Siamo alla Western Electric, un colosso dell’ingegneria delle telecomunicazioni. Ci lavorano ventinovemila persone. Vi si producono cavi e apparecchiature telefoniche.
La psicologia del lavoro si sta consolidando come scienza sperimentale.
Per misurare l’effetto della luce sulla produttività degli operai, vengono costituiti due gruppi: il primo viene sottoposto a variazioni di intensità luminosa, il secondo continua a lavorare sotto una luce costante. I dipendenti vengono informati degli obiettivi delle ricerche, che mirano a far emergere i fattori in grado di contribuire a un maggior livello di soddisfazione dei lavoratori. E, conseguentemente, a una maggiore produttività.
Con l’aumento dell’intensità della luce si nota un miglioramento della produttività. Ma il fatto singolare e del tutto inatteso è che migliora contestualmente anche la produttività del reparto a fianco, che continua a lavorare con un invariato livello di illuminazione, per disporre di un elemento di controllo.
Elton Mayo, lo psicologo di origine australiana incaricato della ricerca, si interroga sulle ragioni dello strano fenomeno.
Prende allora sei operaie, sei giovani ragazze che assemblano relè. Lavorano per quarantotto ore alla settimana, anche il sabato. Non hanno nessuna pausa, e producono in media centoquarantaquattromila relè.
Mayo le mette in un luogo separato dell’azienda, e comincia a studiare quello che fanno. Poi introduce delle variabili, dei cambiamenti, e guarda come va a finire.
All’inizio, Mayo introduce il lavoro a cottimo: più lavori, più guadagni. La produzione aumenta moltissimo.
Poi, introduce due pause, piccole: cinque minuti al mattino, cinque minuti al pomeriggio. Anche qui, la produzione aumenta.
Poi le pause aumentano: diventano dieci minuti. Dieci al mattino, dieci al pomeriggio. La produzione aumenta.
Le pause diventano sei, un ulteriore cambiamento di cinque minuti l’una. In questo caso, la produzione diminuisce. Le ragazze, interrogate, rispondono che perdono il ritmo. Ci sono troppe interruzioni.
Poi, un altro cambiamento: durante la pausa del mattino, nei dieci minuti, viene servito un pasto caldo: offre la ditta. Anche in questo caso, la produzione aumenta.
Un ulteriore cambiamento, per vedere che effetto ha la riduzione dell’orario di lavoro: si lavora mezz’ora di meno ogni giorno. La produzione, anche in questo caso, continua ad aumentare.
Un altro cambiamento: la riduzione di un’altra mezz’ora di lavoro. Quindi si lavora un’ora al meno al giorno. La produzione rimane invariata.
Poi, un cambiamento assolutamente radicale: tutto torna come prima. Quarantott’ore, niente, pause, niente pasto caldo. Niente uscita anticipata dal lavoro. La produzione aumenta moltissimo.
Mayo ci mette un po’ a capire cosa può essere successo.
Poi, ha l’intuizione: quei sei soggetti di esperimenti, quelle sei ragazze, sono diventate un gruppo. Hanno sperimentato la bellezza, la passione di interessare a qualcuno. A qualcuno che le sta studiando, ma si interessa a loro. E’ l’effetto di “fare meglio”, di essere più produttivi quando qualcuno ha un interesse verso di noi.
Proviamo a pensare cosa poteva essere la vita di sei ragazze nel 1927, nella periferia di Chicago, e capiamo che se qualcuno dimostra interesse, uno psicologo ci studia, ci osserva, rimane un po’ vicino a noi, qualcosa cambia dentro di noi, ci viene più voglia, più entusiasmo, anche di lavorare di più.
Sono esattamente queste le parole con cui Massimo Cirri, psicologo del lavoro, autore teatrale e conduttore radiofonico descrive il celebre “Effetto Hawthorne” della Western Electric di Chicago.
E tu adesso capisci perché i like su Facebook siano antidepressivi.
E, al contempo, diano dipendenza. Come le droghe dopaminergiche, tipo la cocaina.
E perché John Bowlby avesse – ancora una volta – dannatamente ragione, quando sosteneva che il bisogno primario di ogni essere umano è di ricevere attenzioni e cure.
Di venire “riconosciuto”.
- too much love will kill you -