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ARRIVANO I NOSTRI

18/12/2020

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Chi non ricorda “Salvate il soldato Ryan”?
Premio Oscar 1998, Steven Spielberg alla regia e Tom Hanks nel ruolo del protagonista.
Quando un “marine” dell’esercito USA cade prigioniero in mano nemica, una cosa sa per certo: che i propri commilitoni faranno l’impossibile per andarselo a riprendere. Dovunque, comunque. A qualsiasi costo.

Sue Johnson lo ripete sempre, dall’alto della sua esperienza di terapeuta PTSD (Post Traumatic Stress Disorders). Un “legame sicuro”: ecco ciò di cui tutti abbiamo bisogno. Negli affetti come in combattimento. Nella malattia, come in qualunque situazione a rischio. La certezza di una protezione, la fiducia nella salvezza: questo consente di resistere alla prova, alla persecuzione, alla prigionia, financo al supplizio. 

A Giulio, non è andata così.
Cosa avrà pensato, in quei lunghi interminabili giorni di agonia? Il volto di sua mamma, quante volte gli sarà transitato allo sguardo, davanti agli occhi, torturati pure quelli? Come e a chi, avrà implorato: “aiuto?”.
Sottoposto a scariche elettriche in parti delicate, appeso a uno stipite per 48 ore e lasciato senz’acqua, sonno, cibo. Costretto nudo in piedi in una stanza dal pavimento coperto di acqua, elettrificata ogni trenta minuti per alcuni secondi. Sul suo corpo - dirà mamma Claudia - “ho visto tutto il male del mondo”.  Una lama lo ha sfigurato, tracciando lettere acefale, in cinque punti diversi. Mani di boia aguzzini lo hanno torturato e marchiato, con una crudeltà che arriva e sprofonda nei secoli più bui della storia. Per poi finirlo, torcendo quel volto martoriato su se stesso, fino a spezzargli il collo.

Così Giacomo Matteotti per mano della squadriglia fascista, così i “desaparecidos” in Argentina. Così negli anni bui dell’Inquisizione cattolica, nel medioevo. Giordano Bruno, arso vivo sul rogo. Savonarola. Le menti più aperte, i cuori migliori. Allo stesso modo, i cristiani decapitati dall’ISIS per mano del fondamentalismo islamico. Così nei Gulag sovietici, dove i tribunali anti-eretici rispondevano al nome di KGB. Così tutte le migliaia e migliaia di esseri umani, quando l’ignoranza si coniuga con la paura. Con l’egoismo, gli interessi di parte. Sposalizi i cui riti si condiscono di caccia alle streghe, dagli all’immigrato, populismo idiota, fanatismo, “pieni poteri”, paranoia e diniego, per dirla con la psicanalisi.

E adesso arriva Natale. 
Nasce il “Salvatore del mondo”.
Ancora.
Il bambinello del presepe. L’asino e il bue. E Stille Nacht. 
Non mancherà l’alberello, con le palline buone e le intenzioni zuccherose.

“Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore”.

Quante volte l’hai sentito, anche tu, questo lieto rivoluzionario annuncio? Da farci le capriole, di gioia e danze di taranta. Convocare, amici, conoscenti, vecchi amori e perfino l'anziana zia, a ballare tutti in cerchio, stappare il vino buono, che festa interminabile dev’essere!

E poi lo metteremo in croce, ogni nuovo anno. Ancora.
Venduto per 30 denari, possibilmente esente fattura. 
Alla domanda di Pilato, il politico dei “like”, chiederemo di liberare Barabba. E lui se ne laverà le mani. Che le responsabilità, meglio se le prendano altri. As usual. Come al solito.
Farà la stessa fine di Giulio. Quella di ogni povero Cristo.

E noi continueremo a fornire armi, navi da guerra e cacciabombardieri agli aguzzini che torturano e massacrano. 
Ci pagano, e pure bene, no? Ci danno lavoro, per miliardi di euro…
Qualcuno conferirà loro pure la Legion d’Onore. Che fra poco è Natale. Fosse mai che qualche buon affare giunga anche da quelle parti.

Eppure, nonostante tutta questa ambivalenza dell’umana commedia, eterna e ricorrente, contradditoria e conflittuale come alla sua radice è l’animo dell’uomo, è bello gioire quando diciotto pescatori vengono restituiti alle loro famiglie. Finalmente liberi e liberati, dopo un sequestro ingiusto e illegale. Davvero. Sono italiani, come potevano essere greci, francesi, africani o indonesiani. Per chi li ama e li aspettava a casa, non fa alcuna differenza. Neppure per quel Dio che sta lassù, ne sono certo. 

E’ bello pure leggere che un ex-presidente di una squadra di calcio - la mia, del cuore, quand’ero bambino - ha costruito nel tempo un impero di oltre 9000 dipendenti in tutto il mondo, ma ha anche dato avvio a una fondazione che aiuta quotidianamente le tante persone che si trovano in condizione di temporanea difficoltà economica e sociale, nella grande “ricca” (per qualcuno) Milano. Ogni sera nel quartiere Giambellino, al ristorante Ruben (dal nome di un suo amico barbone morto assiderato) viene offerto un pasto caldo a 350 bisognosi al costo simbolico di 1 euro (gratis per i ragazzi e i celiaci).

Ricordo come fu davvero Natale, anche se la stagione era tutt’altra, quel giorno in cui Bruno uscì dal turno di visita in terapia intensiva a Padova - collocata a quel tempo nei padiglioni del vecchio Giustinianeo - dove il nostro amico giaceva incosciente da una quarantina di giorni, dopo essersi schiantato in quell’incrocio con la sua vespa. Aveva gli occhi fuor di testa, quando ci balbettò: “Renzo ha parlato!”.

Si, Natale. Giorno della nuova vita che nasce. Che viene al mondo. 
Annuncio di salvezza, di liberazione. 

E sarà davvero bello, e importante, quando questo 27 dicembre lo sforzo di molti silenziosi operai della scienza e dell’intelligenza ci consegnerà il frutto di un meticoloso, silenzioso, rigoroso lavoro di ricerca. Finalmente. Come annunciato dal ministro della salute Roberto Speranza, partirà anche in Italia, come in tutta Europa, la campagna vaccinale: probabilmente iniziando dalle forze dell’ordine, gli operatori sanitari, il personale dei servizi di pubblica utilità - scuole, trasporto pubblico – i detenuti, gli anziani più vulnerabili.

Lascio risuonare quella Parola:
“Ai poveri il lieto annuncio, ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore”. 

Beh, un po’ vero dev’essere, per forza.
Per certo, dipende anche da me, e da te. 
Da ciascuno.

Mia mamma me lo ripete sempre: “Il giorno più bello della mia vita? Quando abbiamo visto arrivare i carri armati degli americani, per strada, quel giorno d’aprile, e abbiamo capito che la guerra era finalmente finita. Sembravamo matti, di felicità”.

Giusto tra una settimana è il 25 dicembre.
Allora Buon Natale, a tutti!

​https://www.youtube.com/watch?v=yN4Uu0OlmTg&has_verified=1&bpctr=1608289338


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OPLA'

10/12/2020

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In quegli anni, i riccioli li portavamo tutti. Persino i fan di Renato Zero. Ricordo il mio compagno migliore sui banchi dell’università: Marco, da Crema. Baricentro basso, movenze felpate anche quando guadagnava il miglior posto in coda, alla mensa. Ne era letteralmente il sosia. Ma non di renato Zero.

Monte Berico. Più in basso, lo stadio Menti. Ci gioca il Lanerossi Vicenza. Lo vedevi spiccare, sulla sinistra, quando arrivavi da Padova, nel punto in cui la statale penetra dentro il centro storico.

Più che agli efferati delitti della banda Ludwig (due benestanti rampolli dell’alta borghesia veronese che nel luglio 1982, giusto l’anno del “Mundial”, massacrarono due frati a colpi di martellate, mentre passeggiavano al fresco della brezza serale estiva) la memoria mi conduce a quel settembre, la pianola sotto le dita e un migliaio di ragazzi davanti.
Più in basso, lo stadio Menti.

Don Remigio mi aveva convocato, come sempre, e a quei raduni diocesani, regionali e nazionali mi trovavo dietro la vecchia Farfisa. Anzi, sopra. Lui a dirigere il coro, io a sostenere i canti con la tastiera antelucana, che dalla casa dei campi scuola a Meida di Fassa, a casa Pio X, fin dentro la pancia del pullman che ci stava conducendo ad Assisi, di chilometri ne aveva macinati probabilmente più di quante note quelle cinque ormai sbilenche ottave ne avessero mai fatto scaturire.

Non ho mai capito a fondo perché avesse scelto me. Forse ero l’unico disponibile, in quel momento. Più semplicemente, una questione di fortuna. Trovarmi là, in quelle occasioni. O una simpatia, non decodificabile alle leggi galileiane, che ti convoca. Punto. E basta.

Come allo stadio Appiani, l’anno prima. La “Festa dell’Accoglienza”.

Certo, suonare nella basilica superiore di Assisi un fascino del tutto particolare lo rappresentò. Ogni successiva volta in cui ci rimetto piede, nel corso degli anni, torno a calpestare quel preciso metro quadro dove poggiava il piedistallo. E mi sembra di rivedere i volti, risentire i brividi dietro la schiena, quei tremori convulsivi nelle dita adolescenti quand’è il momento di dare la nota, e l’attacco.

Momenti di gloria. A volte del tutto inattesi, inaspettati.
Ma che rimangono, indelebili.
Ciascuno ne ha qualcuno, tra le pagine della propria storia.
Chissà anche te, quanti ne potresti raccontare.
Come persone, come famiglie, come nazione.
Come quei goal. Incisi nell’estate. Quella caldissima, del 1982.

No, non l’ho mai ritenuto un fenomeno. Non la potenza devastante di Ruud Gullit, non l’astuzia di Michel Platini, non gli incantesimi maliardi di Maradona.
Pablito sapeva essere l’uomo giusto nel posto giusto. Al momento, giusto.
Fiuto, intuito, opportunismo cinico. Nei panni di un galantuomo, gentile, disponibile. Mai scorretto. Lo smilzo “numero 9” del Lanerossi Vicenza, che guadagna il pallone d’oro.

Ci hai regalato emozioni indelebili. Ci hai inscritti nel posto più alto in alto, campioni del mondo. Per una notte estiva di scorribande folli, a clacson spianati, tuffi nelle vasche, tricolori al vento. Nei riccioli il sudore, misto a lacrime di commozione.

L’uomo che serve, nel momento opportuno.
Nulla più.

Ciao, Pablito.

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    Noneto Circin

    La parola, il suono, l’immagine, sono l’oggetto dei miei interessi nel tempo libero. 
    A volte, tentano di diventare voce. 
    Nella scrittura, nella musica, nella fotografia. 
    Per passione, per divertimento.
    Insomma, per una delle cose più serie nella vita: il gioco. 
    Tramite i tasti di un pianoforte, una penna che scorre veloce, le lenti di un vecchio obiettivo. 

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