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PRIMA BEPI!

24/6/2016

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Ogni consulente di coppia conosce molto bene il meccanismo.
Ancor più lo sa per esperienza, dentro squarci dell’anima e del cuore difficili da risanare, chi un divorzio l’ha subito.
Per stare assieme bisogna volerlo in due, per separarsi è sufficiente uno solo lo decida.
Un assioma matematico, rigido e inesorabile.

Che poi, confermano i demografi, una notevole parte degli individui cerca comunque in seguito una nuova avventura matrimoniale o di convivenza.

Evidentemente, dirà qualcuno, se uno vuole andarsene è perché non sta più bene in quella relazione.
Perché ha intravisto qualcosa di meglio al di fuori.
Altre volte, semplicemente perché non sta più bene con se stesso.
E allora la soluzione di tutti i mali sembra il divorzio.

L’altra notte mi è capitato un sogno ambientato nella pianura veneta, in un anno che potrebbe essere stato il 2030 dopo Cristo. In un’Europa ormai ridotta a brandelli dai movimenti autonomisti, dove tutto lo sforzo di unificazione politica ed economica post-secondo conflitto mondiale aveva le sembianze di un relitto naufragato, a prezzo di molti morti.
La scena era ambientata in un cortile di una normalissima abitazione di campagna.

In quegli anni il grido: “Prima gli italiani!”
come pure: “Prima i francesi!”
“No, prima i Valdostani!”
“Che, schérsito? Prima i Veneti, ostrega!”
“Ciò, macàco: prima i Padovani!”
“Vùto che te còpa? Prima i Rovigòti!”
“Mi me ne frega gnente: prima Trebaseleghe!”
“No, ciò: prima ea Contrada del musso”

Insomma: una babele geosociale che vedeva Toni e Bepi Frison, i due fratelli protagonisti del mio sogno, strettamente alleati nel difendere l’autonomia del loro borgo.

Lo so, era solo un sogno, ma la passione che trasudava dalle grida quando loro, di via Chiusa, disputavano con quelli di Via Europa (la toponomastica in certi comuni gioca a volte d’ironia come e più di un comico scafato, sigh…) contendendosi la precedenza nell’accesso ai finanziamenti per l’asfaltatura della strada, aveva un che di epico.

Alla fine, dopo un referendum, via Chiusa la spuntò su via Europa.
Un trionfo. Grida di gioia, esultanza e feste lungo tutto il suo percorso.

Purtroppo, un brutto giorno quelli dell’inizio della strada pretesero un nuovo lampione per l’illuminazione dell’incrocio.
“Prima Noaltri!” divenne il grido di battaglia.
Toni e Bepi Frison, fratelli bellicosi quanto mai, appartenevano tuttavia all’estremità opposta della via. E la cosa non gli poteva certo andare a genio.
“Perchè a loro si, e noi no?”
“In fondo, noi abitiamo da più anni di loro in questa strada!”
“Ecco, il Comune sempre agli immigrati pensa, invece di prendersi cura dei veri indigeni!”

E allora mesi di pugne, battaglie, liti e contenziosi.
Alla fine, la spuntarono.
Fu l’inizio di Via Chiusa, a dover rinunciare al lampione.
Non senza malumori, ripicche, sabotaggi e qualche vetro rotto, con i sassi lanciati dalle fionde contro le finestre, di notte.
Ma Toni e Bepi vivevano in contrada come dei leader, osannati dalla “loro” gente e temuti dagli “altri”.

Fino al dì in cui il benemerito padre, Ermenegildo Frison, passò a miglior vita.
“Il più ricco del cimitero!” andava sussurrando qualcheduno, lungo il corteo funebre.

Si aprirono le operazioni notarili per la suddivisione ereditaria.
Ermenegildo, nel testamento, lasciava l’orto a Bepi, la stalla a Toni.
Si trattava di aprire una stradina tra i due possedimenti.

“Prima la mia stalla!” principiò Toni.
“No, mai! Prima il mio orto!” subito Bepi a ribadire.

Ve la faccio corta: il sogno mi finisce nel momento in cui Bepi apre il cranio del già amato fratello Toni, alleato di mille campagne indipendentiste, col badile di papà Ermenegildo, giusto a metà strada tra l’orto e la stalla.

La psicanalisi non resta muta di fronte ai processi di scissione.
Lo definisce uno dei meccanismi di difesa primari.
Difesa rispetto all’ansia, all’angoscia, alle paure.
Primari significa più potenti, profondi.
E’ conosciuto anche come “dissociazione”.

Un automatismo della mente in base al quale, quando non si riesce più a “tenere assieme” parti contraddittorie e contrastanti, ci rifugiamo nella separazione del “buono” dal “cattivo”.
Dei “nostri” dai “loro”.

Ad esempio, quando constatiamo che anche la persona che amiamo, magari abbiamo anche sposato, che nel processo di innamoramento avevamo anche molto idealizzata, è in realtà - come ciascuno - portatrice di difetti, limiti, egoismi e ambivalenze.
In questo caso, la persona (e la relazione) matura, giunta allo stato adulto dell’Io, opera un’integrazione, una crescita, un’accettazione; quella immatura/nevrotica semplicemente scappa.

A livelli progrediti, il meccanismo della scissione è quello che alimenta l’atteggiamento schizoide, fino alla polarità estrema della psicosi schizofrenica.

Povero Toni, e pòro Bepi.
Per la difesa oltranzista di un pezzetto di terra prima, e di un gruzzolo di denari poi, ciò che si sono conquistati sono un metro di terra si, ma come coperta per la bara, e una finestra dove l’azzurro del cielo lo vedi sempre e solo a scacchi.

Come certe coppie, che quel “Si, lo voglio” del giorno delle nozze lo hanno poi tradotto in una gara estenuante e teratogena, condita di piccoli grandi egocentrismi.
Si, perché le nozze durano un giorno; il matrimonio, una vita.

E pensare che pure Bepi e Toni, in qualche lunga sera d’estate sotto il portico in campagna, abbracciata la chitarra, l’avevano pure cantata in coro, quella vecchia canzone di De Andrè, il vecchio Faber:

“Dai diamanti non nasce niente,
dal letame nascono i fior...”

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    Noneto Circin

    La parola, il suono, l’immagine, sono l’oggetto dei miei interessi nel tempo libero. 
    A volte, tentano di diventare voce. 
    Nella scrittura, nella musica, nella fotografia. 
    Per passione, per divertimento.
    Insomma, per una delle cose più serie nella vita: il gioco. 
    Tramite i tasti di un pianoforte, una penna che scorre veloce, le lenti di un vecchio obiettivo. 

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