Molto spesso denunciano la perdita di speranza rispetto alla possibilità di costruirsi un futuro.
In ambito professionale e lavorativo, più che relazionale/affettivo.
Dispiace e fa male percepire come l'orizzonte progettuale, nei loro vissuti, appaia un cancello sbarrato.
Che differenza, con la mia generazione nata nei '60.
Che diversità con i nostri, di trent'anni, quando sul calendario capeggiava la cifra “1990”.
Tutto sembrava a portata di mano.
In effetti non era poi così distante, se non già realizzato: lavoro, casa, famiglia...
Non è difficile leggere, dentro questa negatività che definirei depressiva dal punto di vista sociale, la facilità di presa dell'antipolitica, del “tanto sono tutti ladri”.
E la contemporanea messianica aspettativa che la “magic solution” passi attraverso il taumaturgico: “Sìiii... mandiamoliiIii a casa!”.
Di chi poi si tratti, questi “loro”, è specificato dal generalisimo “tutti”.
Tutti quelli che non cantano nel proprio coro, quando l'intonazione la dà il capoccia di qualche fazione parlamentare, obviously.
Risposte illusorie a problemi reali.
Non poche volte drammatici.
In fondo, la rivoluzione che ogni sano adolescente ha sempre agognato.
E' quando si tratta poi di scegliere, decidere, amministrare, deliberare assumendosi responsabilità concretissime e scontentare inevitabilmente qualcuno, che riaffiorano i guai.
E' li che la storia si fa meno adamantina di quanto la si celebri nei blog auto-profetici.
Ciò che si chiama “esame di realtà”, in psicanalisi.
Lo stato dell'Io Adulto, in Analisi Transazionale.
Mi ha sconvolto la visione, nella cattedrale di Otranto, della teca contenete centinaia di teschi umani.
Ottocentotredici martiri, uccisi e decapitati il 14 agosto del 1480 dai turchi capitanati da Gedik Ahmet Pascià, per aver rifiutato la conversione all'Islam dopo la caduta della città.
Gran brutta bestia l'intolleranza, il fanatismo, il rigorismo pseudo-morale.
Qualsiasi dio, guru o web-master chiami in appello a proprio favore.
Un rischio purtroppo insito in ogni rivoluzione. Basti pensare alla fine del 1700, nella situazione di profonda crisi economica e di disparità sociali che caratterizzava la Francia in quel periodo: quante teste mozzate, quante ghigliottine insanguinate, alla fine, al grido delle sacrosante parole: "Liberté, Égalité, Fraternité"?
Anche se nasce alimentata da autentiche frustrazioni rispetto ad angherie, corruzioni e feudali privilegi - dovunque e in ogni epoca presenti - é un vero peccato quando la protesta perde per strada la sua anima (e la propria efficacia) trasformando la richiesta di giustizia in miope legalismo.
Mi torna in mente quanto affermato da un viennese pensante, agli inizi del '900: Sigmund Freud, in "Psicologia delle masse e analisi dell'Io":
- gli individui che fanno parte di una massa perdono autonomia ed equilibrio, ma acquisiscono la sensazione di essere forti, in quanto parte di un tutto organizzato, che rassicura e protegge;
- la massa è mutevole, impulsiva, irritabile e, essendo governata interamente dall’inconscio, non tollera alcun indugio fra il desiderio e la realizzazione di quel desiderio;
- l’individuo nella massa vive una regressione narcisistica, con la scomparsa di tutte le inibizioni individuali, a favore di istinti, buoni e cattivi, ormai del tutto fuori controllo. Non è raro che la massa compia atti crudeli, come il linciaggio, ma anche gesti di generosità estrema, superando anche i limiti imposti dalla necessità di autoconservazione;
- ogni individuo affiliato al gruppo rinuncia al proprio “ideale dell’Io” per trasferirlo sul suo leader. Si tratta di una identificazione narcisistica: una parte di sé, il proprio Ideale dell’Io, viene sostituito dall’Ideale dell’Io del Leader;
- da qui la riduzione dell’individualità e dello spirito critico - prosegue Freud - in quanto l’ideale dell’Io del capo diventa l’Ideale dell’Io di tutti, cancellando le differenze e le rivalità a favore di un sentimento di identità e di comunione;
- essendo negata l’ambivalenza, l’idealizzazione del Capo in realtà maschera l’odio, l’invidia, l’aggressività, che vengono proiettate sugli avversari e su quanti, all’interno del gruppo, non si identificano completamente con il Leader;
- un dissidente del gruppo può diventare più nemico del nemico stesso, in quanto mette a repentaglio l’unità del gruppo. Ecco come si spiega la violenza viscerale di molte "espulsioni".
Quanta verità in quest' analisi, nonno Sigismondo.
“Psicologia delle masse e analisi dell'Io”.
Un attualissimo testo, datato 1921.
Evidentemente ignorato o rimosso, dato ciò che di lì a pochi anni avremo visto nascere, nel cuore dell'Europa.
E pensare che, per uscire dal ruolo del giustiziere miope, basterebbe una cosa molto semplice: prendersi un po' meno sul serio.
Usare ciò che lo stesso Sigmund da Vienna definiva uno dei migliori strumenti terapeutici: l'autoironia.
Che permette di distanziarsi da se stessi, dal proprio groviglio di pensieri, frustrazioni, autoreferenzialità.
Vedendo in tal modo anche il mondo “di fuori” decisamente più nitido.
Credo sia esattamente questa la responsabilità di chi ricopre un ruolo politico o amministrativo: fornire risposte a domande precise di lavoro, di sicurezza, di progettualità condivisa.
Risolvere problemi, non alimentare polemiche. Inevitabilmente sempre e solo sterili.
Il più delle volte, tese a mascherare in modo compensativo la propria debolezza, in un atteggiamento “avvoltoio-carogna” style.
Più forte uno sbraita, più accusa, maggior adrenalina mette nell'agitarsi oppure - variante dell'era digitale - nell'evacuare dentro i “Social” agglomerati di roboanti post copia-incolla, più va ad auto-confermare il proprio unilaterale punto di vista, piuttosto che la soluzione delle questioni.
Nulla più.
Gli psicologi chiamano ciò “confirmation bias”: il processo mentale che consiste nel ricercare, selezionare e interpretare informazioni in modo da porre attenzione e attribuire maggiore credibilità a quelle che confermano le proprie convinzioni o ipotesi e - viceversa - ignorare o sminuire informazioni che le contraddicono.
Le decisioni che ne scaturiscono dunque risultano, per deriva conseguente, di scarsa qualità, in quanto impoverite di spirito critico e atteggiamento dialettico di verifica.
Sempre attuale, a tal proposito, la voce del Dalai Lama:
“Se ascolto solo me stesso, non imparo nulla.
Ma se ascolto te, apprendo di sicuro qualcosa di nuovo”.
Provarci, no?