutore di continuare ad attaccare.
Viviamo in un mondo che non sarà - non è già più - quello di prima.
Non lo è il lavoro. Non lo è l’economia.
Il pianeta Terra - non dimentichiamolo, al di là e dopo l’epidemia Coronavirus - sta scivolando lungo la rapida dell’autodistruzione. Pensa al riscaldamento globale, alla distruzione delle foreste pluviali, ai cambiamenti climatici.
Che ci serva davvero un Supereroe?
O non sia preferibile, e più conveniente, coltivare la consapevolezza di che “gioco” stiamo mettendo in atto, nel palcoscenico della vita? Da quale ruolo (Persecutore, Vittima, Salvatore) agiamo abitualmente, ed emettiamo i nostri proclami?
Magari prenderci del tempo per riflettere, prima di scrivere nei Social.
Magari evitare la ricerca compulsiva di informazioni. Si chiama “infodemia”: ci porta a ignorare i dati oggettivi e la nostra capacità di giudizio può affievolirsi.
Ridurre la sovraesposizione alle informazioni dei vari tg, web, giornali, che generano ansia su ansia: inutile a una gestione efficace del problema. Le semplici informazioni dalle fonti ufficiali sono sufficienti:
- Ministero della Salute: http://www.salute.gov.it/nuovocoronavirus
- Istituto Superiore di Sanità: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/
Fermarsi, osservare i propri pensieri; dare un nome alle proprie emozioni e stati d’animo.
Provare paura, rabbia, frustrazione è quanto di più umano esista. Specie in periodi come questi.
Evitare, infine, di “leggere nel pensiero” e di giudicare gli altri. Dietro un comportamento sta sempre un “mondo” di motivazioni e una storia esistenziale, perlopiù a noi ignota.
E farsi anche aiutare, no, quando ne abbiamo bisogno?
- si trasforma in un razzo missile -