E' come una scossa, un lampo, l'intuizione che ci mette in contatto con questa verità: ce lo portiamo dentro. “Es” è il suo nome.
Proviene dalle sconfinate savane del nostro inconscio.
Sa un po' di amaro, ma incuriosisce al contempo questo Insight, questa presa di consapevolezza.
Come l'aroma di rosa selvatica in un buon vino, mentre lo mesci novello nel calice.
Ah, queste cantine del sé, ove intingiamo passioni, fedi, valori e bisogni in un'unica tinozza, color di malva.
“In battaglia, non saranno i sillogismi a tenere al loro posto nervi e muscoli durante la terza ora di cannoneggiamento. Il più rozzo sentimentalismo nei riguardi di una bandiera o di un paese o di un reggimento sarà molto più utile”. (C.S. Lewis, L'abolizione dell'uomo)
Eppure, pensandoci bene, per pochi motivi al mondo siamo disposti a pensarci meno elevati, o più contraddittori, di quanto ci piacerebbe essere.
Già, le nostre ambivalenze, paure, inconsistenze. Ci è naturalmente più facile proiettarle negli altri, andandole a cercare nel comportamento altrui.
Freud chiamava questo meccanismo di difesa “Proiezione”.
Come il populista di turno, che continuamente tenta un pubblico auto-esorcismo sparando giudizi e sentenze sull'onestà, la giustizia, i diritti, i “furti” commessi dagli altri.
Discorsi noiosi e banali, sempre e solo, come il vero qualunquismo, quello doc, riesce a risultare.
Forse è proprio questo, ciò che segna la differenza tra lo sguardo dell'allocco e ciò che Carlo Maria Martini definiva l'atteggiamento “pensante”, prima ancora che credente.
“Se prendiamo l'uomo come è, lo rendiamo peggiore; se prendiamo l'uomo come dovrebbe essere, lo aiutiamo a diventarlo”. Grazie, vecchio Goethe, ultimo Uomo universale.
E grazie, Faber, per i tuoi splendidi versi:
“Venne alla spiaggia un assassino
due occhi grandi da bambino
due occhi enormi di paura
eran gli specchi di un'avventura.
Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno
non si guardò neppure intorno
ma versò il vino e spezzò il pane
per chi diceva ho sete e ho fame”.