Convinzioni etiche, appartenenze politiche, credo religioso.
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“Ancora oggi la sua faccia, il suo sorriso, sono l'icona del jazz.
Non a caso tra i tanti soprannomi che gli vennero affibbiati, quello che è rimasto di più è Satchmo, l'abbreviazione di satchel-mouth, come a dire che aveva una bocca grande quanto una borsa!
Armstrong era naturale ed entusiasmante in tutto.
La scelta di ogni singola nota è sempre stata originale e al tempo stesso spontanea. E ciò probabilmente si deve anche al fatto che venne su tra la strada e l'orfanatrofio.
Peraltro la James Alley Street di New Orleans, dove Satchmo viveva, assomiglia tanto a uno dei vicoli della Saúde, il quartiere popolare di Rio dove, a inizio Novecento, arrivarono gli ex-schiavi di Bahia.
Armstrong ha ricevuto molto affetto da parte del pubblico. E' l'affetto che si tributa a chi fa poesia e al tempo stesso ci diverte. E lui, quando si inchinava al momento degli applausi, proiettava l'immagine di un uomo sinceramente felice. Dietro al suo sorriso c'era sempre l'anima di un orfanello molto sveglio, quella di un ragazzetto cresciuto nel vicolo Alley a New Orleans che ha dovuto imparare in fretta come cavarsela”.
(Stefano Bollani: Il monello, il guru, l'alchimista e altre storie di musicisti)
Alba invece è un'adolescente anomala, per l'era digitale.
Una figlia desiderata e voluta.
Almeno all'inizio.
Si, perché mamma e papà, prima di separarsi e vivere adesso in guerra bellicosa, l'avevano davvero cercata in tutti modi.
Entrambi sulla quarantina – si sa come al giorno d'oggi la conclusione degli studi prima e la ricerca di un lavoro minimamente stabile poi non consenta progetti di genitorialità negli anni biologicamente più fertili – avevano finalmente deciso di dar corpo al loro sogno.
Altre volte non si tratta di ragioni di studio o lavoro, ma di spazi e tempi da coltivare per “non legarsi subito troppo” e tirare a godersi quella cosa che chiamiamo libertà, o simulacri di essa.
La gravidanza, tuttavia, non si realizzava.
Non tutto si dimostra sempre così responsivo come un “click” del mouse.
E più una cosa più ti sfugge, più assume un valore irrinunciabile.
Allora visite, analisi, consulti medici, cliniche.
Andirivieni della speranza verso un algido laboratorio elvetico. Pareti lindo color ghiaccio intarsiate da fregi rosso scarlatto.
Alba, gioia di mamma e papà, è infine scesa tra le loro braccia.
Aveva quindici anni quando l'ho incontrata.
Mi è da subito apparsa una ragazza fuori dal comune. Due occhi da cerbiatta, curiosa e timida al tempo stesso. Il sogno nel cassetto, la musica. Affermarsi cantante pop.
Mi ha impressionato il suo cambio di atteggiamento non appena ho fatto accomodare la madre in sala d'attesa, dopo le presentazioni iniziali.
L'introversa ragazzina mi si è d'incanto metamorfizzata in un torrente di emozioni sciolte e di parole. Sofferte e grevi, la maggior parte.
Nell'espressione di quegli occhi che cercavano una sponda, una Base Sicura, sentivo risuonare gli echi del “rivo strozzato che gorgoglia”, quel “male di vivere” che un poeta genovese ha così tangibilmente saputo descrivere. Un Nobel. Eugenio Montale.
Com'è possibile – continuavo a chiedermi – che una creatura così ardentemente sottratta al nulla da un iniziale vivo desiderio di paternità e maternità, si trovasse ora perduta – anzi abbandonata, che è notte ben più buia – in un limbo senza scopi, né significati?
“Mia mamma, che quell'età è da vergognarsi, è sempre attaccata a quel dannato smartphone. Giorno e notte. Se lo porta anche in bagno. Che io ci sia o non ci sia, è irrilevante. Ho definitivamente rinunciato, a parlarle di me”.
Eppure in qualche modo, quella donna che l'attendeva ora in sala d'attesa – è vero, a smanettare Whatsapp – una forma di interesse o premura per quella figlia doveva pur nutrirlo, se non altro per averla condotta da uno psicologo.
Ma la relazione tra loro si era, davvero, drammaticamente interrotta.
Quando la piccola adorata bamboletta è uscita dall'infanzia - farfalla che si rivolge in bruco dentro quella nemesi oscena che a tratti è l'adolescenza - ha cominciato a “deludere” sua madre.
O meglio: il narcisismo di mamma Giovanna.
Ha fatto tanto male anche alle sue ferite di abbandono, certo, che pure il marito Fernando se n'era andato.
Una sofferenza che tentava di edulcorare dietro i cosmetici e i prodotti di bellezza che continuamente acquistava via Amazon, o ebay. Un'invocazione di soccorso, anche questa, a saperla leggere.
Ripenso spesso agli scritti di François Dolto, illuminata psicanalista infantile francese, laddove descrive i “figli della notte” contrapponendoli ai “figli del giorno”.
I figli della notte sono le proiezioni dei desideri dell'Io genitoriale, il suo prolungamento. Illusorio, mitico, enfatizzato.
Ambizioni chiamate desideri, talvolta “diritti”, da parte di un adulto che vive il bisogno di “avere” un figlio.
I figli del giorno sono quelli che affrontano la vita a partire dalla loro identità reale.
Limiti/ambivalenze/contraddizioni comprese.
Ti accorgi che in qualche modo, da qualche parte, deludono sempre.
Inevitabilmente, come dazio inesorabile, quando s'innesca l'adolescenza.
Ma possono aiutare anche padre e madre a crescere.
Genitore si diventa proprio attraverso questo tragitto, ad ostacoli e controcurve.
Certo la Dolto era particolarmente dotata, riusciva magicamente a parlare con i bambini nel loro linguaggio o nel loro “non-linguaggio”:
“Ma in un bambino che non parla, come riconosci il senso di solitudine che si impadronisce di lui all’improvviso?”
“Non so come. Lo sento”. Risponde lei.
Quasi come fosse un dialogo fra i due mondi dell’inconscio.
Capii solo nello svolgersi dei colloqui successivi come sotto la pelle di Alba si celassero gli artigli di una tigre. Non ci sarei mai arrivato, se piano piano non fosse stata lei stessa a confidarmi la vastità della sua ferita.
Colpisce la sua acrimonia nei confronti di chi nei Social difende la "genitorialità ad ogni costo".
Impressionano i link che mette nella sua pagina Facebook a un immenso cantante-attore milanese, da non molto scomparso. Tipo questo:
https://www.youtube.com/watch?v=G5AXtjOMXxc
“Non insegnate ai bambini, la vostra morale...”
Decisamente “fuori moda”, per un'adolescente.
Grande, Unica, tenera Alba!
Alba, Giovanna e Fernando sono nomi di fantasia per decine di situazioni vere.
“Sachmo-Luois”, era il jazz immaginario, il jazz ideale. Il jazz che tutti possono ascoltare, che sta simpatico a tutti. Il fraseggio così melodico di Armstrong non è stato mai più riprodotto, né con la tromba, né col piano, né con qualsiasi altro strumento.
A dire il vero uno ci è riuscito, ed è lo stesso Armstrong, con la sua voce”.
Alba non ce la faceva a personificare la “Figlia ideale” che i suoi genitori tanto avevano desiderato. Il suo insuccesso scolastico - assurdo per lei davvero così intelligente e sensibile - stava a sancire l'unico modo rimastole per poter gridare: “Io ci sono!” “Vi accorgete di me, si o no?”.
Che Alba sia stata concepita in modo naturale, tramite una fecondazione assistita con il seme dell'allora marito, o tramite uno sconosciuto “donatore” che ora porta i suoi passi in giro per il mondo incrociando nella reciproca ignoranza i volti di chissà quali e quante altre sue figlie e figli biologici, non emergerà in questo racconto.
Non è questo l'essenziale, per leggere i bisogni emotivi più profondi che Alba porta irrisolti e insoddisfatti dentro di sé.
Satchmo, Alba: da voi ho imparato più che da mille libri.
Più che da cento esami universitari.
Una cosa semplice, peraltro: che l'obiettivo vero nella vita, la felicità, il “riff” più originale, è risultare semplicemente la miglior Bella Copia di se stessi.
Di “brutte copie”, di stampini genitoriali fragili e stereotipi, padri/madri omo/etero alla “Hungry Hearts” o semplicemente cinquantenni ombelicali, se ne trovano in giro fin troppi.
Surrogati di identità, insignificanti in primo luogo a se stessi.
Armstrong è stato salvato dal jazz.
Alba, dalle parole che pian piano è riuscita a dare al suo dolore, ricostruendone un significato.
In entrambe le storie, le tracce di una liberazione.
Forse è esattamente questo, ciò che sta scritto nel Blues.
Che ne dici, grande Satchmo?