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LA BOTTEGA DEL PAN

4/10/2020

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Foto
Sabato mattina, ieri. Nonostante il vento umido e caldo - tutt’altro clima rispetto al cielo scartavetrato di questa squillante luminosissima domenica - una passeggiata in centro al termine di una sessione d’esami, ci sta. Gli studenti son risultati preparati, ciò dà soddisfazione.
 
Le piazze di Padova. Sempre accoglienti, aperte. Vi si muove tanta vita; può anche venire a piovere, ma non ti senti mai sguarnito. Sarà per gli ampi porticati, che sanno sempre dei buoni abbracci della mamma. Ricordi della fanciullezza più ingenua e spensierata, quando da un giretto all’UPIM te ne uscivi radioso (qualche volta) con la fiammante macchinetta della Polistil, tanto agognata quanto combattuta, sottobraccio. Negoziata al prezzo di una discreta quota di “Si, farò il bravo, promesso…”.
 
Mi fermo davanti a un panificio, anzi un forno storico della città. Voglio prendere una torta da portare a casa, in famiglia: ci sono dei buoni motivi per cui festeggiare. Mi metto regolarmente in coda, all’aperto. Mascherina e quant’altro previsto da questo impegnativo e preoccupante periodo di Covid-19. Ho tutto il tempo quindi per soffermarmi a leggere, oltre a quelli delle normative igienico-sanitarie, il cartello affisso:
 
“In oltre 130 anni di storia della nostra famiglia di Fornai, non ci hanno fermato 2 guerre mondiali, 4 crisi economiche, il terrorismo e tutto quanto di negativo ha attraversato il nostro grande paese. Non ci fermerà pertanto nemmeno questa”.
 
Bello, caspita! Lo vedi, la gente veneta? Mica restiamo a piangerci addosso; ci si dà da fare, si riparte, si ricomincia, anche quando avversità e rovesci della sorte pare vogliano schiacciarti.
Le ho conosciute, queste fasi e maree. Anche nella mia famiglia, nella storia di mio padre imprenditore.
Allora rifletto su come ne usciremo, da questa battaglia della pandemia.
 
Penso che anche questi bravi esercenti non avrebbero mai potuto risollevarsi, se la popolazione, la “gente” non si fosse riaffacciata in bottega, soldino alla mano. Perché tu vendi solo se la gente compra. Se può, acquistare. Se può, spendere. Anche per i beni primari. Se c’è lavoro, in sostanza. Per tutti.
 
Penso anche a come da due guerre mondiali ci si è rialzati esattamente ripudiando le ragioni, i motivi, le condizioni che le hanno provocate. I nazionalismi, gli egoismi di parte, la soppressione delle libertà, il delirio dittatoriale, le deportazioni, le bombe, distruzioni, fame, carestia. Anche di queste mi parlava a lungo mio padre, avendole vissute e pagate di persona.
 
Penso che in questa battaglia contemporanea, nella quale a schierarsi sul campo non sono i carrarmati e gli aerei bombardieri, ma i camici bianchi del personale sanitario e gli amministratori con la responsabilità di prescrivere e far osservare le normative di prevenzione al contagio, armi e munizioni si chiamano informazione, e responsabilità.
 
E, purtroppo, non riesco a non riflettere sui dati che certificano la popolazione italiana all’ultimo posto in Europa per capacità di comprensione di un testo scritto. Dati OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ci illustrano questo sconsolante quadretto, purtroppo:
 
“Le competenze di lettura degli adulti italiani sono tra le peggiori al mondo. La percentuale dei 16-65enni italiani con scarse capacità di lettura e comprensione di un testo arriva al 28%, contro una media europea che non supera il 15 per cento. Un'ultima posizione condivisa solamente con gli spagnoli (anche loro intorno al 28%), mentre gli altri Paesi restano tutti al di sotto del 20%, con picchi di eccellenza in Norvegia, Repubblica Ceca e Corea, che si assestano su valori vicini al 10 per cento”.
 
Non mi incoraggiano nemmeno i dati dell’AIE (Associazione Italiana Editori):
Tra i 4 e i 9 anni, legge il 91% dei bambini.
Per quanto riguarda i ragazzi tra i 10 e i 14 anni, la percentuale scende all’88% e tende ad estinguersi man mano che l’età avanza.
Tra i 45 e i 55 anni leggono il 72% degli italiani, per terminare poi con un 23% tra i 65 e i 75 anni.
I dati delineano un quadro inquietante: 6 italiani su 10 non leggono nemmeno un libro all’anno!
 
“Con la lettura ci si abitua a guardare il mondo con cento occhi, anziché con due soli, e a sentire nella propria testa cento pensieri diversi, anziché uno solo. Si diventa consapevoli di se stessi e degli altri” ha scritto Sebastiano Vassalli.
 
La Svezia è lo Stato europeo con più lettori, il 90% della popolazione ha letto almeno un libro nell’ultimo anno.
In Danimarca la percentuale è l’82%. Rapportato a quel 27,5% del Sud Italia, traspare una netta discrepanza.
Confrontando i dati europei, l’Italia è sconsolatamente agli ultimi posti: soltanto Cipro, Romania, Grecia e Portogallo occupano posizioni più basse. Rientrare nel “Terzo mondo europeo” è svilente, soprattutto quando balzano all’occhio le statistiche dei lettori del Regno Unito (80%), della Germania (79%) e dei Paesi Bassi (86%).
 
Alla luce di ciò, mi chiedo quante persone saprebbero rispondere a domande basilari come queste:
“Lo sai, dal 1924 al 1946, quante volte si è votato, in Italia?”.
“Per cosa si è andati alle urne, nel 1946? Quali sono stati, i risultati? Che quadro dell’Italia ne è uscito?”.
“Li conosci, i nomi di almeno tre padri costituenti?".
“Come sono state sconfitte, le Brigate Rosse?” .“E lo pneumococco?”.
“Quando, e da chi è stato sottoscritto il Protocollo di Kyoto, contro il surriscaldamento globale del pianeta?”.
 
Eppure scriviamo nei social, sentenziamo, giudichiamo, critichiamo… spesso senza la minima cognizione, consapevolezza, conoscenza delle materie, degli argomenti. Lo si definisce anche “analfabetismo funzionale”.
 
Dev’essere davvero squisita, questa torta alla crema-e-frutti-di-bosco. Il profumo che ne promana sa di aromi di montagna, di pino mugo, delle settimane estive, di vacanza e libertà.
Riprendo il porticato, lungo via Boccalerie. Ai passi sul selciato si accompagna adesso una considerazione, che mi gira nella testa. Che questa guerra della pandemia, io, il fornaio e tu, la vinceremo solo assieme. Ancora una volta. Come nel 1946. Come dopo gli anni di piombo del terrorismo, che me li ricordo bene, quelli della mia adolescenza.
Con umiltà, studio, consapevolezza. Con responsabilità condivisa. Che anche se i giovani “muoiono di meno”, a differenza del primo conflitto mondiale, non è che la vita di un anziano, di tuo nonno o genitore, magari segregato in una casa di riposo, valga qualcosa di inferiore.
 
Cammino, e penso che Il vero nemico non sono le popolazioni che migrano, alla ricerca di posti migliori dove vivere, lavorare, riprodursi. Lo abbiamo fatto tutti. E’ una legge darwiniana, prima che demografica, economica e politica. Ogni specie vivente si comporta in questo modo. Migrano gli uccelli, migrano i pesci, migrano gli esseri umani. Da sempre. E sempre così sarà.
Penso che il vero nemico è l’incapacità di gestire questi fenomeni con intelligenza, lungimiranza, coraggio ed accoglienza produttiva. L’illusione di poterli contenere chiudendosi in casa e sbarrando le porte.
 
Penso che Il vero nemico si chiama, ben più di tutto, corruzione. Malaffare, ruberie, clientelismo, interesse di parte, irresponsabilità civica, evasione fiscale, mentalità mafiosa, a vari livelli.
 
Cammino, e penso che il vero nemico si chiama ancora - oggi come sempre - ignoranza, ed egoismo.
 
Oh, ma quanto profuma di buono, questa torta?
 
 
       - se ‘l mare fosse de tocio –

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    Noneto Circin

    La parola, il suono, l’immagine, sono l’oggetto dei miei interessi nel tempo libero. 
    A volte, tentano di diventare voce. 
    Nella scrittura, nella musica, nella fotografia. 
    Per passione, per divertimento.
    Insomma, per una delle cose più serie nella vita: il gioco. 
    Tramite i tasti di un pianoforte, una penna che scorre veloce, le lenti di un vecchio obiettivo. 

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