posto spostando sguardo
SITOMATO
  • BLOG
  • Fotogrammatiche
    • MARI e MONTI
    • CàVARSE FòRA
    • DEEP IN MY EARTH
    • RAIxE
    • Pi GRECO
    • IL CENTRO DEL MONDO
    • DRIO I CANAL
    • IL PRIMO AMORE
    • ACQUA SANTA
    • IL PICCOLO FARISEO
    • PICCIRIDDU
    • L'ABITO NON FA IL PROFUGO
    • PAESI BASSI, CORTESIA IN QUOTA
    • BAYERN, MÜNCHEN. WILLKOMMEN!
    • WIR SIND BERLINER
    • CHEOPE & DINTORNI
    • ALONSO, TE CONSO.
  • Storie
    • TU COME STAI?
    • IL DOLORE DEGLI ALTRI
    • ALTAVIA NUMERO UNO
    • FINCHE’ MORTE CI SEPARI
    • TODO PASA
    • IL CIELO SOTTOSOPRA
    • IL CAPODANNO DEL CRICETO JOE
    • IL FILTRO DELL'OLIO
    • IL RIPOSINO DELL'IMPERATORE
    • ROLLIN' ON THE RIVER
    • CAPITANO MIO CAPITANO
    • JACK LAROCCIA
    • IL MESTIERE PIU' GRANDE
    • HONKY TONK, MY FRIENDS
    • BAO, BAO, PINO.
    • ERBA DI CASA MIA
    • TUTTI INNOCENTI, O QUASI
    • I RAGAZZI CON LA BICICLETTA
    • I HAVE A DREAM - L'AUTOEFFICACIA DEL GRAFOLOGO
    • E' TUTTA UNA QUESTIONE DI EQUILIBRIO
    • NON TIRATE LE MARCE
    • CAMPIONI DEL MONDO
    • IL BUONO, IL BRUTTO e IL CATTIVISTA
  • Persone
    • Volti
    • Giorgio
    • Flavio
    • Mariangela
  • Shots
  • RHYMES

April 24th, 2020

24/4/2020

0 Comments

 
Foto
Brutta storia, quelle delle botte in testa.
Le lesioni cerebrali, poi.
 
Eppure – piaccia o no – è “grazie” a questi handicap e traumi, se siamo riusciti a localizzare alcune funzioni della nostra mente. I modi cioè in cui impariamo, ricordiamo, proviamo determinate emozioni.
 
Siamo agli inizi del Novecento. Edouard Claparede ha una paziente che ha perso ogni capacità di creare nuovi ricordi. Chissà, forse in seguito a una scombinata caduta durante qualche passo di Charleston (quanto mi prende questo ballo ritmato, erede del ragtime: one-two-three… five-six-seven-eight). Bah, la storia non lo dice, se sia stata questa proprio, la causa.
 
Anyway, ogni volta in cui il medico entrava nella sua stanza, anche se l’aveva lasciata pochi minuti prima, doveva presentarsi di nuovo perché la signora non ricordava di averlo mai visto. Sconcertante, direte. Ebbene, si. Sconcertante. Guarda quanto poco basta per trasformare una persona, distruggere un’identità. Un’emorragia cerebrale, un incidente stradale, un dannato virus, o più semplicemente l’avanzare impietoso dell’età.
 
Edouard era uno scienziato curioso, prima che un clinico, tanto da ideare questo test: un giorno tese la mano alla paziente, nascondendo però una puntina nel palmo della propria mano. Ovviamente la signora, dopo la stretta, ritrasse subito la sua, di mano, a causa del dolore. Quando Claparede entrò nella stanza la volta successiva, la degente continuò a non riconoscerlo, ma rifiutò di stringergli la mano, anche se non sapeva spiegare il perché.
 
Caspita, una scoperta fondamentale. Il nostro cervello è fatto “a strati”, pensieri – emozioni – ricordi e riflessi seguono quindi circuiti differenti, sebbene normalmente risultino integrati.
Oggi sappiamo che il deficit di quella signora riguardava un danno ippocampale. L’ippocampo è una piccola struttura negli strati più interni della massa cerebrale, simile nella forma a un cavalluccio marino; da qui il nome. Questa della paziente di Claparede è stata forse la prima dimostrazione del fenomeno della memoria emotiva implicita. Che significa, “implicita”? Che è registrata nelle sensazioni, non nelle parole, nei concetti verbali.
 
La questione ancor più notevole è il fatto che a volte non è un incidente fisico a provocare fenomeni di questo tipo, bensì un trauma esistenziale. Per esempio nel Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD): il caso più noto degli effetti patologici di memorie registrate in modo implicito. Cioè immagini, ricordi, eventi solitamente non richiamabili alla coscienza, tuttavia in grado di attivarsi inconsciamente in seguito a un trauma, uno shock, come una cascata improvvisa e dirompente, e di condizionare in modo profondo la percezione, il comportamento e l’affettività di una persona.
 
Mi dirai che questo sconvolgimento nella vita di tutti causato dall’epidemia SARS-CoV-2, la quantità di decessi, la quarantena forzata, così come un terremoto, un attentato, eventi traumatici lo sono. Cui segue un distress emotivo, psicobiologico. Si, è così.
 
Come lo è stato (e con che proporzioni: molto maggiori) il secondo conflitto mondiale, causato dalla delirante follia nazifascista.  Ne ricordiamo giusto oggi, in questi giorni, la Liberazione.
 
Come ne usciamo, come si guarisce, da questi eventi traumatici?
La prima risposta che la nostra mente fornisce, in automatico, si chiama “dissociazione”. E’ un riflesso primordiale, una sorta di “salvavita” che scatta da sè, come quando va via la corrente di casa perché un filo spellato ha “fatto contatto”, o troppi elettrodomestici li hai attivati tutti assieme. Il circuito “non ce la fa”. Si spegne. Salta l’interruttore. Si blocca tutto.
Non è questa, tuttavia, la strada giusta, non è questa la via della guarigione.
 
Un autore moderno, Daniel Hill, li chiama “Stati del Sé”. Avviene che il sistema della memoria, della percezione, dell’attenzione, della capacità di riflessione e giudizio, in seguito ai traumi emotivi vadano in “tilt”. Come la paziente di Claparede, che ritraeva la mano per paura del dolore, senza saperne più il motivo.
 
Mac Lean, un altro neuroscienziato, ci ha mostrato all’inizio dei ’60 del secolo scorso - giusto mentre i Beatles componevano “Love Me Do” - come nella scatola cranica noi umani ci portiamo a spasso ogni giorno non uno, ma tre cervelli. Il primo è quello “rettile” (midollo spinale, tronco encefalico, talamo, nuclei ipotalamici e ipofisari) deputato ai riflessi e agli istinti primari (fame, sete, sonno, istinto sessuale); il secondo cervello è quello “mammifero” (sistema limbico, in sostanza) un “computer” nel quale girano principalmente i “software” delle emozioni, come rabbia, paura, comportamento di autoconservazione; infine la neocorteccia o “terzo cervello” che si occupa dei processi superiori come la riflessione, il ragionamento logico, il pensiero astratto del sapere, le invenzioni, la fantasia.
 
Li leggi, i post su Facebook di gente oramai esasperata da problemi economici, angustie familiari (non se ne può più di stare reclusi in casa che si finisce a litigare per una mosca), paure per come sarà il futuro? Sono sfoghi, grida di angoscia che si fa protesta, spesso indirizzata a caos, verso tutto e verso tutti. Indistintamente. Senza discernimento. Capacità critica, di riflessione e giudizio.
E’ il distress. La reazione al trauma.
 
Come se ne esce?
Beh, la maniera buona esiste. Passa attraverso il recupero del senso di sicurezza, di integrità.
A livello terapeutico, si tratta di far dialogare l’emisfero destro, quello delle emozioni, con il sinistro, sede dei processi razionali e astrattivi. Si tratta di seguire fino in fondo il sentiero delle emozioni, che sono gli indicatori infallibili dei bisogni.
Un bisogno soddisfatto, dà gioia.
Un bisogno frustrato, rabbia e irritazione.
Un bisogno perduto, irrimediabilmente: tristezza, depressione.
Il bisogno primordiale, di sopravvivenza: te lo segnala la paura.
E di bisogni ne abbiamo, tutti, a vari livelli: bisogni fisici, emotivi, intellettivi… spirituali, pur non essendone sempre consapevoli.
 
Che significa recuperare un senso di sicurezza e di integrità nella vita concreta, quella della quotidianità?
Vuol dire guadagnare una prospettiva nella quale le capacità di gestire sé stessi (regolazione emotiva) si sposa con una migliorata resilienza. Vale a dire che uno è disposto a far fatica, a superare i momenti critici, se davanti ha una prospettiva di risultato, cioè se ci vede una “via d’uscita”.
Vuol dire far conto sempre più su sé stessi, piuttosto che alimentare aspettative sui comportamenti altrui. Per poi rimanerne delusi, frustrati, quando (spesso) non si realizzano.
 
Vuol dire coltivare “legami sicuri”: quelli che ti aiutano anche a rinunciare a un tornaconto immediato, se serve, in nome di un traguardo futuro. Pensa a quanto ci sta chiedendo il pianeta Terra, ad esempio. Lo stiamo soffocando - e noi con esso - inseguendo l’idolatria del profitto a tutti i costi. Degli egoismi nazionalistici. Del “vengo prima io!”.
 
Vuol dire gettare il cuore oltre l’ostacolo. Al punto da non considerare nemmeno la propria vita fisica il valore supremo, quando è in gioco quella dei tuoi figli, di una comunità, di una società.
 
Come settantacinque anni fa. Giusti-giusti. Era un venticinque di aprile.
E il “trauma” da cui i nostri nonni e genitori uscivano, era ben peggio del Coronavirus.
 
O Bella, ciao.
Che Liberazione!
 

           - questo amore è una camera a gas -

0 Comments

E SE PER CASO?

16/4/2020

0 Comments

 
Foto
La domanda, adesso, è solo una: quando finirà?
Lo stato di emergenza da Coronavirus, voglio dire.
Quando ne verremo fuori, da questa situazione in cui ci siamo improvvisamente scoperti così vulnerabili, tutti-allo-stesso-modo?
 
Qualcuno ce lo sta ricordando, che l’uscita non sarà così rapida.
Prendo pari-pari da un’analisi di Antonino Michienzi, che leggo in rete e trovo molto chiara, efficace. Messo così, sinteticamente per punti, il concetto risulta chiaro:
 
1. se #stiamoacasa il virus non muore. Non basta. Stare a casa e azzerare i contatti sociali serviva a contenere l’epidemia, non a spegnerla. Molti hanno riposto una fiducia fideistica in questa misura, invocando uno stato di polizia, interpretando la chiusura quasi come un sacrificio attraverso cui redimersi e quanto più grande la sofferenza tanto maggiore l’efficacia e così via. Purtroppo, non è così;

2. possiamo spegnere tutti i casi in Italia ma finché ce ne saranno altri in giro per il mondo, il virus SARS-CoV-2 non ce lo saremo levato dai piedi. Il mondo in cui viviamo è uno solo: siamo tutti nello stesso acquario. L’idea di rimanere chiusi dal resto del mondo è teoricamente possibile. Ma l’idea di rinunciare a qualunque tipo di viaggio all’estero (per lavoro, mica solo per turismo) o viceversa di bloccare ogni tipo di ingresso – a tempo indeterminato – è difficilmente praticabile. Il fatto poi che in moltissimi casi la malattia scatenata da questo virus presenti pochissimi sintomi, significa che tutti noi potremmo esserne affetti senza accorgercene. E quanto più ci allontaneremo dall’emergenza tanto più tenderemo a dare poca importanza a sintomi lievi. Quindi, anche quando il Ministero della Salute ci dicesse che non ci sono più casi in Italia, è quasi certo che il virus sta ancora passeggiando con noi e tra di noi e che da un momento all’altro emergerà in qualche persona che presenterà sintomi gravi;

3. grosso modo - prosegue Michienzi - ogni epidemia è come un incendio: finché ci sono alberi da bruciare il fuoco si propaga passando da un albero all’altro. Noi siamo gli alberi che il fuoco (il virus) usa per propagarsi. L’unico modo per impedire al fuoco di propagarsi è sottrargli gli alberi o renderli ignifughi. A sottrarli ci abbiamo provato con lo #stiamoacasa. Per renderli ignifughi (cioè immuni all’infezione) ci sono due opzioni: il vaccino o l’immunità sviluppata come conseguenza della malattia. Ora, il vaccino non lo abbiamo (e non siamo ancora in grado di prevedere in che tempi diverrà disponibile) mentre sull’immunità naturale non sappiamo se si sviluppa e quanto duri (1 mese? 1 anno? Una vita?). Se anche si sviluppasse e fosse duratura, però, il fatto che da un mese siamo chiusi in casa ha fatto sì che una porzione enorme della popolazione non sia entrata in contatto con il virus e che quindi sia ancora suscettibile all’infezione. Insomma, ci sono milioni di alberi secchi pronti a prendere fuoco non appena entrassero in contatto con una scintilla.

Queste sono grosso modo le ragioni per cui #stiamoacasa è necessario, ma non sufficiente a superare l’emergenza.
 
E allora?
Come risolvere l’equazione “paura del contagio/necessità di ricominciare a vivere”?
La nostra mente è capace di ragionamenti piuttosto contorti, quando andiamo in ansia.
Cerchiamo soluzioni complicate quando basterebbero atteggiamenti più semplici, elementari.
Talvolta, costruiamo inutilmente delle vere e proprie fobie.
 
Ti racconto la storia di Mario. Mario Littlewood.
La sua famiglia vive in America, oramai più di due generazioni. Antiche radici di pescatori nati a Sottomarina, tant’è che l’originario “Boscolo” si vide trasformato, appunto, nel più consono “Littlewood”, una volta integratisi a tutti gli effetti, e con successo, nel Nuovo Mondo. E nella sua economia.
 
Mario gestiva una fiorente attività di commercio all’ingrosso del pescato, nella mitica San Francisco Bay.
Ma la sua passione era un’altra. Lo era sempre stata, tanto da considerarla una vocazione, quasi.
Mario era appassionato d’arte. Specie del Rinascimento Italiano. Firenze, gli Uffizi, il suo sogno proibito.
Perché proibito, mi dirai? C’era un problema. Un grosso, problema. Ma grosso davvero.
 
Mario “Boscolo” Littlewood soffriva di attacchi di panico. Un disturbo di grado invalidante, con dei veri e tratti fobici nei confronti del volo in aereo. Vabbè, che c’entra con l’arte, mi stai obiettando.
Pischello che non sei altro, secondo te un miliardario italo-americano, self-made man, gli Uffizi si accontenta di guardarli su Youtube? Credi non desideri sopra ogni cosa riuscire a infilarsi una buona volta in quel dannatissimo aereoplano, vincere la paura di morire, di precipitare, scovando il coraggio per il viaggio di ritorno verso la terra dei suoi avi, e correre dritto al corridoio vasariano, a Palazzo Vecchio, ai Boboli?
 
Era una vera e propria nevrosi fobica, quella di Mario. Sviluppatasi e ingigantitasi dopo gli attentati dell’undici settembre 2001, l’attentato alle torri gemelle con quei due jet che, uno dopo l’altro, si erano infilati dentro i grattacieli, provocando l’ecatombe.
Più precisamente, l’ossessione che lo inchiodava era che nell’aereo qualcuno potesse piazzarci una bomba. Da far esplodere in volo.
 
Te l’ho detto, era anche uno che coi soldi, l’economia, i numeri ci sapeva fare, Mario. I calcoli, li maneggiava molto bene. Perciò si mise a telefonare, una ad una, a tutte le compagnie aeree degli Stati Uniti che gestivano i voli verso l’Italia. E poi quelle europee, e poi quelle arabe, e di tutto il mondo. Era diventato un vero e proprio incubo, per le centraliniste. Voleva conoscere, con precisione chirurgica, il numero di incidenti subiti da ciascuna compagnia aerea a causa di un’esplosione avvenuta a bordo.
Perlopiù, lo mandavano a quel paese.
 
Finché ebbe la fortuna di incontrare un agente di viaggio – come lui – appassionato di calcolo delle probabilità. Un agente di viaggio – come lui – probabilmente affetto da qualche forma di disturbo ossessivo compulsivo. L’operatore stavolta gli rispose prontamente: “Una probabilità su centomila”.
Mario ci pensò su un attimo, e poi chiese: “Scusi, e due, di bombe? Quante probabilità ho di trovare due bombe contemporaneamente, sullo stesso aereo?”.
L’agente, per nulla intimorito, gli rispose: “Mi lasci mezz’ora di tempo che devo impostare un calcolo esponenziale. Mi richiami tra mezz’ora esatta”.
Mario richiama, dopo trenta minuti spaccati.
“Ecco il risultato: si tratta di una probabilità su 100.000.000. Una probabilità su cento milioni, che lei possa trovare due bombe sullo stesso aereo”.
“Perfetto, prenoto subito il volo per Venezia, aeroporto Marco Polo!” fa Mario, entusiasta.
 
Te la faccio breve: sai com’è finita?
Mario Boscolo venne arrestato all’imbarco di San Francisco, al check-in della TWA. Aveva una bomba in borsa.
Una bomba? L’oggetto che così tanto temeva?
Si, una bomba. Sosteneva, con la massima convinzione, che così agiva per il bene di tutti.
Perché? Semplice, dal suo punto di vista: riduceva di gran lunga l’ipotesi di trovare un'altra bomba sull’aereo.
 
E’ un aneddoto che Giorgio Nardone, specialista e maestro in Terapia Strategica, ha inserito in uno dei suoi libri. Illustra bene come molto spesso noi costruiamo la realtà sulla base della nostra immaginazione, più che sui dati di fatto, specie quando l’impresario si chiama: paura.
 
Mi stai dicendo che anche quando avremo disponibile (speriamo presto, prima possibile) un vaccino, ci sarà qualcuno che si sottrarrà all’obbligo, “per paura” dei possibili effetti collaterali?
 
Come darti torto. Avviene già oggi, nei confronti di epidemie ancor più pericolose, come il morbillo, non lo vedi? E’ il ragionamento di Mario “Boscolo” Littlewood: piuttosto di correre un possibile rischio, seppur ultra-remoto, mi assicuro una certezza. Che poi sia una certezza “di Pirro”, cioè legata al controllo, più che al risultato, questo è ciò che la mente va a produrre, quando la nebbia dell’ansia sale e oscura gli irti colli della ragionevolezza.
 
In conclusione, ciò che voglio dirti è questo: la fiducia si basa sul rischio. E’ inevitabile: la vita comporta infinite tonalità di colore, e transizioni d’intensità. La vita non è solo bianco/nero. O al massimo sfumature di grigio. Il controllo su ogni cosa ci è umanamente interdetto: si tratta di mera illusione. Il risultato, quando non accettiamo questa inesorabile legge del vivere, sono le storie alla Mario Boscolo, o le fobie paranoidi alla “no vax”.
 
E l’altra è questa: a volte una paura viene sconfitta in un solo modo, paradossale: da un’altra paura, basta sia più grossa.
E’ probabile arriveremo a condizioni socio-economiche, per una notevole percentuale della popolazione, simili ai periodi post-bellici. Dove i bisogni primari (cibo, vestiti, abitazione, reddito) si imporranno su tutto il resto. Hai visto la corsa “all’arme” (l’impennata nella vendita di pistole e fucili) in una nazione “disperata” come gli USA? Disperata perché manco il servizio sanitario nazionale, per il quale tanto si era battuto e speso l’ex presidente Barack Obama, viene assicurato? Si assiste al ritorno allo stato selvaggio, primordiale. In situazione di minaccia alla sopravvivenza, la regola che si impone è “mors tua, vita mea”.
 
Quindi: agli scienziati, fornire soluzioni cliniche.
 
Ai governanti, indicazioni chiare e coraggiose.
Oh: basterebbe anche solo non ci sciacallassero ancora, sul redditizio (per loro, a livello elettorale) tema della paura. Adesso che gli immigrati sono retrocessi inesorabilmente in secondo piano, anzi sono quelli che ci aiutano e soccorrono in modo così prezioso (vedi Inghilterra post-Brexit, e non solo): medici, infermieri, operatori, corrieri, assistenti, operai…
 
Ai genitori e agli educatori, la capacità di “prendersi cura”. Che vuol dire informare correttamente, e sostenere, e rassicurare, e accompagnare, e portare – tanta – pazienza, non di rado. Considerando che anche i genitori e gli educatori sono in primis degli esseri umani. Fatti anch’essi (anche noi, cioè) di emozioni, sentimenti, desideri e paure. Vulnerabili, quindi. In condizioni estreme, “Più che 'l dolor, poté 'l digiuno”: te la ricordi, quella?
Coraggio, quindi, e avanti tutta. Bomba o non bomba, come cantavano due giovanissimi Antonello Venditti e Francesco De Gregori, sul finire degli anni ’70.
 

       - ma il coccodrillo, come fa? –

0 Comments

BONTEMPO

29/3/2020

0 Comments

 
Foto
“Questa xe a storia del Sior Intento,
che dura poco tempo,
che mai no se destrìga:
vùto che tea conta, o vùto che tea diga?”

“Che tea diga!”

“Bene, allora: questa xe a storia del Sior Intento,
che dura poco tempo,
che mai no se destrìga:
vùto che tea conta, o vùto che tea diga?”

“Che tea conta!”

Cercavo di cavarmela così, quando ogni sera le mie figlie, da piccole, mi chiedevano di raccontar loro una storia, prima di addormentarsi.

“Uffa! Ma che storia è, sempre questa?”...

Lo ammetto. Mica che funzionasse granché.
Ero rapidamente costretto a virare su Esopo (qui andavo sul sicuro: quella del “Fanfarone” era in cima alla Top Ten), sul Gabbiano Jonathan Livingston (nella variante locale aveva preso dimora sopra il campanile di Sant'Angelo di Piove, invidiato dall'amico Fletcher, il chioggiotto) o su Righetta la Chiocciolina Vagabonda (questa totalmente autografa).

La storia del Sior Intento.
Dicono questo “tempo sospeso” di isolamento e interruzione di ogni attività dovuto alla drammatica mondiale pandemia da Covid-19 potrebbe insegnarci qualcosa.
Di sicuro, il prezzo in termini di vite umane rimarrà irrisarcibile, non rimborsabile.
Piuttosto oscure le previsioni anche rispetto al mondo del lavoro. All'occupazione, alla sorte di molte aziende e dei loro dipendenti; agli artigiani, i commercianti, le società di servizi.

Se c'è una cosa di cui ora siamo talmente ricchi da poterci considerare dei veri e propri capitalisti, è il tempo.
“Che mai no se destriga”.

Esattamente quel bene che fino a ieri pareva la merce più rara. Quel correre affannoso, che mai non ci bastava, che ogni attività, incombenza, responsabilità, financo quella cosa piacevole, quello spazio libero, tuttavia... “che dura poco tempo”.

Vùto che tea conta,
o vùto che tea diga?

Bah, se ne usciremo migliori, o peggiori lo lascio prevedere ai vari opinionisti, con relativi commentatori, in auge sul web e nelle televisioni.
Ciò che io riscontro, dalla mia postazione di ascolto psicologico, è parecchia frustrazione. Che in qualcuno sfocia in irritabilità, diminuita capacità di tolleranza, a volte aggressività reattiva. Fino ai correlati di somatizzazione clinica: attivazione del sistema neurovegetativo in termini di ipertensione, sindromi ansiose, screzi depressivi dell'umore.
In altri, al contrario, questa situazione elicita i lati migliori del carattere. Probabilmente perché sono già pre-disposti a questo esito, mi dirai. E non hai tutto i torti.
Guarda ai volontari della Protezione Civile. Guarda alla solidarietà diffusa, anche anonima, sotto traccia, di chi si prende cura di qualche vicino di casa anziano, o disabile, o per mille motivi in difficoltà. Ovviamente guarda ai medici, a tutto il personale sanitario, dagli assistenti agli operatori, agli addetti alle pulizie. Alle cassiere dei supermercati. A chi non può – e non vuole – esimersi dal contatto con il pubblico. Che a volte sbraita, insulta, spinge. Altre, cerca semplicemente un contatto umano. Uno sguardo. Una parola, per rassicurazione.

Il passaggio cruciale sta proprio qua.
Lo vogliamo chiamare discernimento?

Vogliamo lasciar cadere - in primo luogo dentro noi stessi - la tendenza a reagire alla frustrazione con l'aggressività, sia pur solo verbale?
Vogliamo non “entrare in simmetria” con l'impazienza, lo sguardo paranoide che vede nell'altro un possibile untore, trasgressore, minaccia alla tua sopravvivenza?
Ce la faremo, a non cadere vittime di quel terribile contagio cognitivo, che tutti ci riguarda, per cui il “male” ha una visibilità percettiva sempre sproporzionatamente maggiore del “bene”?
L'albero che cade disastrosamente, la foresta che cresce silenziosa...

Discernimento.
Magari mettiamolo a braccetto con la pazienza, va'.
Una delle virtù più formidabili.

Undici febbraio 1990. Un uomo viene scarcerato dopo 27 anni di dura detenzione.
Un criminale? Un omicida?
No, un uomo che nella sua terra si era battuto per i diritti civili. Per la libertà, per l'uguaglianza.
Contro le discriminazioni. Contro quella forma di ansia difensiva, quel meccanismo nevrotico inibitore del pensiero e dell'intelligenza che a livello civile prende forma sotto questo nome: apartheid.
Ventisette anni di carcere. Di isolamento. Di sottrazione di quel bene cui aveva consacrato l'esistenza.

Il suo nome?
Nelson Mandela.
Divenuto libero cittadino e Presidente dell'African National Congress, Mandela concorse contro De Klerk per la nuova carica di presidente del Sudafrica. Le elezioni le vinse, diventando il primo capo di stato di colore. De Klerk fu nominato vice presidente. Rimase in carica dal 1994 al 1999, guidando con politiche basate sul rispetto, la non-violenza, la riconciliazione civile e nazionale la transizione dal vecchio regime basato sull'apartheid alla democrazia.
Istituì un tribunale speciale, la cosiddetta Commissione per la Verità e la Riconciliazione. Ne trovi il racconto anche il bellissimi film, come “In My Country” del 2004 e l'epico “Invictus” del 2009, del grande Clint Eastwood.

Emblematica la poesia, un testo scritto a fine '800 da William Ernest Henley, che si ripeteva mentalmente, giorno dopo giorno, dentro quella cella. Ad alleviare gli stenti della carcerazione, l'ingiuria della segregazione dovuta al colore della propria pelle, il pensiero dell'ingiustizia, della sopraffazione.
Quel tempo infinito e indeterminato, che - c'è da immaginarlo - pareva non passare mai.

“Dal profondo della notte che mi avvolge,
Nera come un pozzo che va da un polo all'altro,
Ringrazio gli dei qualunque essi siano
Per la mia indomabile anima.

Nella stretta morsa delle avversità
Non mi sono tirato indietro né ho gridato.
Sotto i colpi d'ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo di collera e lacrime
Incombe solo l'orrore delle ombre.
Eppure la minaccia degli anni
Mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima”.


          - dimmi quando tu verrai -

0 Comments

IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE

26/3/2020

0 Comments

 
Foto
Sembra assolutamente paradossale, ma funziona davvero: se vuoi sbarazzarti di uno stato ansioso, sforzati di provocarlo. Apposta.
È una delle tecniche più stimolanti (e divertenti) che ho imparato, negli anni di formazione. Si deve a Giorgio Nardone e Paul Watzlawick. L’hanno formulata, validata  e perfezionata in più di trent’anni di pratica clinica.
Si chiama “prescrizione del sintomo”.
 
Te lo ricordi, José Mourinho? Piaccia o no, durante gli anni in cui ha allenato in Italia è stato maestro indiscusso nell’arte di conquistare il successo creandosi un nemico. Apposta.
The “Number One” nell’arte dell’opposizione.  Un fenomeno di antipatia, e carisma: inventati ad hoc dei nemici, e ciò moltiplicherà gli anticorpi immunitari all’interno della tua squadra, nei tuoi uomini. Più li farai sentire assaliti, perseguitati, più diverranno capaci di polverizzare qualunque avversario.
Serrare le fila viene in automatico, quando ti senti aggredito.
 
Si, vabbè. Mi dirai che anche in politica, degli imitatori più o meno riusciti… ne abbiamo.
Come darti torto?
Cambia semplicemente il nome. Quando al posto del campionato di calcio in gioco ci sono la vita delle persone, degli esseri umani in fuga da carestia, guerre e persecuzioni, o la sofferenza dei bambini, si chiama banalmente “sciacallaggio”.
 
E Jean Paul Sartre?
“Ci sono voluti i nazisti per farci apprezzare il valore della libertà”.
Citazione che riprendeva l’altro giorno anche Massimo Recalcati in un articolo su Repubblica, analizzando gli effetti che le forzate limitazioni imposte dall’epidemia Covid-19  possono produrre in termini educativi e di consapevolezza.
 
Archimede di Siracusa, vissuto nel terzo secolo avanti Cristo, è stato indubbiamente uno dei più grandi matematici e fisici della storia. Non solo un teorico: a lui si devono alcune invenzioni tra le più geniali in ambito scientifico e ingegneristico. Dai, le abbiamo studiate alle scuole medie: il principio delle leve, che ci ha fornito la possibilità di costruire macchine capaci di spostare grandi pesi con piccole forze, da cui la frase anedottica: “Datemi un punto d'appoggio, e vi solleverò la Terra”.

Per non parlare del divertentissimo stratagemma degli “specchi ustori” (quanto mi faceva ridere!) tramite i quali pare abbia difeso le coste di Siracusa dagli assalti dei romani durante la seconda guerra punica. Sfruttando le leggi della riflessione parabolica, concentrava i raggi solari sulle navi del nemico. Dieci, venti, cinquanta specchi di bronzo o rame, lucidati e concavi, puntati in modo da focalizzare sul legno delle imbarcazioni assalitrici l’energia radiante. Oh: prendevano fuoco in pochi minuti!
 
Ma la cosa che ricordo ancor oggi con maggior interesse è il celebre “Principio di Archimede” che così recita: “Ogni corpo immerso in un fluido (liquido o gas) riceve una spinta verticale dal basso verso l'alto, uguale per intensità al peso del fluido spostato”.
Te lo dico apertamente: dopo più di trent’anni di esperienza professionale, mi sono accorto che vale tanto nella psicologia delle relazioni, quanto in fisica.
 
Cosa voglio dire?
Ascolta: hai mai provato a predicare a un adolescente svogliato l’importanza di studiare?
O sciorinare a quel tuo amico, accanito fumatore, che deve smettere?
E al tuo/a partner, dimmi che non ti sei mai trovato a elencare  la serie di cose che NON deve fare. Che DEVE capire. Che tu al suo posto mai e poi mai ti comporteresti in quel modo…
Fallimento totale. Sull’intero fronte.
Riesci a smentirmi?
Spesso, ottieni la reazione opposta. Uguale e contraria.
Come il Principio di Archimede, appunto.
 
Ne stiamo riscoprendo di cose, in questa quarantena forzata da Coronavirus.
 
Tipo cosa significhi vivere h24 - senza poter uscire - in un appartamento di 70 metri quadri con tre figli piccoli. Compiti, capricci, lagne, bisogni, noia, richieste insistenti e insoddisfacibili:
“Voglio uscire!”
“Non si può!”
“Perché tu si e io no?”
“Perché no!”
“Uéh...”
 
Ricerche condotte in Cina e in Canada (pubblicati online il 26 febbraio scorso dalla prestigiosissima rivista scientifica Lancet, mica Novella 2000) mostrano come 4 settimane di quarantena dovute alla SARS nel 2003 siano bastate a generare nel 28% dei genitori sintomi da stress post-traumatico.  In psicologia clinica lo si definisce PTSD: è quello, per fare un esempio, sperimentato dai molti militari al ritorno dal fronte. Lo stesso studio ci dice che 3 anni dopo la fine della quarantena, il 10% dei soggetti sottoposti al provvedimento dimostravano sintomi di depressione acuta, legata al trauma non curato del periodo di isolamento.
 
Abbiamo scoperto - ma ormai lo si scrive in tutte le salse - che strapaghiamo e “santifichiamo”, adorandoli nelle liturgie non solo domenicali, i calciatori, e adesso comprendiamo quanto aver tagliato le risorse alla sanità pubblica sia stata una politica idiota e autolesionista. I medesimi studi sopra citati evidenziano come il 34% del personale medico e infermieristico sviluppa stress post traumatico dovuto al mix fra isolamento forzato e l’eccesso di lavoro a cui era sottoposto prima di essere contagiato.
 
Abbiamo scoperto la possibilità di veder uscire nostro padre, nostro zio, nostra nonna in ambulanza e già sapere che non li rivedrai mai più tornare a casa. Che neanche un funerale ti verrà concesso. E allora ti assalgono i rimorsi. Per quelle volte che non avevi tempo, non avevi voglia, per la pazienza che ti facevano perdere…
 
Abbiamo scoperto che i casi di abuso infantile e violenza sull’infanzia aumentano considerevolmente durante i periodi di sospensione forzata della frequenza scolastica (The Lancet, ieri 25 marzo 2020).
 
Poi, la paura per il futuro. Per le conseguenze economiche, e relazionali. Una signora l’altro giorno mi confidava: “Sa, un mio amico l’altro giorno mi ha detto: lascia che ti saluti adesso, perché se ce la caveremo, con che coraggio torneremo ad abbracciarci ancora?”
 
Come ne usciamo, da questo sortilegio?
Proviamo a chiederlo a Lacan, lo psicanalista eretico. Ci soccorre, anche lui, con un paradosso: "Amare è dare ciò che non si ha".
Si, hai letto giusto: “ciò che NON si ha”.
 
Bah, che stramberia, mi dirai. Queste cose possono far contento solo Lao-Tsu, quel filosofo del sesto secolo avanti Cristo, il quale sosteneva che il vuoto era importantissimo. Più del pieno, addirittura. Portava l’esempio del vaso: che te ne fai, di un vaso il cui artigiano avesse modellato riempiendo di argilla anche il suo interno?

"Amare è dare ciò che non si ha".
Eh, che poi se ti metti a dare ciò che hai-pensi-sai, capita pure che all’altro non interessi, o non sia ciò di cui ha effettivamente bisogno. E quindi lo respinge, inevitabilmente, in base al principio di Archimede.
 
“Amare è dare ciò che non si ha”.
Pensaci bene, dimmi se non è vero. Cosa chiedi, alla persona che ami, dopo un lungo periodo di separazione (viaggio, malattia, quarantena…)? Dopo che il destino, il lavoro, la necessità vi ha tenuto distanti? Non chiedi forse: “Ti sono mancato?” “Ti sono mancata?”
 
E cosa vuoi sentirti dire se non: “Si, mi sei mancato. Tanto, tantissimo. Da morire”.
 
Non è esattamente questo, “Ciò che non si ha”?
La mancanza svela quale sia, il dono più importante.
Il vuoto, l’assenza, rivelano il valore supremo delle cose. E delle persone.
 
Chissà se ce ne ricorderemo, quando i giorni ritorneranno “pieni”.
 

       - Il cielo in una stanza -

0 Comments

DAGLI ALL'UNTORE!

19/3/2020

0 Comments

 
Foto
Che a quell’età non avesse gran voglia di studiare, lo sapevamo tutti.
Anch’io ne sono stato diretto testimone. Gli fungevo all’epoca da animatore - oggi si direbbe “educatore” - e mai in vita mia, finché campo, scorderò la scena in cui vidi suo padre rincorrerlo furioso, sopra il tetto della casa.
 
Scorrevano gli anni di Mazinga Zeta, Ken Shiro, Goldrake.
E Michael Jackson sfondava i piccoli altoparlanti delle radioline a furia di girarci, a tutto volume.
 
Oh: non ci crederai, ma l’altra sera in pizzeria (prima che scattasse il decreto governativo #IoRestoaCasa) mi ha detto che in questi giorni si sta leggendo i Promessi Sposi!

Poco ci mancava che dallo shock io scivolassi sotto il tavolo.

“I Promessi Sposi, tu?”
“Si, me li ascolto”
“Come, te li ascolti?”
“Dallo stereo dell’auto, in formato audiolibro, andando al lavoro”
“Ahnn…”
 
Oh, robe da matti! E non solo I Promessi Sposi. Avresti dovuto sentirlo con che passione, e dovizia di particolari, mi andava descrivendo la scena della “Colonna Infame”. Te la ricordi, la vicenda, no? Quella del processo intentato a Milano durante la terribile peste del 1630 contro due presunti untori. Ritenuti responsabili del contagio pestilenziale, tramite misteriose sostanze, in seguito a un'accusa - infondata - da parte di una "donnicciola" del popolo, Caterina Rosa.
 
"Il sospetto e l'esasperazione, quando non sian frenati dalla ragione e dalla carità, hanno la trista virtù di far prender per colpevoli degli sventurati, sui più vani indizi e sulle più avventate affermazioni". 
Così declamava, l’amico in pizzeria, citando alla lettera Manzoni.
E poi un'altra: "La falsa coscienza trova più facilmente pretesti per operare che formole per render conto di quello che ha fatto". 
 
Robe da matti. Robe da matti.
Ci mancava solo il Coronavirus - pensavo - per riportare all’attualità i fenomeni che in psicologia della percezione definiamo come “framing”, “illusioni probabilistiche”, “riluttanza a falsificare” and so on.

Ti cito un esperimento. Un classico, in psicologia sociale. Quello di Kahneman, Slovic e Tversky, pubblicato nelle riviste scientifiche nel 1974.
“Un villaggio sta per essere investito da una rara forma epidemica e le autorità sanitarie prevedono che moriranno 600 persone. Per fronteggiare la calamità allestiscono quattro programmi”:
Programma A: adottando questo programma si salveranno 200 persone.
Programma B: in questo caso c’è 1/3 di probabilità che si salvino 600 persone e 2/3 di probabilità che nessuno si salvi.
Programma C: adottando questo programma moriranno 400 persone.
Programma D: in questo caso c’è 1/3 di probabilità che nessuno muoia e 2/3 di probabilità che muoiano
600 persone.
 
Come si vede, il programma B è statisticamente equivalente al programma A: infatti 200 persone sono 1/3 di 600.
Anche il programma D è statisticamente equivalente al programma C: infatti 400 persone sono 2/3 di 600.
 
Notiamo poi che i programmi C e D portano agli stessi risultati dei programmi A e B, solo che in un caso tali risultati  sono  espressi  in  termini  di  sopravvivenza, mentre nell’altro in termini di mortalità.
 
Dovendo scegliere fra i programmi A e B, voi quale preferireste?
E dovendo scegliere fra C e D?
 
Chiedendo a un gruppo di soggetti sperimentali di scegliere fra i programmi A e B, Kahneman e collaboratori constatarono che nel 72% dei casi le persone optavano per il programma A.
Chiedendo a un altro gruppo di soggetti di scegliere fra i programmi C e D, nel 78% dei casi le persone optavano per il programma D.
 
Ciò significa che nel primo caso (programmi A e B, riferiti alla sopravvivenza) i soggetti tendevano a privilegiare, piuttosto che la soluzione probabilistica, quella sicura. Invece nel secondo caso (programmi C e D, riferiti alla mortalità) i soggetti tendevano a privilegiare, piuttosto che la soluzione sicura, quella probabilistica.
Il modo in cui era stato presentato  il  problema  (framing)  aveva dunque chiaramente influenzato le opzioni.
 
E poi la ricerca del capro espiatorio. Te lo ricordi, sempre Manzoni, al capitolo 32?
“Gli animi, sempre più amareggiati dalla presenza de' mali, e irritati dall'insistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza: ché la collera aspira a punire. (...) Le piace più d'attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi”.
E quindi:
“Con una tal persuasione che ci fossero untori, se ne doveva scoprire, quasi infallibilmente: tutti gli occhi stavano all’erta”.

Prendiamo direttamente Facebook una testimonianza contemporanea. Si chiama Paola (nome di fantasia) e lavora in fabbrica. È una di quelle persone che non possono stare a casa, insomma, e scrive:
«Sono stanca. Psicologicamente e fisicamente stanca. Esco dal lavoro e mi fermo al semaforo rosso. Ho giù il finestrino, mi godo il sole. Sento un urlo: “Stai a casa, assassina! Dovete stare a casa sennò ci uccidete tutti!". Mi giro e dalla cascina che costeggia la strada, una tizia alla finestra sta gridando. Proprio rivolta a me». La donna alla finestra l'ha vista fuori casa e la sua reazione è violenta. «Una tizia che non mi conosce, che non sa nulla della mia vita, non sa perché sono fuori casa, si sente in diritto di gridarmi le sue frustrazioni dalla finestra. Non ci siamo mai viste prima ma lei, sicura tra le mura domestiche intenta a salvare il mondo, giudica me, l'assassina fuori casa senza motivo».

Se  esci diventi un assassino. In automatico.
 
Meccanismi antichi. Vecchi come il mondo, o per meglio dire, nati con gli esseri umani. Che siamo noi - te l’eri scordato? – fatti di una pasta la cui farina si chiama emozioni, bisogni primari e un pizzico di razionalità che dovrebbe far da timone nei processi cognitivi e decisionali.
 
Diciamolo: Internet ci aveva illuso. I “Social”, poi…
Ci eravamo visti godere una sorta di “superpoteri”. Mail, chat, collegamenti istantanei e riscoperta dei compagni di classe dell’infanzia, possibilità di esprimere pareri su politica, scienza, medicina e arti in tempo reale, un pubblico costantemente a tua disposizione… roba da Jeeg Robot, da eroi dei fumetti. Quasi onniscienti, oltre che onnipotenti.
Adesso invece, ai tempi del contagio, ci scopriamo più simili a Lady Oscar. Che, perduto Andrè, il suo innamorato e già debilitata anch’essa nel fisico dalla tisi, cade e muore durante i tumulti della rivoluzione francese.
 
Presunti untori che vengono denunciati attraverso i post di Facebook; processi decisionali influenzati da emozioni primarie come la paura, la rabbia.
Incapacità in qualcuno di distinguere la differenza tra poter usufruire di una libertà e abusarne. Vale per i runners, e per chi li giudica indiscriminatamente. Come avviene spesso, il rischio è quello che la libertà, se non coniugata alla responsabilità, venga tolta a chiunque. Eppure fare attività fisica è una questione di salute. A livello fisico, mentale, emotivo e immunitario.

Cosa sto dicendo, in conclusione?
 
Ci aiuta a comprenderlo Stephen Karpman, un analista transazionale americano (sempre pragmatici, questi yankee). Propone uno schema rappresentato da un triangolo, in cui a ogni vertice corrisponde un ruolo.
I tre ruoli sono: Persecutore, Salvatore, Vittima. Lo chiama triangolo drammatico. Secondo l’autore, ognuna di queste posizioni permetterebbe di soddisfare alcuni bisogni del nostro Ego.
  • Vittima (schema “povero me!”): la persona che recita questo copione ottiene attenzione, perché sia Persecutore che Salvatore si concentrano su di lei. Inoltre, il ruolo di vittima soddisfa il bisogno di dipendenza e permette di evitare l’assunzione di responsabilità. La vittima non è sempre realmente una vittima, ma agisce come tale. I suoi sentimenti hanno a che fare con il sentirsi oppresso, accusato, senza speranza. Questa persona appare incapace di prendere decisioni, di risolvere problemi e trovare soluzioni.
  • Persecutore (schema “è tutta colpa tua!”): il persecutore è controllante, critico, oppressivo e giudicante. Si sente superiore e “bullizza” la vittima. In questo modo evita i propri sentimenti e le proprie paure.
  • Salvatore (schema “ti aiuto io!”): il salvatore accorre in aiuto della vittima. Ciò gli permette di mettersi in buona luce e sentirsi moralmente superiore, giusto, ma anche di evitare i propri problemi e sentimenti. Questo personaggio si sente frustrato e in colpa se non riesce a salvare gli altri. Le sue azioni hanno comunque effetti negativi, perché permettono alla Vittima di rimanere dipendente e al Persecutore di continuare ad attaccare.
I ruoli non sono fissi, ma intercambiabili. È possibile passare da un ruolo all’altro e giocarne più di uno contemporaneamente, a seconda dei contesti e delle situazioni.
 
Viviamo in un mondo che non sarà - non è già più - quello di prima.
Non lo è il lavoro. Non lo è l’economia.
Il pianeta Terra - non dimentichiamolo, al di là e dopo l’epidemia Coronavirus - sta scivolando lungo la rapida dell’autodistruzione. Pensa al riscaldamento globale, alla distruzione delle foreste pluviali, ai cambiamenti climatici.
 
Che ci serva davvero un Supereroe?

O non sia preferibile, e più conveniente, coltivare la consapevolezza di che “gioco” stiamo mettendo in atto, nel palcoscenico della vita? Da quale ruolo (Persecutore, Vittima, Salvatore) agiamo abitualmente, ed emettiamo i nostri proclami?
 
Magari prenderci del tempo per riflettere, prima di scrivere nei Social.
 
Magari evitare la ricerca compulsiva di informazioni. Si chiama “infodemia”:  ci porta a ignorare i dati oggettivi e la nostra capacità di giudizio può affievolirsi.
 
Ridurre la sovraesposizione alle informazioni dei vari tg, web, giornali, che generano ansia su ansia: inutile a una gestione efficace del problema. Le semplici informazioni dalle fonti ufficiali sono sufficienti:
- Ministero della Salute: http://www.salute.gov.it/nuovocoronavirus
- Istituto Superiore di Sanità: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/
 
Fermarsi, osservare i propri pensieri; dare un nome alle proprie emozioni e stati d’animo.
 
Provare paura, rabbia, frustrazione è quanto di più umano esista. Specie in periodi come questi.
 
Evitare, infine, di “leggere nel pensiero” e di giudicare gli altri. Dietro un comportamento sta sempre un “mondo” di motivazioni e una storia esistenziale, perlopiù a noi ignota.
 
E farsi anche aiutare, no, quando ne abbiamo bisogno?
     
        - si trasforma in un razzo missile  -

0 Comments

MARMOTTE BATTE CORONA 20 - 19

17/3/2020

0 Comments

 
Foto
In questi giorni di marcato distress causa epidemia da COVID-19, più di qualcuno mi chiede quali siano le richieste e i bisogni che le persone manifestano sul piano psicologico.

Nel mio campo di esperienza professionale, sostanzialmente tre:
  1. Ansia generalizzata e comportamenti fobici rispetto al timore del contagio;
  2. Aspetti depressivi legati alle perdite;
  3. Frustrazione e nervosismo per la limitazione delle libertà individuali e degli spazi di movimento.

In pratica:
  1. La paura ha un oggetto. è un’emozione primaria, riguarda un elemento identificabile: Il fuoco, le altezze, la velocità, le bestie feroci, ecc… è fondamentale per la nostra difesa e sopravvivenza: se non la provassimo, non riusciremmo a metterci in salvo dai rischi. Qui invece stiamo combattendo un nemico invisibile, che al pari di una truppa di terroristi sa infilarsi nell’incognito e nell’imprevedibilità. Da qui l’ansia generalizzata e il panico. Il rischio di contagio viene generalizzato percependo ogni situazione come rischiosa ed allarmante.
  2. Le perdite fanno parte della vita. Razionalmente, lo sappiamo tutti. Accettarle sul piano emotivo, invece, è altra cosa. Richiede tempi, riti, evocazione di memorie, narrazioni e ristrutturazioni. Non poter vivere la celebrazione del funerale, ad esempio, quale esperienza corale del lutto, aggiunge dolore alla perdita. Altrettanto drammatica l’impossibilità di una assistenza ospedaliera, di una vicinanza fisica (ed emotiva) come anche una semplice visita, cui le disposizioni legate alla limitazione del contagio costringono;
  3. Il terzo punto mi invita ad un racconto: la vita delle marmotte. Lo trovo un utilissimo esempio di come possiamo superare questa prova impegnativa e preoccupante. Prendo pari-pari una descrizione etologica offerta da “guidedolomiti”, un bel sito specializzato e divulgativo su questi nostri “Monti Pallidi” che incorniciano il Nord Est d’Italia, Patrimonio Mondiale Unesco.

Le marmotte vivono in gruppo. E lavorano in squadra.
Sono animali che amano prendere il sole, in società: di giorno vanno in cerca di cibo, di luce e calore. Giocano tra di loro, ma rimanendo sempre vicine alla propria tana, in cui rientrano la sera.
Quando sono impaurite, emettono un fischio caratteristico e molto acuto. Servendosi delle zampe e dei lunghi artigli scavano lunghe tane, con diverse stanze collegate da gallerie sotterranee. Le tane estive sono poco profonde e con molte uscite, quelle invernali sono invece costruite più scrupolosamente: praticamente hanno una galleria d’accesso che può essere lunga anche diversi metri e conduce ad una grande camera che viene rifornita di fieno. Possono ibernare in questi rifugi fino a sei mesi.

Il letargo della marmotta.
Si tratta di un animale estremo, in grado di vivere e riprodursi in un ambiente inospitale come può essere a volte l’alta montagna. A fine settembre, si ritrovano nelle loro tane e le preparano per affrontare il lungo periodo invernale. In queste tane possono stare da 3 a 10/15 marmotte. La marmotta va in letargo, a seconda della rigidità del clima, generalmente da ottobre ad aprile. Questo roditore possiede un sonno da record, che le consente di superare il freddo e il nevoso inverno delle alte quote.

Durante il letargo compie un vero e proprio miracolo fisiologico, la sua temperatura corporea scende da 35 a meno di cinque gradi, il cuore rallenta da 130 a 15 battiti al minuto e la respirazione diviene appena percettibile.
In questo periodo lentamente consuma le scorte di grasso corporeo accumulate nella bella stagione e per sei mesi dorme profondamente accanto al resto della sua famiglia. Si sveglia sporadicamente, in genere, solo quando la temperatura all’interno della tana scende sotto i cinque gradi. Sopravvivere all’inverno è comunque molto difficile. È stato evidenziato come la socialità sia un elemento determinante per la sopravvivenza.

Alcuni dati dimostrano che i cuccioli hanno più possibilità di farcela quando vanno in letargo con i genitori e con i fratelli maggiori. Quando invece nella tana mancano il padre e la madre oppure è scomparso un genitore, nel 70% dei casi la prole non supererà i rigori della stagione fredda. Quella della marmotta è, quindi, una termoregolazione sociale: più si è, più possibilità ci sono di sopravvivere, soprattutto per i piccoli, che hanno dimensioni che non permettono loro di accumulare un sufficiente strato di grasso prima dell’arrivo del freddo e, per questo motivo, hanno bisogno di essere scaldati dagli adulti. Questi ultimi presentano una maggiore perdita di peso corporeo quando all’interno della tana ci sono i nuovi nati dell’anno.

Quando si avvicina un predatore, la regola è fuggire. E per farlo in fretta, le marmotte hanno escogitato un sistema efficace: la prima che fiuta il pericolo dà l’allarme e in pochi secondi il gruppo si rifugia nella tana.
La tecnica è semplice. La “sentinella” si alza ritta sulle zampe posteriori, nella posizione a candela, spalanca la bocca ed emette un grido simile a un fischio, provocato dall’espulsione di aria attraverso le corde vocali, che secondo gli studiosi è un vero linguaggio.

Sei mai stato sull’altipiano del Mondeval? È un luogo magico, dal punto di vista naturalistico e ambientale. Un fascino immenso. Puoi salirci da Selva di Cadore o dal rifugio Città di Fiume, versante Pelmo. Oppure da Passo Giau, dirigendoti verso Forcella Ambrizzola, a 2277 metri di altitudine. Ci sono stato l’ultima volta la scorsa primavera, a disgelo inoltrato. Iniziava il risveglio delle marmotte. Ho provato ad immaginare cosa possa significare destarsi da un sonno durato sei mesi. Mettere il naso fuori dalla tana, e lasciare che le narici si impregnino con il profumo umido dell’erba, gli aromi del pino mugo e il frigore cristallino dell’aria rarefatta in quota.

Ho provato a immaginare cosa si possa provare a sortire da una notte così lunga e senza tempo, sollevar pian piano le palpebre e trovarsi d’improvviso travolti e abbacinati dalla bellezza inarrivabile del panorama. Gira lo sguardo da sinistra verso destra e ti compaiono - altissime e solenni avanti a te - le cime delle Tofane, le Cinque Torri, la Marmolada, lì sotto in fondo alla valle Cortina d'Ampezzo, il Sorapis, il Cristallo, la Croda Rossa, il Monte Pelmo e la Civetta.

Ecco, io credo che quando usciremo da questa sorta di incubo che è l’epidemia del Coronavirus e torneremo a riempire le piazze, lungo le strade, dentro le chiese e nelle sagre di paese, le sensazioni potranno in qualche modo esser simili.

A patto che in questo “inverno fuor di stagione” cui siamo consegnati, ci comportiamo bene.
Uniti, compatti, solidali. Tutti per uno, uno per tutti.
Sull’esempio delle marmotte.

Ce la faremo?
 
     - e guardo il mondo da un oblò -

0 Comments

ARTIGIANI

21/12/2019

0 Comments

 
Foto
Vivo in un paese di artigiani.
Sono nato, in una terra di artigiani.
E' domenica pomeriggio e sto passeggiando lungo le vie di Padova, tra poche ore è Natale.

Guardo le luminarie, e penso che ci sono mestieri che dispongono di una vetrina. In tutte la parti del mondo. Si tratta perlopiù di falegnami, maestri del vetro, calzolai...
Altri non si mettono in mostra. O, per meglio dire, le loro botteghe consistono nelle realizzazioni medesime. Le pareti degli imbianchini, le carrozzerie dei meccanici e restauratori, le tende dei tappezzieri...
Talvolta capolavori a chilometro zero. Altre, opere più ordinarie. In ogni caso vi è stata riversata attenzione, perizia; non di rado fatica e sudore.

Si, è vero: da queste parti, in quelle che furono paludi dell'entroterra veneziano, l'arte di arrangiarsi ha costituito da sempre una virtù. Il valore aggiunto che ha consentito a molti, con un pizzico di iniziativa specialmente negli anni dell'onda economica portante, di costruirsi delle piccole fortune.
Come minimo, un benessere.
O un ben-avere, più probabilmente.

Casa/capannone. Ricordo come questa architettura diffusa nella campagna padovana sconvolgesse un mio amico bolognese, venuto a trovarmi poco tempo fa.

Mi trovo adesso in via Altinate. Esco da una visita alla mostra di un amico che realizza quadri lignei di una impressionante bellezza e originalità, componendo con talento e fantasia pezzi di imbarcazioni sfasciate raccolte lungo il Delta del Po.
Attraverso la strada, entro nella libreria dirimpetto.

Caspita, mi dico, anche qui trovo esposte opere di artigiani.
Dentro questa bottega, il materiale è la parola.
Lo strumento, la lingua italiana.
Il banco di lavoro le idee, i pensieri.

Mi raffiguro le finestre che illuminano i loro laboratori: vedo entrare - sempre mutevole e cangiante - la luce delle emozioni. Ora intensa, squillante e forte. Altre volte sbrillucicante, incerta o francamente spenta.

Ci trascorrerei intere giornate, qui dentro.
Può bastare una vita sola, a leggere tutti i libri che uno vorrebbe?

Due tra tutti, mi colpiscono e mi soffermo a sfogliare. “Sul lettino di Freud” di Irvin Yalom, ultimo romanzo edito di uno dei miei scrittori preferiti. Già autore de “Le lacrime di Nietzsche”; “Il problema Spinoza”, “La cura Schopenhauer”.
L'altro, un testo “per ragazzi curiosi”, come recita il sottotitolo. Curato da Umberto Galimberti.
Il titolo è “Perché? 100 storie di filosofi”. Un libro illustrato, tanto semplice quanto chiaro e accattivante. Strutturato seguendo l'efficace e collaudato stile delle domande-risposte, racchiude in sintesi il profilo biografico del pensatore e le idee-chiave della sua rappresentazione del mondo. Riflessioni sul senso dell'esistenza, sulla politica, sulle paure e l'esercizio critico dei pensieri.
Ciò di cui si occupa la filosofia, in sostanza.

Formare artigiani del pensiero. Capaci di tenere assieme razionalità ed emozioni, senza che l'una uccida le altre, e viceversa. Ho sempre pensato dovrebbe consistere in questo, il compito della scuola. Di questi tempi, un ruolo fondamentale. A smascherare l'inganno del fomentare torbido il vento oscuro e irrazionale delle paure, al fine di trar vantaggio dalla tempesta delle difese semplicistiche, egoiste e irrazionali. Uno stratagemma della retorica, peraltro. Vecchio quanto il mondo.

Mi piacciono queste piazze di ogni città, stracolme di migliaia di persone, dove esattamente di questo “artigianato”, si parla, si evoca, si fa memoria, si pubblicizza e si rappresenta.
Belle piazze di gente, che torna - finalmente - a liberare la Parola dalla compulsione, il Desiderio dall'angoscia mortifera, la Legge dall'alienazione, per dirla con gli arnesi della psicanalisi.

Belle, perché?
Apri lo sguardo - e l'ascolto - a questo lavoro di un poeta, e pure cantautore:

“Perché le idee sono come farfalle
Che non puoi togliergli le ali
Perché le idee sono come le stelle
Che non le spengono i temporali
Perché le idee sono voci di madre
Che credevamo di avere perso
E sono come il sorriso di Dio
In questo sputo di universo”


       - chiamami ancora amore -

0 Comments

E NON CI LASCEREMO MAI

28/10/2019

0 Comments

 
Foto
Chi non conosce la storia?
Mowgli è un trovatello. Viene adottato da un branco di lupi. Lo affidano a Bagheera, la pantera, con il compito di riportarlo al “villaggio degli uomini”.

E' la funzione genitoriale. Bagheera assume la parte normativa, quella della Legge.
Baloo, l'orso burlone, quella ludica/affettiva.

Mowgli viene affascinato dalla gioiosa “pazzia” trasgressiva di Baloo.
Si crea un legame di attaccamento profondo.
Arriva a giurargli che nulla e nessuno potrà separarli, “mai, mai e poi mai”.
Caro papà orso...

Facciamola breve, nel riassunto: arriviamo dritti al momento in cui Mowgli, accompagnato al limitare del villaggio dopo mille peripezie, incrocia lo splendido sguardo di una fanciulla, rimanendone irrimediabilmente conquiso.

L'impossibile diventa pensabile.
L'impensabile, realtà.

E' un duro colpo, per papà e mamma.
Per chiunque, nella vita, si trovi a vario titolo ad aver svolto una funzione genitoriale.
E' il momento della rinuncia all'idea della propria insostituibilità.
Il tempo della accettazione del distacco, in qualche modo della perdita.
Come avviene - inevitabilmente - quando giunge l'età dell'adolescenza.

E' qui, che il gioco si fa duro.
Quando la cosa giusta da fare è “lasciar andare”.

      - amore che vieni, amore che vai -

https://youtu.be/HPOrNoZsKpw


0 Comments

JOKER

21/10/2019

0 Comments

 
Foto
“Joker è un film che solo chi ha sofferto può capire veramente”.
Così Josh Brolin, attore statunitense la cui travagliata biografia familiare e affettiva ne testimonia la veridicità.

Ed è davvero così.
Al di là della distruttività disperata e senza scampo nella trama, ciò che emerge in questa pellicola è la è la descrizione di ciò che le ferite di attaccamento possono produrre nell'esistenza di un individuo.
Quando addirittura di veri abusi infantili si tratta, l'esito del disagio psichico è pressoché scontato.

Lo sfogo in una violenza cieca come tentativo “riparatore” può riguardare un'intera parte della società, qualora le frustrazioni di una moltitudine trovino un catalizzatore che ne attivi i processi di identificazione. Così la maschera da clown, così per certi versi i gilet gialli, così ogni forma di rivoluzione che a partire da reali ragioni di ingiustizia si trasformi - senza capacità di autoregolazione - in tirannide cieca e foriera di morte.

Il paradosso, anche qui come nella vita reale, sta nel rovesciamento di prospettiva che la conoscenza della reale storia di vita delle persone può fornire.
La vittima diviene colpevole; Il colpevole vittima, senza soluzione di continuità.
L'assassino di oggi è stato il bimbo abusato di ieri.
L'anafettivo contemporaneo, il figlio cui nessuno ha badato per ciò che era in se stesso, piuttosto che come prolungamento o parentesi dell'ego genitoriale.

Di drammatica verità, tornando alla psicopatologia individuale, una delle constatazioni che il protagonista scrive nel proprio diario:
“La cosa divertente delle malattie mentali è che la gente pretende che ti comporti come se non ce l’avessi”.

         - ti regalerò una rosa -


0 Comments

PICCOLE DONNE CRESCEREBBERO

31/8/2019

0 Comments

 
Foto
Dove c'eravamo lasciati?

Ah, si: da quella figlia scappata di casa.
Quell'adolescente ribelle, con la quale il padre tenta in ogni modo un dialogo, che risulta purtroppo impossibile. Una storia tormentata, davvero.

Il genitore cerca di capire dove ha sbagliato e cosa può fare per cambiare la situazione, la ragazza risponde con siluri tipo: “Sei tu che mi hai messa al mondo, non io; sei tu che hai creato questa situazione, non io; sei tu che vi devi porre rimedio, non io”.
Così agisce la critica sterile dell’adolescente rivoltoso.
Il mondo degli adulti, agli occhi massimalisti della figlia, è disonesto. Falso, impuro e merita solo di essere insultato. Per definizione. Aprioristicamente.

Un'adolescente ribelle, balbuziente, prima aderente a una banda di terroristi e poi a una setta religiosa che obbliga a portare una mascherina sul viso per non uccidere i microrganismi che popolano l’aria.
L'altro, chi la pensa diversamente da sé, è visto irrimediabilmente fuori gioco, incapace di comprendere e immeritevole di confronto.

E' la storia di “Pastorale americana”, il celebre libro di Philip Roth, dal quale anche un film.
Nulla di nuovo, nella sostanza. Una trama che si ritrova sovente nelle famiglie, dove i tentativi di dialogo con un ragazzo ostaggio della fase puberale dell'intolleranza spesso naufragano addosso agli scogli dell'intransigenza, del rifiuto pregiudiziale. Del “Voi non mi capite”.
O, parimenti, del “O si fa come dico io, o non se ne fa nulla” della contraerea genitoriale.

Stili di dialogo fallimentare.
Relazioni bacate dall'immaturità, dell'egocentrismo ancora irrisolto.

E poi basta, per oggi.
Altrimenti mi dite che parlo sempre di politica.

        - non ho l'età, per amarti -


0 Comments

ILLIBATA OFFRESI

25/8/2019

0 Comments

 
Foto
“E' più facile distruggere, o costruire?”
“Promettere, o mantenere?”

Sono domande difficili, lo so.

E senti questa:
“Stare all'opposizione, o governare?”

Dai, l'hai capito: si tratta di domande retoriche.
Cioè una strategia dialettica che consiste nel porre un interrogativo che non rappresenta una vera richiesta di informazione, ma implica piuttosto una risposta predeterminata.

Detto questo, prova a dimostrarmi che oggi è più facile amministrare l'Italia, assumendoti l'onere di un'economia a rotoli e un debito pubblico devastante, che stare all'opposizione, a tirare siluri contro, “a gratis”.

C'è una bellissima inquietante canzone, costruita nella musica da Lucio Dalla, ma portata inizialmente al successo da un ragazzo diciottenne, Rosalino Cellamare in arte Ron.
Parla di un tema drammatico: lo stupro di una minorenne. Gli autori (Paola Pallottino ha scritto il testo) hanno più volte ribadito che prendeva le basi da una storia vera.

Correva l'anno 1971.
L’Italia politica si dibatteva tra l’abrogazione dell’articolo 553 del codice penale, che vietava la produzione e il commercio degli anticoncezionali, e i prodromi di quelli che furono gli “anni di piombo” del terrorismo rosso e nero.
Nel settembre dell'anno precedente, una bimba di dieci anni, Claudia Bellante di Cavalese, fu rapita mentre giocava nel parco del paese. Fu ritrovata una decina di giorni dopo, viva, in un’abitazione di Santo Stefano di Cadore. Era stata rapita da uno squilibrato senza figli che voleva avere la compagnia di una bambina.
Un pedofilo, diremmo oggi. Il rapitore si chiamava Demetrio Bocchi.
Leggendo le interviste rilasciate dagli autori, sembrano negare l'ispirazione sia scaturita da questo fatto di cronaca, ma le analogie rimangono.

Analogie.
Hai mica sentito di quel partito che ha vinto le elezioni solo un anno fa cavalcando - e fomentando - la protesta popolare sull'onda di slogan tipo:
“Dimissioni, tutti a casa!”
“Sono tutti ladri, è il partito del malaffare!”
“Subito al voto!”
“Apriremo il parlamento come una scatoletta di tonno!”
“Abolire i senatori a vita!”
(Dio mio, sono tra i pochi, là dentro, portatori di cultura, competenza scientifica, ad aver dato prestigio all'Italia grazie al loro lavoro e testimonianza di vita: persone come Enzo Piano, Carlo Rubbia, Elena Cattaneo, Liliana Segre...).

“Hanno le mani sporche di sangue, gli altri!”

Su tutte, poi, la chiosa farisaica (la più notevole, a mio parere): “Noi non siamo come loro 111!”.

Ecco, questo partito-verginella è andato a convivere con la bestia.
No, non prendertela: d'altronde delle affinità c'erano, eccome.

Ma: “Chi è mai questa Bestia?”, ti starai chiedendo.
Lasciamolo dire a Alessandro Orlowski, classe 1967, nato a Parma. Spin doctor digitale, regista di spot e videoclip negli anni ’90, uno dei primi e più influenti hacker italiani. In un'intervista alla rivista musicale “Rolling Stone” (luglio 2018), lo spiega magistralmente:

Quando nasce la Bestia?
“Dalle mie informazioni la Bestia è stata ideata a fine 2014, e finalizzata nel 2016. All’inizio si trattava di un semplice tool di monitoraggio e sentiment. Poi si è raffinato, con l’analisi dei post di Facebook e Twitter e la sinergia con la mailing list.”

Come funziona l’analisi dei dati, su cui si basa la strategia?
“Diciamo che a livello di dati non buttano via nulla: tutto viene analizzato per stabilire la strategia futura, assieme alla società di sondaggi SWG e a Voices From the Blogs (azienda di Big Data Analysis, ndr).

La Bestia differenzia il suo operato a seconda dei social, per rendere immutata l’efficacia in base allo strumento?
“Per chi si occupa di marketing e propaganda online, è normale adattare la comunicazione ai differenti social. Twitter è l’ufficio stampa, e influenza maggiormente i giornalisti. Su Facebook ti puoi permettere un maggiore storytelling. È interessante vedere come, inserendo nelle mailing list i video di Facebook, la Lega crei una sinergia con la base poco attiva sui social: la raggiunge via mail, e aumenta così visualizzazioni e condivisioni.”

Vedi analogie tra la strategia social di Donald Trump e quella di Salvini?
“Salvini ha sempre guardato con attenzione a Trump. Entrambi fanno la cosa più semplice: trovare un nemico comune. E gli sta funzionando molto bene. Nel nuovo governo si sono suddivisi le responsabilità: al M5S è toccato il lavoro, con la forte macchina propagandistica gestita dalla Casaleggio Associati, alla Lega la sicurezza e l’orgoglio nazionale, gestiti da Morisi e amici.”

Sta pagando, non c'è che dire.
“La totale disinformazione e frotte di like su post propagandistici e falsi - per esempio l’annuncio della consegna di 12 motovedette alla Guardia costiera libica (a fine giugno, ndr) - portano a quello che si definisce vanity KPI: l’elettore rimane soddisfatto nel condividere post che hanno migliaia di like, e quindi affermano le loro convinzioni. Consiglio la lettura di The Thrill of Political Hating di Arthur Brooks.”

Come è stata finanziata l'attività delle reti social della Lega?
“La Lega voleva creare una fondazione solo per ricevere i soldi delle donazioni, al fine di poter tenere in piedi le reti social senza passare per i conti in rosso del partito. Il partito è gravato da debiti e scandali finanziari (a luglio il tribunale di Genova ha confermato la richiesta di confisca di 49 milioni di euro dalle casse del partito, ndr). Le leggi italiane lasciano ampio margine: permettono di ricevere micro-donazioni, senza doverle rendere pubbliche. È una forma completamente legale. In ogni caso, potresti chiederlo direttamente a Luca Morisi.”
(Morisi non ha risposto ai tentativi di contatto da parte di Rolling Stone, ndr)

Hanno ricevuto finanziamenti dall’estero?
“Recentemente l’Espresso ha raccontato che alcune donazioni al partito provengono da associazioni come Italia-Russia e Lombardia- Russia, vicine alla Lega. D’altra parte, sono stati i russi a inventare il concetto di hybrid war. Il generale Gerasimov ha teorizzato che le guerre moderne non si devono combattere con le armi, ma con la propaganda e l’hacking.”

Un sistema come La Bestia alimenta la creazione di notizie false?
“Non direi che ci sia un rapporto diretto tra le due cose, ma sicuramente c’è un rapporto tra La Bestia e il bias dei post che pubblicano. Come ha spiegato lo psicologo e premio Nobel Daniel Kahneman, di fronte a una notizia online la nostra mente si avvale di metodi di giudizio molto rapidi che, grazie alla soddisfazione che dà trovare conferma nei nostri pregiudizi, spesso porta a risposte sbagliate e illogiche, ossia biased.”

Quanto di ciò che hai detto fin qui vale anche per il Movimento 5 Stelle?
“Non c’è dubbio che dietro al M5S ci sia una buona azienda di marketing politico. La loro propaganda è più decentralizzata rispetto a quella della Lega, tutta controllata da Morisi. Creano piccole reti, appoggiandosi agli attivisti “grillini” e risparmiando così denaro. Non pagano per rendere virali i post di Grillo o di Di Battista. Anche se oggi, con il M5S al governo, la strategia è in parte cambiata.”

Quanto influisce l’attività di trolling sul dibattito politico?
“Dipende dal contesto politico e dal Paese, in alcuni casi può essere molto violenta. Per creare account su Twitter esiste un software acquistabile online, che ti permette di generarne mille in tre ore, ognuno con foto e nome distinto. Parliamo di account verificati con un numero di cellulare: c’è un servizio russo che, per 10 centesimi, te ne fornisce uno appositamente. Con 300 o 400 euro puoi crearti in un pomeriggio un migliaio di account Twitter verificati. A quel punto puoi avviare un tweet bombing, cambiando la percezione di una notizia. È semplice e costa poco.”

Analogie, e differenze.
Ora, la verginella si ri-propone al governo, forse cambiando partner.

Si vedrà, la differenza?
Voglio dire, per noi diretti interessati cioè i cittadini – e contribuenti – italiani?

Non occorre un premio Nobel per confermare quanto già Aristotele nel 350 avanti Cristo e poi gli psicologi della motivazione come Abraham Maslow e David McClelland hanno ribadito: l'essere umano (e più in generale tutti i viventi) tende a evitare il dolore, e ricercare il piacere.
Pensa te che scoperta, dirai...
Evidenze confermate anche dai recenti studi in ambito neurofisiologico sul nucleo accumbens, quella struttura profonda del nostro cervello deputata ai processi di ricompensa.

Da qui in concetto di rinforzo.
Hai presente la tecnica delle sardine? Quella delle foche al circo?
Se gratifichi l'animale gettandogli in bocca un pesce ogni volta in cui esegue correttamente l'esercizio che gli stai insegnando, puoi farlo arrivare a eseguire cose incredibili. Si chiama condizionamento operante. Tipo cantare come Pavarotti.

Per gli umani, stessa cosa.
Cosa voglio dire?
Che se tra noi cittadini/contribuenti/elettori non si svilupperà la coscienza che il “dolore” da fuggire non sono i “nemici immaginari” costruiti dalla propaganda-bestia (gli immigrati, i senatori a vita, gli insegnanti, e via che la lista sarebbe lunga) e il piacere da ricercare non è quello della furbizia a evadere le tasse, bensì un futuro vivibile per i nostri figli, non ne usciremo.

Il piacere di un futuro vivibile per i nostri figli. Il “popolo” di domani.
Un domani molto prossimo, del resto.

Cosa intendo, per futuro vivibile per i nostri figli?
Un ambiente dove la Casa Comune che è il nostro magnifico e martoriato pianeta Terra venga rispettato. Il che significa anche rinunciare a parti considerevoli di profitto economico a favore di stili di vita sostenibili, non-suicidari.

Un esempio? Prendiamone uno, quello più “di moda” adesso, così capiscono tutti.
La foresta pluviale amazzonica - il polmone che produce il 20% dell'ossigeno del nostro pianeta - sta bruciando causa gli incendi provocati da taglialegna e allevatori per liberare la terra per il bestiame. La pratica è in aumento, incoraggiata da Jair Bolsonaro, presidente pro-business populista brasiliano, che è sostenuto dal cosiddetto “caucus di manzo” del paese. Il Brasile è il più grande esportatore mondiale di carne bovina, fornendo quasi il 20% delle esportazioni globali totali.

Cosa intendo - ancora - per futuro vivibile per i nostri figli?
Una società dove l'intelligenza non venga confusa con il buonismo.
La sicurezza con la sociopatia.
La cooperazione con la criminalità.

Confusioni madornali, frutto di ignoranza.
Talvolta, peggio: confusioni bestiali, inoculate ad hoc.

C'è chi l'ha capito, e chi invece - purtroppo - mentre indichi la luna, s'incanta ancora a fissare il dito.
Mhh... che si sia innamorato dell'artiglio della bestia?

Per concludere: che non valga finalmente la pena guardarsi negli occhi e ri-scoprirsi persone - fuori dai Social - non “bestie” o avversari da squalificare e violentare verbalmente?

Che non valga la pena, al di là delle differenti opinioni partitiche (non di rado per qualcuno sono appartenenze affettive - tipo squadra del cuore - in termini calcistici) riconoscere che stiamo tutti nella stessa barca chiamata Italia, che di acqua ne sta prendendo pericolosamente davvero troppa?

Che non sia il caso di fare meno gli schizzinosi e remare, remare, remare seriamente per portare in un porto sicuro chiamato “futuro” (non è il Papeete) i nostri figli?

Non dico tutti, sarebbe illusorio.
Almeno gli uomini e donne di “buona volontà”, come si diceva una volta.

Ce la facessimo, potrebbe rivelarsi... Fico, no?

            - il gigante e la bambina -


0 Comments

ZONA RIMOZIONE

18/8/2019

0 Comments

 
Foto
"Pòro Piero. Pensa: non jèra mai morto, prima".
Con questo aforisma cercavo di spiegare alle mie figlie, quand'erano piccole, che c'è sempre una prima volta. Che talvolta coincide con l'ultima.
Era quando mi chiedevano il permesso per qualche impresa che - all'occhio del genitore - risultava pericolosa.
Oppure quando cercavo di spiegare che le cose possono cambiare.
Che non è il “di solito” a garantire l'eternità.

Vabbé. Adesso che la più grande s'è data all'alpinismo e - un giorno sì, due altri ancora - è a scalare qualche parete o ghiacciaio in alta montagna, con i suoi cinque compagni di avventura, meglio smetta di pensarci.

Freud l'ha chiamata “rimozione”. E' il primo, il più massiccio dei “meccanismi di difesa”.
Hai presente quando a casa hai attaccato contemporaneamente la lavastoviglie, il forno con la crostata a cuocere, la lavatrice, e ti metti pure a stirare? Che succede?
Succede che... bam! Va via la luce. Di colpo.
E' scattato il “salvavita” (che i bravi elettricisti chiamano “interruttore differenziale”).

Ecco, la rimozione funziona così. E' un lavoro dell'inconscio.
Consiste nell'inconsapevole cancellazione di un ricordo, di una esperienza che il soggetto ha vissuto come acutamente angosciante o traumatizzante.
Che vuol dire, angosciante o traumatizzante?
Quando accade all'improvviso.
Quando produce uno spavento acutissimo.
Quando fa sì che il soggetto diventi impotente ed incapace di controllare situazioni.
Quando il soggetto sente di subire qualcosa di così tremendo da produrre un danno, anche fisico, irreparabile.

Certo, avviene anche a livello sociale, come no?
Pensa alla questione ambientale.
Hai visto com'è ridotto il ghiacciaio della Marmolada?
Che agonia.
O il nevaio in alto a destra sulla parete del monte Civetta? Hai notato di quanto si è ridotto e tinto di marrone, negli ultimi anni?
Luglio 2019 è stato il mese più caldo da 140 anni a questa parte.

Se si sciolgono ghiacciai come quelli della Groenlandia, pensi che non accada nulla?
Hai idea di che effetto può avere sull’ecosistema degli oceani e dei mari artici una simile massa di acqua dolce? In due parole: potrebbe arrivare a modificare per sempre la Corrente del Golfo. Quel flusso di acqua calda che va dal golfo del Messico al mare di Barents. Che rappresenta il motivo per cui il nostro clima, tra Europa e Nord America, è temperato.
Secondo i climatologi, cambiamenti irreversibili nella corrente del golfo sono l’unica cosa da evitare a ogni costo, se vogliamo evitare scenari da “Day After Tomorrow”.

Pensa solo al fatto che - causa anche le temperature altissime - tra l’Alaska, Yakutia e le regioni siberiane di Irkutsk, Krasnoyarsk e Buriazia, gli acri di terreno incendiati in questi giorni hanno superato i 2 milioni.
Una superficie superiore a una regione come la Val d’Aosta. Questi incendi hanno emesso in atmosfera circa 100 megatonnellate di biossido di carbonio, una cifra pari alla quantità di anidride carbonica prodotta in un anno da una nazione come il Belgio. Ad andare a fuoco non sono i tronchi degli alberi, ma i terreni di torba, che altro non sono che depositi di carbonio. Questo rende ancora più difficile domare le fiamme, che potrebbero potenzialmente durare settimane, se non mesi, e aumentare esponenzialmente la CO2 rilasciata in atmosfera, aumentando la gravità della catastrofe ecologica, e il riscaldamento del clima. Che, a sua volta, produce tutte le anomalie climatiche che stiamo vivendo da queste parti, e un po’ di più.

Non è raro che durante i mesi estivi si sviluppino incendi in queste zone, ma erano almeno diecimila anni che le fiamme non divampavano a questa velocità.
Le temperature straordinariamente elevate registrate tra giugno e luglio hanno portato a roghi senza precedenti che stanno distruggendo la flora e la fauna e immettendo enormi quantità di gas serra che contribuiranno ad aumentare ulteriormente il riscaldamento globale.

Li vedi, i telegiornali? Quanto ne parlano, di queste cose?
Rimozione.
Rimozione.
Come se il problema fossero un centinaio di disperati in mezzo al mare. Da tenere lì, in ostaggio al nichilismo convulsivo di un politico oramai preda e vittima del suo delirio di impotenza.
Si, hai letto bene: delirio di impotenza. La versione inversa di quello freudiano.
Non c'è limite, al peggio.

Sapendo che i migranti economici e climatici – non c'è nulla da fare, è questione darwiniana – saranno sempre di più. Sempre, sempre di più. E un giorno saremo, anzi già lo siamo, noi.

Ieri sono sceso al mercatino dell'antiquariato, che periodicamente tengono in questo piccolo borgo montano dove mi trovo in questi giorni. Non ho saputo resistere a due acquisti: una piccola ocarina artigianale, a 5 fori con un suono strepitoso. Anche se finora l'unico effetto che ho sortito è stato quello di terrorizzare la mia gatta, che adesso mi guarda come vedesse un mastino napoletano.

Il secondo acquisto, un raro libro di proverbi veneziani. Spassosissimo.
Senti questo:
“I morti verze i oci a i vivi”
(I morti aprono gli occhi ai vivi)

E questo:
“La consolazion del pitoco, l'è vedar el miserabile”
(La consolazione del povero, è vedere il miserabile)

E infine questo:
“Co i ladri se fa la guera, segno che i xe d'acordo”
(Quando i ladri si fanno la guerra, segno che sono d'accordo)

Ah, non te l'ho detto, ma lo sai che ancor oggi mia figlia ogni tanto mi fa:
"Papi: ma allora 'sto famoso Piero... xèo morto si, o no?”.

Eh? Dici abbia voglia di prendermi in giro?

          - ogne scarrafone è bell' a mamma soja -


0 Comments

PALLONI SGONFIATI

9/8/2019

0 Comments

 
Foto
Dimmi che non hai mai giocato al “Gioco dell'Oca”.
Non ci credo.
La cosa più spassosa (prova a negarlo!) era quando, a un passo dal traguardo, uno (un altro, non tu, chiaramente) arrivava alla casella “torna da capo”. Che spasso!

E quando in classe ne combinavi una di grossa, che l'insegnante si incavolava di brutto, e la nota sul registro se la beccava quell'altro, del tutto ignaro e innocente?

Invece qua c'è poco - molto poco - da ridere.
Perché?
Perché “quell'altro” siamo noi.
Sei tu, sono io.

“Schadenfreude”. I tedeschi la chiamano così.
Schadenfreude.
E' un'emozione per la quale non abbiano un termine, nella nostra lingua.
“Schadenfreude”.
In italiano, è intraducibile.

Potremmo definirla come “la gioia per le disgrazie altrui”.
Grazia Aloi, psicanalista a Milano, in un suo articolo l'avvicina al sadismo. Una sorta di compiacimento malevolo verso il prossimo, derivante dalla “considerazione di scarsissimo valore di sé che si riflette nella consolazione - molto spesso errata - che anche il sé degli altri sia scarso e non degno”.

Lo ripeto: qua invece c'è poco - molto poco - da ridere.

Già, perché “quell'altro” siamo noi.
Sei tu, sono io.

Hai presente quando uno va al governo promettendo mari e monti, sputando addosso a chi ha governato prima, a chi si è assunto l'amaro compito del Cireneo dovendo adottare misure economiche impopolari per evitare che il paese sprofondasse nel baratro della recessione economica?
Hai presente quando forma una coalizione di comando con quell'altro che alimenta odio e pregiudizi a nastro - sulla base di problematiche reali, per carità! - ma che si affrontano e gestiscono con intelligenza, competenza e tanto equilibrio, piuttosto che slogan populisti che a breve termine si rivelano solo bolle di sapone?

Hai presente quando vai in pizzeria e tu quella sera hai deciso (più che altro devi) restare leggero perché non vuoi (non puoi) spendere più di tanto? La rata del mutuo in arrivo, le tasse scolastiche dei figli... Bene, quell'altro che ti ha invitato (pensavi offrisse lui, in verità, l'aveva lasciato intuire) ordina invece quattro birre – e delle più costose – poi la pizza “special” con doppia farcitura, bis di dessert per sé e tutta la sua famiglia, amaro e caffè corretto, gelati extra per i figli (tu eri rimasto alla margherita) e poi ti dice “si paga alla romana, no?”.

Adesso ti propongo un'operazione matematica. Quelle che in algebra si chiamano “equivalenze”.
Una serie di piccole equazioni, insomma. Roba da scuole medie, dài.

4 birre : 5,6 miliardi di euro per rifinanziare quota100 = x : aumento dell'IVA

Porzione doppia di tiramisù : 30-40 miliardi per finanziare la Flat Tax = y : sforamento di bilancio

“Tanto-paghi-tu” : gestione dei flussi migratori = z : decreto sicurezza bis

“Xe finìi i schéi” : 23 miliardi per evitare l’aumento dell’IVA al 25,6% = q : mancata crescita del PIL

Le soluzioni?
Tranqui.
Hai almeno due mesi per pensarci.

Pensiamoci tutti, e bene.

       - non voglio mica la luna -


0 Comments

FORZE DI SICUREZZA

7/8/2019

0 Comments

 
Foto

Cosa accomuna un simpaticissimo personaggio dei cartoni animati, un medico dell'Aereonautica ufficiale sanitario, e un capitano della Marina Militare Italiana?

In un post di qualche tempo fa, una mia collega specializzata e formatrice in Emotionally Focused Therapy proponeva queste quattro situazioni-tipo, inevitabili nella vita quotidiana, specie per chi ha a che fare con i bambini:



“Cos'ha bisogno di sentirsi dire, un bambino arrabbiato?”
  • Sono qui con te
  • Vedo che è dura, per te
  • Cosa sente il tuo corpo, in questo momento?
  • Sentire rabbia è ok, in questo momento
  • Io ti terrò al sicuro

“Cos'ha bisogno di sentirsi dire, un bambino triste?”
  • Sono qui con te
  • Va bene, adesso, sentirti triste
  • Hai voglia di parlare di ciò che ti rende triste?
  • Piangere fa bene. Hai voglia di una coccola?
  • Anch'io mi sento triste, talvolta

“Cos'ha bisogno di sentirsi dire, un bambino in ansia?”
  • Sono qui con te
  • E' normale, sentire questo
  • Cosa prova il tuo corpo, in questo momento?
  • Puoi dirmelo, se vuoi
  • Vuoi che elaboriamo un piano, assieme?

“Cos'ha bisogno di sentirsi dire, un bambino deluso?”
  • Sono qui con te
  • E' normale sentirsi così deluso, in questa situazione
  • E' dura, quando le cose non vanno come avremmo voluto
  • Ti ascolto
  • A volte le cose sembrano ingiuste

Bello, no? Chi non si sentirebbe in un “porto sicuro”, quando qualcuno ci accoglie, ci ascolta, ci ascolta e ci protegge così'
E - ci hai fatto caso? - in ciascuna di queste situazioni trovi un denominatore comune: “Sono qui con te”.

Anche nella terapia di coppia, l'indice del benessere/infelicità verte tutto attorno a queste due parole: “Ci sei/non ci sei mai”. Da adulti, come nell'infanzia.
Siamo programmati così: all'attaccamento, a una “base sicura”, che ci vuoi fare?

Bing Bong è un pirotecnico elefantino rosa, immaginario amico d'infanzia della protagonista, che nel film "Inside Out" (Pixar Animation Studios, 2015) a un certo punto si sacrifica e accetta di scomparire nel pozzo dei “ricordi perduti” per permettere a Gioia di poter raggiungere la centrale dei comandi dove risiedono le emozioni della bambina.
In questo film il regista Peter Docter, già autore e sceneggiatore di altri capolavori come Up, Toy Story, Monsters & Co., ha deciso di rappresentare le emozioni e il modo in cui influenzano il comportamento.
Il gesto eroico di Bing Bong sta tutto in quei tre minuti di video che continuano a far scorrere fiumi di lacrime, in chi li guarda.

Pietro Bartolo è un medico chirurgo, laureato all'Università di Catania, specializzato in ginecologia. È sposato e ha tre figli. Nominato nel 1988 responsabile del gabinetto medico dell'Aeronautica militare a Lampedusa, nel 1991 è ufficiale sanitario delle isole Pelagie. Nel 1993 diviene responsabile del presidio sanitario e del poliambulatorio di Lampedusa, dipendenti dall’ASP di Palermo.
Vice sindaco e assessore alla sanità dal 1988 al 1993.
Dal 1992 si occupa anche delle prime visite a tutti i migranti che sbarcano a Lampedusa e di coloro che soggiornano nel centro di accoglienza.
Nel marzo 2011 è stato nominato coordinatore di tutte le attività sanitarie nelle Isole Pelagie. Nonostante qualche settimana prima fosse stato colpito da un'ischemia cerebrale, è stato in prima fila nei soccorsi ai sopravvissuti del Naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 di un peschereccio carico di oltre 500 migranti, in cui persero la vita 368 persone.
Nel suo libro “Le stelle di Lampedusa” (Mondadori, 2018) trovi storie – non sono racconti, ma testimonianze – come questa:

«C’era questa ragazza madre arrivata a Lampedusa, che aveva perso l’uso delle gambe. Mi aveva detto che l’avevano violentata fino a paralizzarla. Era arrivata con un bambino. O almeno, pensavo fosse un bambino.
Quando le mie infermiere l’hanno lavata e pulita mi hanno detto che era una bambina.
Alla mamma, che era in condizioni ai minimi termini, non pesava più di 30 chili, le abbiamo messo le flebo. La bambina, ogni volta che mi avvicinavo alla mamma, mi aggrediva.
Quando le abbiamo dato i biscotti, lei non li ha mangiati. Li ha sminuzzati e imboccava la mamma come un uccellino.
Era da 6 mesi che si prendeva cura di sua mamma. E quando le mie infermiere l’hanno lavata, hanno trovato un gruzzolo di soldi su quella bambina, immaginate dove…
Aveva 4 anni, pensate. Quando l’abbiamo portata a Palermo, perché la madre doveva andare in ospedale, come facciamo con tutti i bambini, le abbiamo dato un giocattolo in regalo. Lei non l’ha voluto. Non era più una bambina».

Gregorio De Falco, ufficiale della marina Militare Italiana, si è laureato in Giurisprudenza all'Università degli Studi di Milano. Nel 1994 vince il concorso per entrare nel Corpo delle Capitanerie di Porto a Livorno. Frequenta i nove mesi di corso all'interno dell'Accademia navale.
Con il grado di Tenente di vascello, ricopre il ruolo di Comando a Santa Margherita Ligure, dove rimane dal 2003 al 2005.
Nel gennaio 2012 diviene celebre per i suoi interventi esortativi durante il drammatico naufragio della supernave da crociera Costa Concordia, registrati e diffusi da moltissime trasmissioni televisive. Interventi nei quali dapprima esorta, poi impone al comandante Schettino di tornare a bordo. Di non di fuggire come un vigliacco dalla nave che con una manovra stupida e temeraria aveva fatto affondare, causando la morte di 32 persone e mettendo a repentaglio quella di migliaia.

Eletto alle ultime votazioni politiche italiane nelle fila del partito che si è presentato come quello dell'Onestà. Ne viene espulso in data 31 dicembre 2018 assieme ad altri tre eletti - su decisione dei probiviri - per "reiterate violazioni del codice etico”.
In cosa consistette la sua colpa?
Aver deciso di astenersi in occasione del voto di fiducia per il cosiddetto “Decreto Sicurezza”.
Il comandante De Falco così ha commentato: “Mi dispiace molto e non me lo aspettavo. E’ una decisione abnorme e incostituzionale. Confidavo nel fatto che ci fosse uno spazio di democrazia che invece, a quanto pare, non c’è. Avrebbero voluto che la votassi a scatola chiusa”.

Due giorni fa, in occasione del nuovo voto di fiducia per la versione Bis del medesimo decreto, così si è espresso, rivolgendosi ai colleghi del partito che lo ha eletto:

“Il vero intento di questo provvedimento è creare la morte delle persone come deterrente.
Lo dico da uomo di mare. Aumentando la probabilità di morire in acqua, in realtà si spera che la gente non parta, ma dobbiamo avere consapevolezza che a chi fugge da morte certa anche la speranza di rimanere in vita è sufficiente per affrontare il pericolo.
Questa volta votate secondo coscienza, non secondo l’ordine di scuderia. Abbiate la schiena dritta perché questa è una norma criminogena, mortifera”.

Com'è andata a finire?
Il decreto è passato al senato per la conversione in legge con 160 voti.
56 voti provengono dal partito promotore del decreto cosiddetto “Sicurezza Bis”. Partito del quale per ora l'unica sicurezza giuridica (ribadita ieri con sentenza della Corte Costituzionale) è la confisca di 49 milioni di euro in rimborsi elettorali utilizzati per fini illegittimi grazie alla falsificazione dei bilanci dal 2008 al 2010.
3 voti da altri senatori.
101 dai senatori del Partito dell'Onestà.
Centouno, cinquantasei.

In coscienza ed esperienza, io ritengo che la vera sicurezza, anche dal punto di vista psicologico, si fondi sul coraggio. Quello che trovi un una “base sicura”, giusto per citare l'amato John Bowlby.
Una sicurezza che nasce dalla fiducia in un legame forte, in una presenza che incondizionatamente è lì, con te.

  • Sono qui con te
  • Vedo che è dura
  • Io ti terrò al sicuro
  • E' normale, sentire questo
  • Ti ascolto
  • Cosa prova il tuo corpo, in questo momento?
  • Puoi dirmelo, se vuoi
  • Vuoi che elaboriamo un piano, assieme?
  • A volte le cose sembrano ingiuste

Altri sbraitano di minacce, paure create e alimentate ad arte, solo allo scopo di generare insicurezza.
Che è l'esatto opposto.
Che alla fine produce esattamente ciò che cercano: una sociopatia diffusa, dove ognuno si rinchiude egoisticamente entro i meccanismi difensivi della chiusura, del sospetto, del pregiudizio, della morte del senso morale.
E' molto più facile, comandare un popolo che hai ridotto in questo stato.

Otto Kernberg, Erik Erikson, Jean Piaget.
In questi tre autori - come in altri appartenenti al filone della cosiddetta “Psicologia dell'Io” - ricaviamo una descrizione del percorso di maturazione dall'egocentrismo infantile alla capacità generativa, tipica dell'età adulta.
In uno schema, è riassumibile brevemente così:

Foto
Da bambini prevale l'egocentrismo. E' vitale. E' darwiniano.
Se il bimbo piccolo non frigna quando ha fame-sete – pipì- popò- sonno ecc..., manco sopravvive.

L'adolescenza è l'età dei grandi sogni, dei primi innamoramenti. Si comincia a “uscire dal bozzolo” dell'egocentrismo. Ti devi impegnare, se vuoi che l'allenatore ti metta in squadra. Se non studi, non vieni promosso. Certo, le “quote in ingresso” di vitto e alloggio, ad esempio, devo venire ancora garantite. Dai genitori, obviously.

Solo nella maturità psicologica tipica dell'età adulta si diviene in grado di “prendersi cura” dell'altro. In una relazione di coppia stabile, ad esempio. O nell'essere genitore. O più semplicemente educatore, responsabile, caporeparto.

Vabbè, è ora di finire anche questo post.
Sempre troppo lunghi, mi vengono, mannaggia...

Che poi qualcuno, nonostante fosse in “missione per conto di Dio” e con fini assolutamente benefici (salvare un orfanotrofio) ci è davvero finito, in carcere.

Te li ricordi?

              - Everybody Needs Somebody To Love -

https://www.youtube.com/watch?v=CCTt4gvt6e4

0 Comments

ANGELI, DEMONI e SCIACALLI

20/7/2019

0 Comments

 
Foto
Tra le esperienze più drammatiche, in trent'anni di attività professionale, ascrivo sicuramente quelle in cui la persona che chiede aiuto è stata vittima di abuso infantile.

Non sono poche. Ho ben in mente decine e decine di casi. Anzi: di volti, storie, persone. Nomi, e cognomi. Genitori, e famiglie. Perlopiù, "perbene".

All'inizio non lo capivo: non mi spiegavo come, oltre al danno indescrivibile subito, con la derivante sequela di stati d'ansia, blocchi affettivi, relazionali e disfunzioni sessuali che si manifestano in età adulta, si aggiungesse la beffa del senso di colpa.

Senso di colpa, si. Non lo capivo, proprio.
Com'è possibile - mi dicevo - che una violenza così abominevole, "contro natura" agli occhi del senso comune generi anche, nella vittima, sentimenti del tipo: "La colpa è mia". "Fossi stato più buono, più brava, non mi sarebbe successo". "Se fossi stato migliore, mio papà/mamma/zio... non mi avrebbe fatto questo".

Qualche numero?
(Dati reperibili nel sito di Telefono Azzurro: http://www.vita.it/attachment/c5af4826-1b76-448b-b3d5-c0817344f31a/)

In Europa, quasi 18 milioni di bambini sono vittime di abuso sessuale.
Ogni 7 minuti una pagina web mostra online immagini di bambini abusati sessualmente.
Nel 2017 sono stati individuati 78.589 URL contenenti immagini di abuso sessuale su minori.
Oltre la metà delle vittime, il 55%, ha meno di 10 anni.
Si stima che l’abuso sessuale sui minori contribuisca all’insorgenza di disturbi psicopatologici: nel 23% dei casi le vittime di abuso necessiteranno di servizi di salute mentale e psichiatrici, anche nell’età adulta.

E l’Italia?
Nel 39,8% dei casi il luogo in cui si verifica la situazione è la propria casa, seguita da Internet con il 33,7% dei casi. Inoltre, il presunto responsabile della situazione d’emergenza che si verifica offline è nel 60% dei casi un genitore o un membro della famiglia.

Riscrivo, non è un errore di stampa: nel 60% dei casi un genitore o un membro della propria famiglia.

Dati disponibili oggi come allora, quelli sulla violenza intrafamiliare.
Ma continuavo a non capire.
Non tanto come mai il "demone" potesse risultare un genitore. Quello che continuavo a non capire era come la vittima non solo non riuscisse a parlarne, a denunciare, ma addirittura si sentisse in colpa. E - spesso - continuasse ad "amare" questo genitore. A rimanerne dipendente.
.
Non l'ho capito fino a quando l'esperienza e l'approfondimento dello studio nella teoria dell'attaccamento di John Bowlby mi hanno aperto scenari chiarissimi, concreti e radicati nella stessa programmazione genetica degli umani, dei mammiferi più in generale.

È noto a tutti l'esperimento di Harry Harlow con i cuccioli di scimmia. La cosa più sorprendente, messa in luce dagli studi successivi, è che anche quando il simulacro della mamma (quella ricoperta di stoffa morbida, dove i piccoli cercano rifugio e protezione) diventa respingente ed "abusante" tramite stimoli spiacevoli e dolorosi, i piccoli non se ne allontanano, anzi. Cosa apparentemente assurda, smettono ogni altro comportamento, incluso il gioco con i compagni e la ricerca di cibo, nel tentativo di recuperare quello che si presenta come il bisogno più vitale di tutti: l'attaccamento al "caregiver".

Ecco perché le squallide speculazioni politiche di questi giorni su vicende così delicate, nelle quali le indagini sono ancora tutte aperte, mentre i cultori del fango hanno già emesso giudizi, condanne e liste di proscrizione, mi generano un senso di indignazione. Di disgusto.

Per i fatti relativamente ai quali gli indizi verranno accertati, la condanna dovrà essere esemplare.
Non dubito sia possibile siano stati esercitati da qualcuno anche dei possibili sporchi affari.
Questo lo deve accertare, con rigore e gli strumenti adeguati, la magistratura.

Ma chi ha le competenze, allo stato attuale, anche solo per "mettere il naso" in questioni alle quali ci si deve avvicinare in punta di piedi, direi con un silenzio sacro pieno di rispetto, attenzione, intelligenza? E competenza, ripeto?

Per la cronaca: il dott. Claudio Foti, psicoterapeuta responsabile del centro "Hansel e Gretel", messo agli arresti domiciliari e additato nelle pagine social tra i "bastardi, criminali, da chiudere in galera e buttare la chiave" e chi più ne ha, più ne metta da parte degli odiatori professionisti di Internet, due giorni fa è stato scagionato dalle accuse, e liberato.

Doveva rispondere di abuso d’ufficio in concorso, e per aver "manipolato la mente di una bambina" durante le sedute di psicoterapia. Accusa, quest’ultima, venuta a decadere.

Ecco la sua intervista, cocessa ieri al Corriere della Sera: “Per fortuna il diavolo fa le pentole e non i coperchi, e la grazia del Signore mi ha consentito di ricordarmi che io quegli incontri li avevo registrati. Venti ore di filmati per 15 sedute mi hanno salvato” spiega lo stesso psicoterapeuta.
E quindi chiarisce: “Il tribunale ha preso atto del fatto che la mia terapia era basata sul rispetto empatico, che non vi erano elementi di induzione, né una concentrazione forsennata sull’abuso. Sono filmati inequivocabili: smentiscono clamorosamente le testimonianze contro di me, come quella della madre della ragazza, che ha cambiato le carte in tavola. Era stata lei a descrivere una situazione di abusi reiterati”.

Foti era stato accusato di essersi travestito da mostro (alcune fonti parlano di un lupo) per far paura ad una bambina. L’obiettivo sarebbe stato quello suscitarle falsi ricordi nei confronti dei genitori per toglierla a loro e affidarla, dietro compenso, a un’altra famiglia. “Un aspetto della ‘bufala’ nei miei confronti, è che mi hanno indagato per aver trattato una paziente come ‘una cavia’ - spiega al Corriere della Sera - La verità è che noi avevamo vinto un bando dell’Asl di Reggio Emilia, che prescriveva un’attività di formazione di un gruppo di psicoterapeuti della stessa Asl, i quali avrebbero dovuto assistere alle sedute in una stanza con una videocamera a circuito chiuso. Una modalità che si usa in tutto il mondo. C’era il consenso della madre e di tutti gli interessati. Non so davvero perché tutto ciò sia accaduto. Sono di orientamento buddista, credo che le persone della procura che mi hanno accusato siano state animate dal desiderio di cercare la verità. Ma talvolta, la verità, la si cerca in modo sbagliato. Hanno detto a noi che eravamo verificazionisti, eppure, forse, lo sono stati loro: hanno trasformato in teorema qualcosa che non c’era ”, aggiunge.

Foti lamenta un “danno di immagine enorme” fatto all’associazione Hansel e Gretel oltre che alla sua persona. “I pregiudizi si fossilizzano, sarà difficile uscirne. Ma ripartiremo certamente, prepareremo un documentario. Io scriverò un libro su questo, ho già iniziato. A 68 anni sarà il mio primo romanzo, finora ho pubblicato saggi. Proverò a tradurre cosa ho provato per un dovere di verità nei confronti di chi mi è stato vicino” conclude lo psicoterapeuta.

In realtà gli odiatori seriali, gli imprenditori del fango via Social, quelli che allo stato appena iniziale delle indagini gridano allo scandalo e seminano diffamazioni, denunciando come già accertati reati appena in corso di indagine, in realtà a costoro, di quelle creature, non gli importa nulla.
Com'è stato per i terremotati di Amatrice, com'è sempre per ogni sequela del benaltrismo ipocrita, ciò che interessa a questi avvelenatori dell'informazione è solo produrre squallido sciacallaggio politico.
Una volta al governo, questi Robespierre-solo-quando-sei-all'opposizione i terremotati li hanno lasciati là. E' toccato l'altroieri al presidente della Repubblica ritornarci, sui luoghi del terremoto, per non far sentire dimenticate le popolazioni, e sollecitare pubblicamente gli attuali governanti. Gli scandalizzati di ieri.

I bambini sono troppo importanti. Non solo per chi, come me, è genitore e/o si occupa professionalmente di loro.
Rappresentano anche, purtroppo, un tema politicamente troppo facilmente e frequentemente abusato.
Un tempo, per demonizzare l'avversario si diceva che c'era chi "mangiava i bambini". E qualcuno ci credeva pure.
Oggi li lasciano affogare tranquillamente in mare. Ma ormai di "cherry picking", attenzione selettiva e manipolazione dell'informazione, ne sanno anche i paracarri delle strade.

Ribadisco: se saranno accertate delle responsabilità, nel caso di Bibbiano, chi verrà condannato merita pene esemplari.
Altrettanto, i non pochi soggetti querelati per diffamazione sulle notizie inventate e strumentalizzate.

Io proporrei a Facebook un aggiornamento negli algoritmi. Credo non ci vorrebbe molto.
Un blocco automatico nella condivisione delle fake.
Bloccare utenti non è utile, personalmente non l'ho mai fatto e mi auguro di non doverlo mai fare, con nessuno. Ma una disinfezione dall'odio tossico, questo si, farebbe bene a tutti.
Proporrei una sanzione sulle accuse infondate e sulle notizie indimostrabili divulgate via Social. Non so come, chiedo aiuto ai giuristi che mi leggono. Ma - questo si lo so molto bene - il portafoglio, come San Francesco, ha il potere di ridurre i lupi in miti agnellini.

Nel paese dove vivo, tutti ricordano il caso di un artigiano e del suo furgoncino. Per scherzo o superficialità, due ragazzini un giorno lo indicano a una mamma come "pedofilo". Si scatena all'istante il tam-tam nei social. Mamme allarmate, angoscia a fiumi nelle chat di wharsapp, toni orgasmici nelle comunicazioni, odio nei gruppi Facebook, sputi, condanne e sentenze di esecuzione già emesse prima del tramonto. Auguri di roghi, sedie elettriche, decapitazione previa evirazione. Parte la caccia all'uomo.

Solo grazie all'esperienza dei carabinieri della locale stazione, e qualche buon consiglio, tutto si rivelerà nel giro di qualche giorno una bolla di sapone. Uno scherzo. Un fake.

Qualcuno immagina lo stato interiore di quell'uomo, della sua famiglia?
Ciò che deve aver vissuto?
Le conseguenze emotive, relazionali, professionali?

A chi non riesce a immaginarlo (credo pochi), o non  ha mai vissuto di persona qualcosa di simile, consiglio la visione del film "Il sospetto" (2012) di Thomas Vinterberg. Lo consiglio a chiunque, prima di continuare a scrivere o pubblicare qualcosa sui fatti di Bibbiano.

Dopo di ciò, non credo vedremmo molte condivisioni "alla cieca" di post preconfezionati ad uso frettolose accuse infamanti. Soprattutto in un campo, lo ripeto con Alberto Pellai, dove serve una delicatezza, sensibilità e rispetto estremo. E competenza, tanta. Perché si maneggiano dosi di dolore inimmaginabile.
​Tutto ciò, ovviamente, vale in primis per gli operatori del settore.

Come lo finisco, questo scritto?
Sarà perché in questo momento ho uno splendido mare davanti allo sguardo, scelgo dei versi di Nazim Hikmet:

“Vivi in questo mondo
come nella casa di tuo padre:
credi al grano, alla terra, al mare,
ma prima di tutto credi all'uomo.

Ama le nuvole, le macchine, i libri,
ma prima di tutto ama l'uomo.
Senti la tristezza del ramo che secca,
dell'astro che si spegne,
dell'animale ferito che rantola,
ma prima di tutto senti la tristezza 
e il dolore dell'uomo.

Ti diano gioia
tutti i beni della terra:
l'ombra e la luce ti diano gioia,
le quattro stagioni ti diano gioia,
ma soprattutto, a piene mani,
ti dia gioia l'uomo!"


- quando sarai grande -  

0 Comments

ROLLIN'ON THE RIVER

4/7/2019

0 Comments

 
Foto
Fusina. Imbarco del vaporetto.
Sto per andare a trovare un caro amico, dall'altra parte della laguna.
Ho una quarantina di minuti di navigazione. E qualche pensiero sovrannumero, che svolazza nella testa. Provo ad acchiapparne qualcuno, in forma scritta.
Mi è sempre piaciuto, il tempo lento delle barche.
 
Il tema della visita mi riporta a uno degli insegnamenti universitari che più ho amato: Psicologia Fisiologica. Oggi, trent'anni dopo, nell'era delle neuroscienze, ne sanno anche i bambini.
 
No, non è in vacanza, il mio amico. Non si trova al mare per villeggiatura.
Il Lido di Venezia, oltre che per il Festival Internazionale del Cinema, è noto anche per il San Camillo.
“Ospedale riabilitativo, istituto di ricovero e cura a carattere scientifico”. Così nell'intestazione.
 
Socchiudo gli occhi mentre il battello si sgancia dalla banchina, e questo andar molle mi conduce sottofondo entro le pagine di Mark Twain. Dove i piroscafi davvero andavano a vapore.
"Sulla terra ferma ci vogliono 40 anni per conoscere tanti tipi umani; a me in nave bastarono i due anni e mezzo di apprendistato. Quell'addestramento mi ha consentito di conoscere praticamente tutti i tipi umani che si ritrovano nei romanzi, nelle biografie, e nei libri di storia".
Così scrive in “Vita sul Mississippi”. Siamo nel 1885.
 
So che troverò il mio amico seduto sulla panca, all'ombra di quell'albero. Nel primo ospedale è entrato tempo fa. In barella, praticamente paralizzato. Reso tetraplegico da un virus.
Tetraplegico.
Ora cammina sulle proprie gambe.
Lo scorgo, è là. Già mi sorride. In due mesi, ha fatto passi da gigante. La grinta, lo scrupolo nell'applicarsi alle cose, la precisione e la determinazione non gli sono mai mancate. E' uno tosto, davvero.
 
Che meraviglia, il corpo umano. E il sistema nervoso, ancor più intrigante, nei suoi fini meccanismi. Per non dire di quello immunitario. Che a volte “impazzisce” per delle strane reazioni di esagerata autoimmunità. Un eccesso di meccanismi di difesa, in altre parole. Il corpo che aggredisce se stesso.
La faccenda è che questi sistemi non operano isolatamente. Vivono di dinamiche che interlallacciano “hardware” e “software” attraverso la chimica dei neuromediatori, la potenza delle emozioni, la programmazione genetica inscritta nel DNA.
E la tossicità dei virus, talvolta.
 
Anche i sociologi parlano di un corpo. Il “corpo sociale”.
Ah... che dolore.
Si, penso a questi tempi. Alla comunicazione via Social. All'astio, alla nevrosi da tastiera. Alle fake news, ai fotomontaggi, alle diffamazioni su fatti poi smentiti a livello giudiziale.
Vedo persone stimabili nel proprio lavoro, amici anche impegnati nel volontariato, insomma, “bravi ragazzi” quando li conosci di persona, che poi passano il tempo a intasare il web con post-spazzatura. Notizie tendenziose, scandalistiche o parziali, generate ad hoc da siti dediti - tra l'altro - a quella sporca operazione che è il “riciclaggio dei followers”. Nel solo mese di maggio scorso Facebook ha chiuso in Italia 23 di queste pagine. Ne risulterebbero attive ancora più di un centinaio, con 18 milioni di seguaci iscritti. Insomma, una pandemia di falsità, veri e propri virus tossici nel vivere civile. Quale l'effetto? Un alimentare ad arte le emozioni primarie della rabbia e del disgusto. Esito inevitabile: una conflittualità comunicativa sempre più dilaniante, un'incapacità di coltivare e approfondire un pensiero, di documentarsi, di studiare.
 
Cui prodest – a chi giova – tutto ciò?
La risposta, già che siamo nel “latinorum” proviamo magari a cercarla nell'altro detto: “Divide, et Impera”. L'hai mai sentito?
Maggiore l’incompetenza e l’arroganza dei governanti di turno, tantopiù massiccio il ricorso a questa strategia.
Historia Magistra Vitae.
  
Il mio battello, ora che si fa sera, sta rientrando – pigro - al molo di partenza.
Fusina, di nuovo.
Terraferma veneziana. 
 
C'è uno splendido tramonto, nella laguna. Una sfera infuocata si sta tuffando dietro i Colli Euganei, laggiù, in lontananza.
Chissà se le albe di New Orleans conoscono qualcosa di simile.
Magnifico spettacolo. Allarga il cuore. Anzi, lo allaga.
 
Anche Mark Twain  non ebbe vita facile. Orfano di padre, perse il fratello in un incidente col battello, lungo il grande fiume. Ne “Le Avventure di Tom Sawyer", il protagonista è ragazzino molto irrequieto e vivace.
Chissà perché…
Un figlio malato gli morì precocemente.
Così poi altre due figlie su tre, anch'esse sofferenti di gravi malattie (cosa non rara, a quell'epoca).
 
Il mio amico tra un pugno di giorni lo rimanderanno a casa, nella sua famiglia. Gioia infinita.
Si, ce l'ha fatta. Grazie a tanto impegno, fatica. A buone cure. A tanta fisioterapia mirata.
E a un gruppo formidabile di amici, che lo hanno sempre sostenuto.
E quando scrivo “sempre”, tu leggi, mi raccomando: “h24, di-giorno-e-di-notte”. Sempre.
Questa, è solidarietà. Questa, è coesione sociale.
 
Guariranno mai, invece, i compulsivi tossici e virulenti piccoli “leoni da tastiera”?
Qualcosa ci libererà da queste lacerazioni sociali, fonte solo di paralisi civile?
 
Il nevrotico vive “in funzione dell'altro”, ricorda Freud. 
Non è facile, rinunciare a una dipendenza così forte.
 
Ricordo una canzoncina, che cantavamo da giovani. Magia di quegli anni.
Ora, mentre smonto da questo quasi-piroscafo, una nuova consapevolezza si è aggiunta al grande fiume dei pensieri. Che continua a fluire, ininterrotto, nella mia mente.
 
Più che un pensiero, questa è però una consapevolezza. Un’esperienza.
E’ la solidarietà che questo straordinario gruppo di amici ha dimostrato.
 
Giorno e notte, notte e giorno.
Come un lungo fiume, ininterrotto.
 
- conosco un'altra umanità -


0 Comments

CALA TRINCHETTO

7/6/2019

0 Comments

 
Foto
“El gà perso i sentimenti!”
Proprio questa - testuale - è la frase che l'infermiera ha rivolto al mio amico, ricoverato per un piccolo intervento, nel momento in cui stavo uscendo dalla sua stanza di ospedale e ho preso la porta dell'armadio.

Vabbé. Parliamo di politica.
Si chiama “Sentiment Analysis”.

Funziona così: c'è un gruppo di operatori pagati per questo. Generalmente sociologi, psicologi, esperti di linguistica, informatici. Anche se il profilo ideale potrebbe essere l'esperto in scienze della comunicazione.

Allora: 'sto manipolo di ficcanaso (Freud parlerebbe di “sublimazione dell'impulso scoptofilo”; in pratica: guardoni remunerati) passa il tempo a leggere i post della gente nei Social, annota scrupolosamente tendenze, opinioni-che-vanno-per-la-maggiore, banalità ricorrenti, dai gattini che ballano alla nutella nelle brioches.
Insomma: redigono la classifica di cosa la gente pensa. Di ciò che alla gente piace.

“Perché?”
“Perché qualcuno li paga, che domande fai?”
“Perché li paga?”
“Perché vuol sapere cosa la gente pensa, te l'ho appena spiegato, sei rincitrullito del tutto?”
“E che se ne fa, di cosa piace alla gente?”
“Se ne fa che poi vanno a raccontare alla gente esattamente ciò che la gente vuol sentirsi dire, piccolo babbeo!”
- Te go dà del babbuino, se no teo ghé capìo -

“Aahnn... insomma: quello che i Greci chiamavano “demagogia”, praticamente...”
“Bravo, piccolo, bravo: “δημαγωγία”. Da: demos, "popolo", e aghein, "trascinare". La pratica politica tendente a ottenere il consenso delle masse lusingando le loro aspirazioni.”

“Ascolta: ma... chi li paga, questi “ficcanaso”?”
“Chi vuoi che li paghi, babbione! Io e te, li paghiamo. La gente, li paga...”
“Come non ne avessimo abbastanza, di tasse...e poi ci raccontano che vogliono abbassarle!”

“Sentiment Analysis”.
Alla fine, tuttavia, è solo una porzione della realtà.

Voglio dire: di quella vera, vissuta fuori dai "Social".
Funziona come propaganda, non come promozione del benessere.
E' un'illusione di consenso.


Gettiamo uno sguardo ai dati effettivi delle ultime elezioni europee, quelle di meno di un mese fa.
Facciamolo considerando tutta la popolazione effettivamente avente diritto al volto; non solo la percentuale di chi si è recato alle urne.

Foto
Allora:
  • partito del non-voto 46%
  • partito della bandiera verde (anzi, no, aspetta, adesso non l'avevano tinta di blu?) 18%
  • partito della bandiera arancio 12%
  • partito della bandiera gialla 9%
  • altri: insignificanti.
Insomma: a guardare i numeri reali, confrontati con i proclami dei “vincitori”: tanto fumo, poco arrosto.
E che dire della rapidità con cui il popolo un giorno ti innalza, l'altro ti crocifigge?

Buffi, quelli che confondevano il presunto desiderio di “onestà” della popolazione media con l'impulso vendicativo e distruttivo, cioè la modalità primaria di espressione della frustrazione.
Astio peraltro ben alimentato via Social da agenzie appositamente create a diffondere fake news, diffamazione e squalifica. Ad hoc.

“Vuoi dirmi che fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce, come quel proverbio che la maestra Faccini (sempre lei!) ci insegnava alle elementari?”

“Eh, magari crescesse qualcosa nella coscienza civile, Babby mio. Qua mi sa che se non ci diamo una svegliata, finiamo come la foresta della Val di Fiemme dopo il tornado dell'ottobre scorso. Sempre più spolpati. E disgustati. E inviperiti l'uno contro l'altro. E, purtroppo, economicamente schiantati.”

              - es un sentimiento nuevo che mi tiene alta la vita -


0 Comments

SCORZA & POLPA

23/5/2019

0 Comments

 
Foto
Ci sono le elezioni.
Anzi, le votazioni. Giorni di passione.
 
Tra le persone incontrate ieri - vuoi per strada, vuoi in un ambulatorio, in una corsia d'ospedale, in uno studio, non ha importanza - qualche spezzone di dialogo:
 
“Sàeo, dotòre, me sento tanto sola. Da quando che sò vedova… A casa, no so còsa fare. Eòra tàco ea teèvision.... e me piaxe scoltare... (cita l'attuale Ministro dell'Interno) el parla ben. El parla tanto. Ma... dopo penso: chèl faxa dàvero tùte chée robe chel dixe? Mah... eù, còsa dixeo?”.
 
Altra situazione:
“Una migliore amica? Si, ce l'avevo. Mi è stata tanto vicina, quando ho avuto la seconda operazione, per la recidiva. Tanto, tanto vicina. Poi, abbiamo litigato. Di brutto.”
 
“Ah, una brutta litigata. Forse, un motivo grave?”
 
“No, una “monàda” (stupidaggine), tutto sommato. Bah... era diventata... (cita il partito di un famoso comico). Io, invece, sono sempre stata di sinistra. Si è fatto impossibile parlarci. Adesso, però, che le hanno diagnosticato un carcinoma al quarto stadio, vado a trovarla tutti i giorni.”
 
Tralasciamo poi le zuffe via social: le descrizioni cliniche sono superflue.
 
Cos'è che muove tante emozioni? In nome di che, si è in grado di rompere amicizie, scatenare liti familiari, far smettere alle persone di parlarsi?
 
Un'idea politica.
Potremmo pensare si tratti di un'operazione del pensiero.
Di quel “software”, in altri termini, che ci differenzia dagli animali, dai mammiferi inferiori, dalle lucertole. Insomma, roba della corteccia cerebrale, quell'area del cervello tipica degli umani. Quella che ci fa risolvere le equazioni matematiche, andare sulla luna, costruire i bolidi della Formula Uno, scoprire le meravigliose leggi della biologia...
 
E invece, no.
E invece, no!
(“E invece, no”: questa l'aveva scritta e la cantava, prima di Coez, Edoardo Bennato, nei primi anni '80. Un bel reggae blues, davvero).
 
Invece, no: non è questione di corteccia, di “scorza”, bensì di polpa.
Il sistema limbico, il “cervello delle emozioni”.
 
Paul MacLean, un neurofisiologo americano, negli anni '70 del secolo scorso lo aveva chiamato “cervello mammifero”. Altri autori come Damasio, portoghese e Joseph Ledoux, statunitense, negli anni successivi hanno perfezionato e approfondito questi studi. Specialmente in relazione ai comportamenti legati all'ansia e alla paura.
 
Il cervello delle emozioni: sistema limbico, amigdala, ippocampo, bulbi olfattivi, ecc...
Ci arrabbiamo, discutiamo, prendiamo posizione più per confermare il nostro senso di identità e di appartenenza, che per l'effettiva competenza su questioni complesse: politiche, sociali, demografiche, sanitarie.
 
Siamo tutti ignoranti, in campi diversi. Ammettiamolo.
A volte chiediamo consiglio: “Tu, cosa voti?” a confermare un bisogno di sicurezza che è il primo, a livello evolutivo. Dal neonato al malato terminale: un legame sicuro, ci serve. Ci sostiene. Ci rincuora.
 
La polpa, e la scorza.
Una dura lotta. Sentimenti e passioni, vs. ragionamenti e pensieri.
 
Il pensiero.
Dove abitano i filosofi. Anche quelli della politica.
Già: primo di tutti, il buon Aristotele. Che descriveva l'arte della “Polis” (amministrazione della città) come ricerca del Bene Comune.
 
Ah, che bei ricordi al primo anno di università: la politica come finalizzata alla filosofia: deve creare le condizioni per coltivare la scholè (tempo libero) e le attività teoretiche, tra cui la matematica, la fisica, lo studio del cielo...
 
Nel corso della storia, poi, parole come "democrazia", "politica", "tirannide" sono andate assumendo significati diversi, rispetto all’originario pensiero greco. Una revisione radicale, che si sviluppò nel Rinascimento, con Niccolò Machiavelli, prima, e Thomas Hobbes, in seguito.
Per i Greci, le questioni del potere e del controllo erano marginali. La comunità (koinonia) era tutto.
Lo scopo ultimo della politica era di conseguire "il bel vivere". A differenza dei tempi odierni, non si sperimentava quel conflitto fra società e individuo che è causato dalla distanza fra chi governa e chi è governato.
 
Epperò mentre i politici in tv e nei Social parlano di Europa, reddito, TAV (no, quella adesso basta, non più…) il nostro “cervello-polpa” tende a registrare questa posizione: “Dove mi sento a casa?”. “Qual è la mia squadra?”.
 
Insomma, domenica andremo a votare. E da mezzanotte o giù di lì, qualcuno comincerà (Yahùu!) a cantar vittoria, altri a dire che non hanno perso, altri che non-hanno-vinto-ma-vuoi-mettere-come-poteva-andare?
 
Vabbé, sai che ti dico?
Che ho scritto un post inutile.
 
Si, perché sia chi come me voterà il partito che cinque anni fa ha preso il 40% dei voti e stavolta forse ne raccoglierà la metà, sia chi esulterà per un risultato domenica (forse) simile, a poco gli serviranno i festeggiamenti o le consolazioni del lunedì.
 
Perché?
Non tanto perché sarà la legge dell’economia, dei risultati effettivamente raggiunti a fronte delle balle raccontate, a dimostrare la realtà.
Non tanto perché le percezioni (specie in politica) mutano rapidamente, e la “polpa” ha date di scadenza più ravvicinate di quelle della “scorza”.
 
Quanto perché ci saremo tutti – quelli troppo impegnati a litigare – dimenticati del partito maggiore. Quello che non ha sedi. Non ha loghi. Non ha leader. Non ha profili social. Non scende mai in piazza. Non ha un programma e non ha neppure un manifesto affisso in giro. Non ha nulla e non fa nulla, ciononostante è il primo partito, quello con la più alta percentuale di giovani tra le sue schiere, in costante crescita, in Italia e in tutte le democrazie occidentali: il Partito dell’Astensione.
 
Vuoi un nome?
Uno, su tutti?
Carl Gustav Jung.
Senti cosa scrive, nel comunicato stampa in occasione di una visita negli Stati Uniti (4 ottobre 1936):
 
“Voglio sottolineare che disprezzo la politica di tutto cuore: non sono né un bolscevico, né un nazista, né un antisemita. Sono uno svizzero neutrale e perfino nel mio paese non mi interesso di politica, perché sono convinto che per il novantanove per cento la politica sia solo un sintomo e che tutto faccia tranne che curare i mali sociali.
Circa il cinquanta per cento della politica è detestabile perché avvelena la mente del tutto incompetente delle masse. Ci mettiamo in guardia contro le malattie contagiose del corpo, ma siamo esasperatamente incauti riguardo alle malattie collettive – ancora più pericolose – della mente.
In un’atmosfera come questa, politicamente avvelenata e surriscaldata, è diventato praticamente impossibile condurre una discussione scientifica sana e spassionata su questi problemi così delicati eppure estremamente importanti. Discutere pubblicamente questi problemi avrebbe più o meno la stessa efficacia di un direttore di manicomio che si mettesse a discutere le particolari fissazioni dei suoi pazienti proprio in mezzo a loro.
Vedete, il fatto tragicomico è che tutti sono convinti della loro normalità, esattamente come il dottore stesso è convinto del proprio equilibrio mentale”.
 
Io invece, per una volta - una sola volta - vorrei domenica sera vedere smentito il grande Gustav Jung, rispetto alle sue idee sulla politica.
 
E’ vero, si: servirebbe un’esca.
Tipo un frutto appetitoso. Buccia aulentissima, e succo prelibato.
 
Come dici?
Che in questo clima inacidito e odioso, manco il serpente tentatore dell’Eden, quello di Adamo ed Eva, ce la farebbe?
 
Forse hai ragione.
 
   - cogli la prima mela -


0 Comments

SESSO, DROGA e PROFITEROL

11/5/2019

0 Comments

 
Foto
È una dipendenza, lo so.
E pesante, pure.
So anche di chi è la colpa. Tutta, senza sconti: del rinencefalo.

Che non è un mostro dell'era glaciale, ma una struttura del cervello. Quella deputata al sistema olfattivo. Nei mammiferi evoluti come noi umani siamo, ha più a che fare con i circuiti delle emozioni, la memoria e il desiderio sessuale, che con le scadenze dell'accoppiamento stagionale.

L'ex Motoemporio.
Il negozio di ricambi e accessori che per noi adolescenti rappresentava una vera e propria meta di pellegrinaggio. A metà degli anni '70 lo ricordo in via Beato Pellegrino, a Padova, sotto i portici.
I ricordi che ho, anche degli odori, e dei profumi?
La prima morosetta, che lì aspettavo all'uscita della scuola: un centinaio di metri dietro l'angolo. Il luogo prescelto per l'appuntamento. Rigorosamente in moto, per accompagnarla alla stazione delle corriere.

Ci ripasso davanti ieri mattina.
Dagli anni '90 si sono trasferiti in altra zona della città, più accessibile ai meccanici che giungono dalle periferie. “Motoricambi 2000”, così avevan già mutato il nome, in una chiave futurista che i radi capelli bianchi di un paio di commessi al banco - ancora gli stessi - hanno già reso preistoria.
D'altronde, son trascorsi quarant'anni.

Insomma: ci passo davanti, e non so resistere.
Con il più infantile dei pretesti, a mascherare curiosità e nostalgia, entro.
Allo scopo di “buttare un occhio”.

Rimango ipnotizzato, all'istante.
Le candele della Bosch, gli olii Bardhal, i caschi Nolan.
Tutto come una una volta. Gli scaffali di metallo, la disposizione, le etichette. Esattamente come le ricordavo. Addirittura una scritta, mitica, all'estrema sinistra, quarto calto dal basso: "Lambretta". Per i fanatici del vintage, vale da sola un orgasmo.
Su tutto, un profumo di gomma vulcanizzata, che promana dalle Michelin accanto all'ingresso. Le Pilot per le supersportive, le Anakee dedicate alle tuttoterreno, le City Grip per gli scooter, agili aurighe nel traffico urbano.

“Cosa ti serve?”
“Ah... niente, una canna.”

“Una... che?”
“... per la benzina ... quella del carburatore.”

“Ahn... che moto?”
“Eh... un... un... Morini.”
“Ah. Nera, o trasparente?”
“Trasparente.”

Ovvio che ieri mattina non mi serviva un cavolo di niente, ma a quel punto, che puoi dire?
Qualcosa bisogna pure inventarsi.
Pago due euro per un metro di cannuccia di gomma, diametro 6 mm. (però, che buon profumo, anche questa!) ed esco.

Mi scopro a sorridere. Mi sento leggero. Quasi come sospinto dalle onde alfa dell'elettroencefalogramma. Quelle della veglia a occhi chiusi, di certi stati d'estasi.

E' potente, il rinencefalo.
Negli animali, tramite l'olfatto, modula i comportamenti di avvicinamento e fuga, via amigdala.
Attraverso le sue strutture si incrociano, mescolandosi, le emozioni più profonde. Da quelle darwiniane della paura e della rabbia, fino ai labirinti del desiderio e dell'attrazione. Lungo autostrade neuronali che conducono alle aree prefrontali della corteccia cerebrale.
Desideri, e paure. Le chiavi di intonazione di quella musica che è la vita.

La paura. Il motivatore più potente dei comportamenti umani.
Vabbè, mica serviva un Premio Nobel per capirlo, no?
Che poi qualche politico trombone, magari ministro della Repubblica, uno di quelli che accendi il telegiornale e son lì ogni giorno che bla-bla-blaterarno (sempre le stesse cose) mattina, mezzogiorno e cena, se ne serve - della paura - fino all'indigestione.
Pare ne abbiano bisogno ogni giorno, di una diversa.
Ma risolverli, i problemi, invece di gonfiare le angosce e le difficoltà della gente, no?

Si, lo so: i “like” e i “selfie” sono dopaminergici. In sostanza, hanno un effetto euforizzante, simil-cocaina. E danno dipendenza. Salvo poi che la stessa gente che oggi ti osanna, un domani ti appende a testa in giù, come quasi sempre è avvenuto nella storia.
Che poi, ad ascoltarli e vederli in certi servizi telegiornalistici, questi tromboni, il rinencefalo mi trasmette un messaggio inconfondibile: puzza-di-falso, puzza-di-falso, puzza-di-falso!

E allora sai cosa faccio, compulsivo?
Rischio, io, un'altra dipendenza.
Si, perché spengo all'istante la tv, e mi dirigo al frigorifero.
Accalappio un dolcetto, o la deliziosa stecca di cioccolata, che mai deve mancare.
Per compensazione, si, ohibò! Purtroppo!
Tra gli ingredienti della cioccolata trovi la tirosina, un precursore della dopamina, della serotonina e della noradrenalina. Tutti neuromediatori implicati nel tono dell'umore.
In sostanza, antidepressivi naturali.

Che ci posso fare?
Che con quelle facce che mi mettono al TG, a ogni ora, ne ho davvero un gran bisogno.

Mica posso ripassare, ogni nuovo giorno, da Motoricambi 2000...


- cacao meravigliao -


0 Comments

PIETRA, MUSICA, POESIA.

2/3/2019

0 Comments

 
Foto
In questa città, di nuovo. Per un convegno di studio.
Qui, però, non un mero centro storico.
Non un agglomerato urbano.
Un museo a cielo aperto, piuttosto.
Una galleria d'arte e architettura, h24.

Lo sapevo.
Lo rivivo, ogni volta.
Ad ogni passo.

In aula, discorriamo dei labirinti del pensiero, quando attraversano i continenti della sessualità.
Di ossessioni, compulsioni.
Di farmaci, neurobiologia.
Legami di attaccamento; magari terapeutici.

Poi esco. Mi tuffo nei vicoli, direzione Santa Croce, e par che dietro l'angolo potrebbe sbucarmi Dante, l'Alighieri.
O dentro quella bottega, il Cimabue, all'opera.
E Michelangiolo, che lo scalpello adopra quasi il crine sulla viola.

Allora un'idea mi salta di sponda.
Penso che questo marmo intoni una nota.
Forse la prima di un canto.

Il testo?
Racconta di uno sguardo.

Costretto immobile, per generazione.
Sanza gravità né labirinti, pe' desiderio.

       - per questo canto una canzone triste -


0 Comments
<<Previous
Forward>>
    Immagine

    Noneto Circin

    La parola, il suono, l’immagine, sono l’oggetto dei miei interessi nel tempo libero. 
    A volte, tentano di diventare voce. 
    Nella scrittura, nella musica, nella fotografia. 
    Per passione, per divertimento.
    Insomma, per una delle cose più serie nella vita: il gioco. 
    Tramite i tasti di un pianoforte, una penna che scorre veloce, le lenti di un vecchio obiettivo. 

    Clicca per impostare il codice HTML personalizzato

    Archives

    Agosto 2022
    Luglio 2022
    Febbraio 2022
    Gennaio 2021
    Dicembre 2020
    Novembre 2020
    Ottobre 2020
    Settembre 2020
    Agosto 2020
    Maggio 2020
    Aprile 2020
    Marzo 2020
    Dicembre 2019
    Ottobre 2019
    Agosto 2019
    Luglio 2019
    Giugno 2019
    Maggio 2019
    Marzo 2019
    Dicembre 2018
    Settembre 2018
    Luglio 2018
    Giugno 2018
    Maggio 2018
    Febbraio 2018
    Gennaio 2018
    Dicembre 2017
    Ottobre 2017
    Giugno 2017
    Marzo 2017
    Febbraio 2017
    Gennaio 2017
    Dicembre 2016
    Ottobre 2016
    Agosto 2016
    Giugno 2016
    Aprile 2016
    Marzo 2016
    Gennaio 2016
    Dicembre 2015
    Ottobre 2015
    Agosto 2015
    Luglio 2015
    Giugno 2015
    Marzo 2015
    Febbraio 2015
    Gennaio 2015
    Settembre 2014
    Luglio 2014
    Aprile 2014
    Ottobre 2013
    Settembre 2013

    Categories

    Tutto

    Feed RSS

© copyright dei fotogrammi protetto nei dati Exif 
nonetocircin@gmail.com