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TERRA IN VISTA!

29/10/2016

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Sono due anni e mezzo, dal marzo 2014, che stiamo navigando su quest'imbarcazione. 
Tutti assieme, 'piccicati, senza scampo di scendere. 

Scali si, ce ne sono stati. 
Sei, per la precisione.
Nell'agosto del 2014, nel marzo e nell'ottobre del 2015, in gennaio e aprile di quest'anno.
Ogni volta, la stessa domanda: proseguiamo, o no?
Ogni volta, dopo laboriose consultazioni reciproche, la maggioranza dell'equipaggio si è dichiarato d'accordo: proseguire! 

Inevitabilmente, al prezzo di qualche mediazione, negoziato, accordo.
Non tutti ottenevano sempre ciò che avrebbero desiderato: elezione diretta dei deputati, abolizione totale di una camera, ecc...
Ma la risposta era inequivocabilmente sempre la stessa: "Proseguire, bisogna! È una giusta meta che ci attende, avanti così! ".

Certo, non è stato facile mettersi d'accordo. 
Chi preferiva un taglio di rotta differente, chi auspicava un vento più gagliardo, chi invocava sempre e solo la tramontana... hai visto mai due persone - tolti gli innamorati nei primi quindici giorni della loro relazione - che la vedano allo stesso modo? 

Stare assieme è dialogare, cercare punti di incontro, rinunciare a qualcosa in favore di qualcos'altro. 
In famiglia come in politica. 
E nelle assemblee condominiali. 
Come su questa barca.

Una parte  della ciurma, in verità, no. Una parte è sempre stata contraria. 
Quelli dell' - aprescindere - 
E' vero, sono dell'opposizione. 
D'altronde, se l'opposizione non si oppone, cosa si chiamerebbe “opposizione” a fare? 

Questo atteggiamento tuttavia, ‎quando diviene massimalista e totalitario, uno psicanalista di successo come Massimo Recalcati lo descrive ispirato da quel fantasma di purezza che troviamo al centro della vita psicologica degli adolescenti. 
E' come tentare di dialogare con un ragazzo ancora ostaggio della fase puberale dell'intolleranza.

Recalcati cita il film “Pastorale americana” di Philip Roth, dove si racconta la storia tormentata del rapporto tra un padre – il mitico «svedese» – e una figlia ribelle, balbuziente, prima aderente a una banda di terroristi e poi a una setta religiosa che obbliga a portare una mascherina sul viso per non uccidere i microrganismi che popolano l’aria. 
Il dialogo tra loro è impossibile. Il padre cerca di capire dove ha sbagliato e cosa può fare per cambiare la situazione, la figlia risponde a colpi di machete: “Sei tu che mi hai messa al mondo, non io; sei tu che hai creato questa situazione, non io; sei tu che vi devi porre rimedio, non io”. Così agisce infatti la critica sterile dell’adolescente rivoltoso. 
Il mondo degli adulti è falso e impuro e merita solo di essere insultato.
L'altro, chi la pensa diversamente da sé, è visto come l'adolescente irrisolto guarda agli adulti: irrimediabilmente fuori gioco, incapace di comprendere e immeritevole di confronto. 
Per definizione.
Vabbé, cresceranno...

A volte, però, esagerano. 
Pensa addirittura che la sindaca della città del porto di partenza, dimenticandosi che quando si viene eletti a governare si cessa automaticamente di chiamarsi - per legge naturale - "opposizione", continuava a ripetere a noi ciurma: 
"In mare ci sono i pirati! Cosa costruiscono le barche a fare? In mare ci sono i pirati! Io voto no! Io sono contraria alle barche. In mare ci stanno i pirati. Niente; no, no! Io mi oppongo! Io voto no alle barche. Io voto no ai naviganti. Io voto no ai turisti al mare. No al mare, no alle imbarcazioni, no ai naviganti, no al turismo nel porto della mia città!".

Anche una parte della ciurma contraria - aprescindere - che è sulla barca, dopo questa delibera comunale, ha in realtà deciso che non nominerà più questa sindaca candidata al Nobel del problem-solving, quando lo istituiranno...

Qualcuno nel corso del viaggio ha anche cambiato idea. 
Alcuni poco dopo l'elezione del Capo di Stato Maggiore della Marina. 
Pare sia stato perché volevano un altro ammiraglio, a capo di stato. Che fosse stato eletto questo, un siciliano di Palermo, non gli andava del tutto a genio. 

Ci mancava solo che quel parlafacile del timoniere-premier se ne uscisse dicendo che questo era un referendum su se stesso, sul suo governo. 
Apriti, cielo...

Ma non gliel'avevano spiegato, i suoi guru della comunicazione, che la formula da usare era esattamente questa:
"Se vince il SI, mi dimetto"? 
Invece e n'è uscito:
"Se vince il NO, torno a casa"...

Proprio così, doveva dire, quel vanesio: 
"Nel momento esatto in cui vincesse il SI, la mia carriera politica finisce!" 
"Se vincesse il NO, sarei costretto mio malgrado a proseguire nel mio incarico di premier!" 


Asino di un timoniere! 
Gli spieghi una cosa, e lui fa il contrario, di testa sua.

Lo dice anche l'esimio dottor Natalino Balasso nei suoi video, che il pavloviano riflesso condizionato è cosa seria.  E' bastato infatti dicesse: "Se vince il NO, torno a casa" ed ecco materializzarsi all'istante un branco di predatori coalizzati “contro”.‎ 
Apparentemente avversi al progetto di riforma costituzionale; in realtà addosso a lui, 'sto carciofo.
Avesse detto l'opposto - che si sarebbe dimesso in caso di vittoria dei SI - la riforma costituzionale sarebbe già cosa fatta.
Ah, il narcisismo...

Che poi cosa farà davvero il timoniere-premier, lo sapremo sicuramente dopo il voto, non certamente prima.
Tanto varrebbe concentrarsi “nel merito” di ciò che il referendum chiede, quindi.

Il merito, già. 
E qui s'affaccia un'altra suadentissima sirena sopra i flutti: l'illusione cognitiva che i processi decisionali siano guidati da quei due-tre millimetri di corteccia cerebrale che costituiscono il nostro “cervello razionale”.
Ma quando mai... con quest'aria da “derby”, poi!

Hai mai sentito parlare dell'amigdala?
Del cervello emotivo?
Dell'invidia, della gelosia?
O dell'oscuro godimento sado-masochista, cui il buon Freud ha dedicato tanto inchiostro?
Dell'“istinto di morte”?

Eppure, a “entrar nel merito”, come dicono, due sono le cose su cui tutti si è sempre stati d'accordo. Sono talmente ovvie...
1. ridurre i costi della politica e il numero dei "politici" di professione;
2. rendere più efficienti e rapide l'attività legislativa e la funzione esecutiva.

Ricordo come mi abbia molto divertito, un giorno a lezione, sentire un docente universitario esordire con questo proverbio: "Se ti stai lavando i denti e ti scappa il tappo del dentifricio, mira al buco del lavandino".
Intendeva invitare - per legge di gravità - a cercare le soluzioni dove esse si trovano, non "per aria". Intendeva che quando punti ai bisogni primari, non sbagli mai.

E il "buco del lavandino" - anche se parlare di buco quando galleggi tra le onde su di una barchetta è quantomeno poco scaramantico - mi pare essere esattamente questo: le cose ovvie, per tutti.

1. ridurre i costi della politica e il numero dei "politici" di professione;
2. rendere più efficienti e rapide l'attività legislativa e la funzione esecutiva.

Difficile trovare un essere pensante che si dichiari contrario anche a uno solo di questi due argomenti.
Pare facile, no? 
Facile solo per chi non ha mai partecipato a un'assemblea condominiale. 
Cento teste, centouno pareri. A essere ottimisti. 

Ho la sensazione che andremo il 4 dicembre a votare su questi punti, pensando a tutt'altro.
Con il rischio che qualcuno faccia un foro nello scafo, pur di crear semplicemente un dispitto al timoniere.

Io?
Io voterò SI. Penso convenga a me, e a noi tutti ciurma che stiamo su 'sta barca.
E a chi navigherà dopo di noi, su questi mari, in primis i nostri figli. 
Credo davvero converrà anche a loro, poter godere di rotte lungo i mari più scorrevoli e meno burocratizzate.
Sono trent'anni, che si si prova...

Il 4 dicembre tra  il fare, il disfare, il limitarsi a criticare senza un'alternativa concreta e percorribile,  preferirò la prima opzione.
Ma te li vedi, capitan Brunett e capitan D'Alem, con capitan Grill e il mozzo Salvin a braccetto, per forza e necessità  tutti assieme stretti stretti, dato che nessuno può scriversela da solo, la riforma costituzionale?
Te li vedi, riuscire a riproporre un'alternativa plausibile e condivisa?
Quando mai?

Rispetto tuttavia l'opinione chi la pensa diversamente, voterà in altro modo o non si recherà alle urne. Credo infatti che quando ci troviamo in disaccordo decisionale con qualcun altro, è semplicemente perché ci manca una fetta di esperienza.
Più spesso, di sofferenza.
La sua.

- viva l'Italia -

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DAL DOTTORE

8/10/2016

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Non v'era in paese chi non lo conoscesse. 
Fino alla metà dei '90 del secolo scorso (cioè una ventina d'anni fa) una e univoca  era l'“auctoritas” in ambito sanitario locale: i medici condotti. 
Che da poco avevano iniziato a essere chiamati “di famiglia”.
 
Si chiamava Piero Giovannucci, era il mio dottore.

Ciò che più mi appassionava, nelle poche volte in cui mi capitava di andarlo a trovare per una visita o un certificato sportivo, era la sala di attesa. 
A sinistra, la porta dell'abitazione, a destra l'ambulatorio. Le barriere architettoniche non erano ancora diventate un aspetto urbanisticamente sensibile allora, per cui nessuno aveva ancora formalmente posto il problema di quei cinque-sei impervi gradini da scalare, per raggiungerlo. 

Superata quindi la prima selezione darwiniana nell'ascesa, su una della decina di seggiole a disposizione in anticamera prendevi posto, attendendo educatamente il tuo turno. 
Nulla di granchè diverso rispetto ad oggi, fatti salvi I distributori numerici tipo banco macelleria al supermercato, le ricette on-line e le prenotazioni telematiche, cose allora del tutto futuribili, impensabili. 
Quando ti sedevi su una di quelle seggiole, fisicamente c'eri e fisicamente ci stavi. Faccia a facccia.
Per conto mio, perlopiù ad ascoltare le conversazioni dei presenti.

“Ciò, Maria, sèto che a me marìo ea settimana pasàda I o gà operà de appendice?”
“Dài, Santina... gàeo vùo tanto màe, ciò?”

“No, Maria, I ghe ga fàto on pàsto de nostàglia!”    ( - “anestesia”, ndr. - )

“E ti, Giovanna, sìto 'ndà aea messa de chel frate de Sant'Angeo che I ga fàto prete, Padre Marco, de San Pòeo Basso?”
“Ah, cara: el xe come un vulcano in erezione, chél toso!”  
( -  in "eruzione”, ndr. - )

Uno dei temi più ricorrenti - e cosa, sennò? - erano tuttavia le diagnosi e le terapie in ambito sanitario. 
Esattamente come oggi nei forum, nei blog, in Fb e nelle chat, le comunicazioni vertevano sul filo delle esperienze personali, nondimeno lungo il canale del “quéo me gà ditto che...”.

Una scenetta tra tutte, mi rimane indelebile nella memoria: quella in cui il volume vocale delle signore astanti - in pratica un gineceo clinico – aveva talmente infastidito il secondo esemplare maschio assieme a me presente in sala, da farlo erompere - purpureo in volto - in un esplosivo quanto apodittico: “Basta, fèmene!”.

Il secondo esemplare maschio presente in sala. 
Da me lo diversificava l'età, la corporatura, e soprattutto quel vocione baritonale che era riuscito nello spazio di una semicroma a spezzare d'incanto il ciclo orgasmico della concitazione isterica femminea.

Caduto così nell'ambiente un silenzio surreale, l'anziano corpulento signore fece allora seguire una lapidaria sentenza, con una frequenza vocale probabilmente inferiore ai 65 Hertz: 
“Co uno no sa gnènte, ghe pare de savére tutto”.

Allibito io e impermalosite di brutto loro, mi pare che lo stesso dottor Giovannucci si sia allora affacciato sulla porta, accompagnando il paziente uscente. 
Immaginando forse che in quella quiete tombale la sequenza delle visite  fosse, per quella mattina, terminata.

“Caspita” mi dicevo io tra me e me, allora studente universitario:  “ecco uno che ha capito tutto”.
Chi non ricorda la fatica di preparare un esame, quei fatidici quattro testi obbligatori da imparare a menadito ogni volta, l'ansia il giorno dell'interrogazione, il ripassare fino all'alba le ultime nozioni?
Il sottoporsi alle forche caudine del professore, alle domande trabocchetto degli assistenti desiderosi solo - nel loro cinismo - di ben figurare?
Per chi ne sa di musica: imparare ad eseguire una sonata di Rossini alla fisarmonica con i bassi sciolti; o quelle dannate ipotetiche del terzo tipo nella grammatica della lingua inglese, con i tempi verbali da saper coniugare nel modo corretto... 
Lo studio - qualunque studio serio - richiede tempo, disciplina, costanza, serietà, verifica sistematica, aggiornamento ininterrotto.  
No doubt, at all.
Spesso, rinuncia a qualche serata con gli amici, sabati e domeniche passati sui libri, a testa bassa.

Eppure - mi dicevo - neppure queste donne devono aver del tutto torto a scambiarsi tante informazioni, alias ciàcoe. Soprattutto, a rassicurarsi vicendevolmente. 
In questo coro non/scientifico ma di evidente mutuo-aiuto.

Anni dopo, mi sono imbattuto nella descrizione di uno dei più celebri “cognitive bias” noti in psicologia cognitiva e che inconsciamente condizionano I nostri giudizi e ragionamenti: l'effetto Dunning-Kruger.

I “bias cognitivi”, a differenza dei comuni errori di ragionamento, sono giudizi e valutazioni sistematicamente erronei, intrinseci al modo stesso in cui funziona la mente umana: ad esempio attenzione e memorizzazione selettiva, euristica della scarsità (se un bene viene dichiarato disponibile in quantità limitata diviene più appetibile), “cherry picking” o tendenza a presentare dati ed esempi esclusivamente in linea con la propria linea di pensiero, effetto alone (uno dei lati più inquietanti del conformismo sociale), teoria della dissonanza cognitiva (siamo ben disposti a sacrificare una verità se possiamo salvaguardare un'apparente coerenza), etc.

L'effetto Dunning-Kruger, in altre parole, nient'altro è che la clamorosa conferma della sentenza emessa in quella lontana mattinata dei metà anni '90 dal corpulento paziente maschio del Giovannucci: 
“Co uno no sa gnènte, ghe pare de savére tutto”.

Se in ordinata mettiamo la stima delle proprie conoscenze e lungo l'asse delle ascisse l'effettiva competenza, assistiamo quindi ad un fenomeno curioso: 

Foto
Nulla di diverso, in fondo, da quanto già Shakespeare in As You Like It sostenne: 
“Il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio”.

E su questa scia Bertrand Russel, immenso logico e matematico: 
“Una delle cose più dolorose del nostro tempo è che coloro che hanno certezze sono stupidi, mentre quelli con immaginazione e comprensione sono pieni di dubbi e indecisioni”.

Eppure – continuo a dirmi anni dopo – neppure le loquaci signore astanti in sala avranno avuto proprio del tutto torto  (ipotetica del terzo tipo).
Cosa me lo fa pensare?
Che andavano a casa contente.

Saranno state le certificate diagnosi mediche dell'USL (allora) 14?
Oppure le terapie farmacologiche prescritte, su ricetta, dal dottore?

No, io credo piuttosto che tornassero (e tornino) a casa contente per aver potuto parlare.
Per aver potuto essere ascoltate. 
Tra di loro.
E dal medico “condotto”.
Che, prima delle analisi di laboratorio, metteva il dialogo, l'attenzione, la richiesta di informazioni sulla famiglia, I figli, il marito... 
Questo è ciò che il buon Piero Giovannucci, e ogni clinico che voglia essere efficace, sa e deve fare.
Questo è uno dei fattori più cruciali nella pratica terapeutica: l'ascolto, il tempo dedicato al paziente, la presa in carico non solo del suo corpo, bensì della sua storia, della sua emotività, delle sue paure.

Che sia tutto qui, il segreto della psicologia femminile?
Me ne guardo bene dall'affermarlo.
Vuto miga che sìa anca mi uno de quei che... “co  no sa gnènte, ghe pare de vèr capìo tutto”?

​- no woman, no cry -
​
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TUTTI CONTRO TUTTI

1/10/2016

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Portavamo ancora le braghe corte. Per me, pantaloni "alla zuava", come li chiamava mia mamma. Che me li ha costretti fino in terza media, con quelle fibbie metalliche esattamente all’altezza delle ginocchia. Quando giocavi in porta, ogni tuffo era un supplizio. Come un cilicio, per la mortificazione della carne.
 
Alcuni pomeriggi, a formare la squadretta non ci si riusciva proprio.
“Pari, o dispari?”
“Pari!”
E via: i più bravi, i primi a venir scelti. 
Gli ultimi - sempre quelli - li vedevi a testa bassa.  A rosicare tristi, in silenzio.
Altri giorni non si trovava proprio verso, per mettersi d’accordo. Sempre qualcuno a lagnarsi, a protestare: “Si, ma come facciamo, senza arbitro?”.
 
Cosi capitava, di tanto in tanto, la partitella anarchica. Tutti contro tutti. Regole quasi inesistenti, salvo il fatto di avere una porta dove insaccare la palla.
E la finestra della Bice, dietro in alto, con quel muro nero nero, color catrame. Più denso del liquido ”antirombo” che i meccanici spalmavano nell’interno cofani delle vecchie utilitarie. A colo su quel muro,  non si sa se ad attutire i colpi delle pallonate siderali, o gli improperi minacciosi della vecchia.
Che ogni seconda volta si affacciava garrula e proterva, lanciando strali a noi "bociàsse" del campetto e maledizioni assortite a quegli umani che ci avevano generati al mondo.
 
Non erano un gran divertimento, le partitelle anarchiche.
Però - dal punto di vista etologico - garantivano probabilmente uno sfogo alternativo al vandalismo, per gli incipienti ormoni che in noi giovani maschi prendono diritti la piega dei galli in combattimento.
Forse quel che ci mancava, in quei pomeriggi, era semplicemente un arbitro. Un adulto,  qualcuno di più "grande" che ci prestasse un paio d'ore del suo tempo. Per noi sarebbe stata la regola, il contenitore, la disciplina.
Ciò che avremmo trovato qualche anno dopo in Valerio, il barbiere del paese. Oramai un fac-simile: noi già troppo cresciutelli, lui ancor tutto imberbe, dal punto di vista tecnico.
 
A volte son proprio gli adulti, che vedi prodursi in giochi di combattimento.
Più spesso in combattimenti, che del gioco non hanno mai avuto manco la sembianza.
Lungo alcune latitudini del globo, neppure dell’umano, la sembianza.
 
Ascoltando le notizie che ogni mattina escono dalla radio raccontando di quel mattatoio che è la terra siriana, ogni “perché?” rimane senza una plausibile risposta.
 A livello politico, è sempre più intricato distinguere chi stia guerreggiando contro cosa. Decine di soggetti diversi, con differenti e variabili alleanze internazionali, che si combattono alla cieca. A volte si alleano temporaneamente, per poi combattersi di nuovo. Che si alleano solo in certe zone e si combattono in altre.
Il regime di Assad combatte per restare al potere, sostenuto dalla Russia, dall’Iran e da Hezbollah. I ribelli combattono per rovesciare Assad, e sono sostenuti dalla Turchia e in piccola parte dagli Stati Uniti. I curdi sono sostenuti dagli Stati Uniti e combattono soprattutto lo Stato Islamico per conquistare i territori che rivendicano da secoli. Le forze che fanno riferimento ad al Qaida combattono soprattutto Assad e lo Stato Islamico, a volte anche i ribelli.
“Ribelli” che hanno poi mille targhe diverse: dal laicismo e la richiesta di democrazia, alle idee della Fratellanza Musulmana, al salafismo, fino alle posizioni di al-Qaeda e alla vicinanza con l’ideologia jihadista.
 
Figli di un dio minore, anche le pagine dei Social contano i propri miliziani “da smartphone”.
Manipoli di indignati opinionisti in ordine sparso, ma facilmente convocabili “a bomba” addosso al politico di turno. Ovviamente il bersaglio è sempre e solo quello della tifoseria opposta - per loro rappresenta un vero e proprio incubo - a rigurgitare boli gastrici di accuse, lamentele e recriminazioni.  E giù sproloqui, frammenti attaccaticci ad hoc di qualche giornaletto digitale (un tempo si chiamavano "scandalistici"), bufale più o meno consapevoli, in un rosario di noiosissime lagne “contro”; sempre le medesime.
Peraltro dimenticando ingenuamente il fatto che ogni attacco, in psicologia come in fisica per il principio di Archimede, rafforza l’avversario, piuttosto che indebolirlo.
Freud la chiamerebbe proiezione catartica della propria nevrosi. Il nevrotico vive ossessionato dall'altro, non dimentichiamolo. Non trova consistenza in se stesso, in assenza di un nemico.
 
Erich Fromm, in un suo celebre libro, l’ha chiamata “Anatomia della distruttività umana”.
Un termine probabilmente inappropriato, per quelle sia pur selvagge pedate negli stinchi di quei ragazzini in braghe corte che eravamo.
Fors’anche per le maledizioni escatologiche della Bice, la signora in nero che compariva alla finestra.
 
Il nostro era un pallone di cuoio marrone che era un rito, ogni volta, metterci il grasso di foca. Spalmato ben a fondo, dentro le cuciture di filo grosso. Ciò lo rendeva più scuro, fino a sembrar di cioccolato. E quando ti sbucciavi le ginocchia, o grattavi il naso cadendo nella sabbia sempre più abbondante della poca erba del campetto, un cerotto e un disinfettante lo trovavi sempre, in patronato, là davanti.
Alla faccia della Bice.
 
Ai bambini martoriati di Aleppo, riportano le fonti, oramai rifiutano invece anche il ricovero in ospedale. Quei pochi ancora rimasti; gli altri rasi al suolo dalla distruttività cieca degli ordigni.
Senz’acqua, né più strumenti sanitari.
 
Non riesco a dormire, pensando a queste stragi di innocenti.
Mi  tiene sveglio il silenzio assordante dei “grandi” della terra.
Nemmeno i convogli degli aiuti umanitari, lasciano passare.
Chiamati a fare da arbitro, agiscono nei fatti come il peggior sadico pederasta.
 
 - all things must pass -

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    Noneto Circin

    La parola, il suono, l’immagine, sono l’oggetto dei miei interessi nel tempo libero. 
    A volte, tentano di diventare voce. 
    Nella scrittura, nella musica, nella fotografia. 
    Per passione, per divertimento.
    Insomma, per una delle cose più serie nella vita: il gioco. 
    Tramite i tasti di un pianoforte, una penna che scorre veloce, le lenti di un vecchio obiettivo. 

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