Caricare il foglio matrice sul rullo inchiostrato. Quindi pregare (chi il santo patrono del paese, chi l’anima di Che Guevara, chi lo spirito di Giovanni Gentile) che non si strappasse, e dare i primi giri di manovella. Che quando sono arrivati i modelli col motore elettrico, pareva una pacchia.
Il testo lo battevi con la macchina da scrivere (una Olivetti Lettera 32, generalmente) dopo aver alzato con la levetta il nastro rosso/nero, in modo tale che la percussione a martelletto dei caratteri forasse il foglio di riso della matrice, quel tanto necessario al passaggio dell’inchiostro, che poi sul rullo avrebbe impresso i volantini.
I volantini, già.
Altro che i post su Facebook!
Era di questo, due sere fa, al termine di una serata di presentazione delle liste elettorali, che stavamo discorrendo, con un gruppo di immigrati miei coetanei.
Tranqui: siamo uno più pallido dell’altro, e abitiamo - tutti - a Sant’Angelo di Piove da più di cinquant’annI.
“Immigrati” nel senso di digitali. Immigrati digitali.
Si, perché i “nativi digitali” diconsi quelli nati dopo il 1985. La generazione cresciuta nelle tecnologie quali computer, Internet, telefoni cellulari e MP3.
Allora; Piero fa:
“Stamattina ero da Dune Mosse..." (il bar che sta in piazza, giusto all’incrocio, ma che nomino così per evitare mal di pancia da pubblicità indebita agli altri esercenti: “Mr.Cat”, ad esempio, o “Bread & Pork”, o “The Pearl”, tanto per non fare nomi) "...e ascolto i discorsi di due ragazze, giovani. Oh, in gamba, eh? Solo che commentavano una cosa scritta nel Baucometro (così il mio coetaneo immigrato chiama Facebook) e… te sentissi che robe!”
“Caro mio” gli faccio, “Non ti ricordi quando passavamo le notti a scrivere e stampare i volantini? Più o meno la stessa cosa, solo che i tempi sono cambiati: oggi è tutto più istantaneo, in presa diretta.”
“Già, e più superficiale, anche.”
Come dargli torto?
Vuoi mettere, il profumo fisico dell’inchiostro, del foglio di carta porosa che – mica come la moderna carta da fotocopiatrice, così liscia cha pare appena uscita dall’estetista – emanava a lungo un aroma di polpastrelli, di artigianato intellettuale che pareva che le idee cui avevi dato forma di frasi, parole, proclami, ancora si animassero e fossero cosa viva, come il tronco di Pinocchio?
C’è una funzione, su tutte, che i post su Facebook spesso non ti consentono: la regolazione emotiva. Così la chiamano, quelli che studiano il cervello. Le risposte che scrivi, specialmente. Ti manca il filtro, talvolta.
Il filtro. Quello che in quelle fumose (mamma quante Muratti mi son dovuto respirare, io non fumatore) serate dei collettivi, delle assemblee, delle occupazioni, delle congreghe negli anni’70, tutti riuniti attorno a un tavolo o in un cerchio di sedie, quando l’amico (o compagno) ti apostrofava: “Ciò, mona, ma ti rendi conto cosa provochi, se scriviamo questa cosa?” ti costringeva a riflettere, a pensare.
A prender tempo.
Magari esaminare la questione anche da un altro punto di vista.
No, non era breve, la strada che conduceva dall’amigdala (la struttura cerebrale della paura e dell’aggressività) al rullo del ciclostile.
“Verba volant, scripta manent”; ecco un’altra di quelle frasi che sentivo sui banchi del liceo, nell’ora di latino, mentre fuori dai finestroni le Brigate Rosse rapivano e poi trucidavano vigliaccamente Aldo Moro, si votava il referendum sul divorzio, qualche anno dopo una bomba neofascista uccise 85 persone, tra cui due nostre compaesane.
Piero l’altra sera mi chiedeva cosa e chi avrei votato.
Gliel’ho detto, ma soprattutto gli ho comunicato un pensiero che mi sta molto a cuore.
Quindi lo esprimo anche qui: spero che molte persone, il più possibile, tra qualche giorno si rechino alle urne. Indipendentemente dalle scelte di ciascuno.
Perché è importante.
E’ importante la scelta di chi eleggere, tra chi si offre ad amministrare la cosa pubblica.
E’ importante perché è una parte del futuro nostro, e dei nostri figli.
E’ importante.
E’ importante perché troppa stupidità corrosiva, quella del qualunquismo e del disfattismo, negli ultimi tempi, ha prodotto danni. La cosiddetta “antipolitica”. Quella per cui basta “parlar male”, ad alzo zero, sparando sul gruppo, e trovi facile consenso.
Si chiamano generalizzazioni.
Scorciatoie verso la pattumiera dell’ignoranza.
E i post “usa e getta” su Facebook non aiutano, in questo senso.
Cosa voglio dire?
Che affermazioni tipo:
“I politici sono tutti ladri!”; “Mandiamoli a casa!”
hanno il valore (pari a zero) di altre tipo:
“Gli artigiani veneti? Tutti massivi evasori fiscali!“.
“I preti? Tutti pedofili!”.
“I medici? Tutte carogne!”.
“Gli avvocati? Tutti ladri!”.
“I veneti? Tutti poentoni!”
“Gli uomini? Tutti…”;
“Le femmine? Tutte, ma proprio tutte…” e via di questo passo.
Un passo “sbaroxà”, come il cagnetto che ho visto l’altro giorno, pora bestia, arrotato da un ciclista (senza stile).
Quando nei primi anni ’90 ho partecipato anch’io a una tornata elettorale, come candidato di lista, il ciclostile aveva da pochi anni tirato le cuoia.
Di Facebook, neanche nei libri di fantascienza.
I dischi in vinile erano ormai giunti al canto del cigno, dietro l’avanzata irresistibile dei CD.
Ora leggo nelle riviste specializzate che i vinili, i gloriosi ingombranti LP stan tornando, prepotentemente.
Cosa voglio dire, che manca poco al rispolvero pure del ciclostile?
Forse no (chi può dirlo) però mi piacerebbe che, di quegli anni, anche in politica come ho visto ieri sera in un dibattito molto partecipato tra due dei tre candidati sindaci, ci si tornasse a guardare in faccia, anche tra avversari. A dialogare, discutere, contestare. Di persona, ragionando. Ascoltandosi.
Non solo tramite qualche schizzo di impulsività tradotto in post su Facebook.
Buon voto a tutti, e vinca il migliore!
- stampato in proprio –