posto spostando sguardo
SITOMATO
  • BLOG
  • Fotogrammatiche
    • SCHADENFREUDE
    • SUN DAY
    • LIFE IS SNOW
    • WHEN WILL THEY EVER LEARN?
    • I CIELI D'IRLANDA
    • MARI e MONTI
    • CàVARSE FòRA
    • DEEP IN MY EARTH
    • RAIxE
    • Pi GRECO
    • IL CENTRO DEL MONDO
    • DRIO I CANAL
    • IL PRIMO AMORE
    • ACQUA SANTA
    • IL PICCOLO FARISEO
    • PICCIRIDDU
    • L'ABITO NON FA IL PROFUGO
    • PAESI BASSI, CORTESIA IN QUOTA
    • BAYERN, MÜNCHEN. WILLKOMMEN!
    • WIR SIND BERLINER
    • CHEOPE & DINTORNI
    • ALONSO, TE CONSO.
  • Storie
    • TU COME STAI?
    • IL DOLORE DEGLI ALTRI
    • ALTAVIA NUMERO UNO
    • FINCHE’ MORTE CI SEPARI
    • TODO PASA
    • IL CIELO SOTTOSOPRA
    • IL CAPODANNO DEL CRICETO JOE
    • IL FILTRO DELL'OLIO
    • IL RIPOSINO DELL'IMPERATORE
    • ROLLIN' ON THE RIVER
    • CAPITANO MIO CAPITANO
    • JACK LAROCCIA
    • IL MESTIERE PIU' GRANDE
    • HONKY TONK, MY FRIENDS
    • BAO, BAO, PINO.
    • ERBA DI CASA MIA
    • TUTTI INNOCENTI, O QUASI
    • I RAGAZZI CON LA BICICLETTA
    • I HAVE A DREAM - L'AUTOEFFICACIA DEL GRAFOLOGO
    • E' TUTTA UNA QUESTIONE DI EQUILIBRIO
    • NON TIRATE LE MARCE
    • CAMPIONI DEL MONDO
    • IL BUONO, IL BRUTTO e IL CATTIVISTA
  • Persone
    • Volti
    • Giorgio
    • Flavio
    • Mariangela
  • Shots
  • RHYMES

ESENTE FATTURA

30/4/2020

0 Comments

 
Foto
Qualche anno fa ho ricevuto in studio una signora, mamma di un ragazzo di 16 anni. Un caso come tanti, un adolescente comune, scapestrato al punto giusto.
Vabbè, forse un po’ sopra la media, lo ammetto.
E’ che quando scattano i processi di identificazione, cioè nel momento in cui in quel personaggio rivedi te stesso proprio com’eri a quell’età, le birbantate e i piccoli grandi sconquassi che hai prodotto per strada e in famiglia, l’attenzione si fa volentieri selettiva: scatta un’automatica simpatia.
 
Qualche incidente, motorini sfasciati, ossa rotte, gambe ingessate e giorni d’ospedale. Genitori che non sanno più che pesci prendere. Convocazioni di zii e autorevoli personaggi - dal medico di famiglia al parroco del paese - nel disperato tentativo si avveri un taumaturgico cambiamento. Più che altro, una vera e propria miracolosa conversione.
Oh, tieni conto che lo stesso San Paolo, già Saulo di Tarso, ‘sta cosa della conversione gli era capitata proprio capottandosi per strada (questa almeno era l’argomentazione che personalmente infilavo nelle mie arringhe difensive).
 
Aggiungiamo, nel caso di Loris - chiamiamolo così - l’essersi “impiantato” con la scuola. Ah, in quanti corridoi scolastici risuonerà per i secoli eterni la mitica frase “è intelligente, ma non si impegna” recitata come le giaculatorie, nei ricevimenti genitori? In tutti, praticamente.
 
La questione che aveva spinto questa mamma fino allo studio dello psicologo era l’ultimo anello di una catena che l’aveva vista peregrinare da quello del medico di famiglia, al pediatra, al parroco (immancabile, a quell’epoca), fino alla cartomante. Era qui, che la mamma di Loris aveva ricevuto la fatale diagnosi: “Signora, non vorrei dirglielo, ma le carte parlano chiaro: suo figlio entro l’anno morirà”.
 
Mettetevi per un attimo seduti al posto di questa donna. Sentite i brividi dietro e lungo la schiena. La secchezza delle fauci, inaridite dal blocco della salivazione. Prova a fermare le palpitazioni del cuore, questa tachicardia parossistica che si è fatta incontrollabile, se ci riesci. 
A quel punto, quando il panico si è impossessato totalmente di ogni funzione razionale, di qualsiasi capacità di discernimento, la consumata fattucchiera cala l’asso (e cosa, sennò?): “Io, però, cara signora, posso provare a far qualcosa. A salvarlo, suo figlio”.
Ovviamente non a titolo di volontariato, va detto, bensì a un costo che in quegli anni - si pagava ancora in lire - prevedeva qualche sudato milioncino.
 
A questo punto, il cerchio è perfettamente chiuso. La preda è nella rete. Quale genitore, disperato e sconfitto in ogni altro tentativo di cura, speso qualsiasi sforzo educativo e di recupero, non pagherebbe l’impossibile pur di veder salva la vita del proprio unico figlio?
Pensaci bene: comunque vada, sarà un successo.
Per la cartomante, beninteso.
 
Il ragazzo muore?
Purtroppo, capita, anche a un certo numero di ragazzi giovani, ogni anno.
“Lo vedi, che aveva ragione? Mica aveva detto che era certa, la salvezza; ha detto che poteva provare, a salvarlo”.
 
Il ragazzo non muore?
E a chi mai attribuiremo il merito, dopo tutti quei soldi spesi, versati per le “cure” della fattucchiera?
 
Una strategia comunicativa che contiene sia la tecnica del “doppio legame” che la “profezia che si autoadempie”, per dirla nel linguaggio psicologico. Tu chiamalo più semplicemente sciacallaggio, e fai bene.
Quando ti arriva una persona in stato di panico, o addirittura sei tu che glielo induci disseminando il campo di paure, ipotesi di pericoli, invasori e minacce sparse, l’hai praticamente in pugno. E’ già dipendente, nei tuoi confronti. Certo, l’hai capito: nel mondo della politica, qualche squallido praticante del genere ce l’abbiamo tutti i giorni sotto lo sguardo. Purtroppo.
 
Ah: te l’assicuro: Loris, che adesso ha più di quarant’anni, è vivo e vegeto. E’ scampato sia alla morte, che alle grinfie della cartomante. Oggi ha pure due figli, in età di scuola primaria. (Lo so che stai già sogghignando al pensiero: aspetta che abbiano sedici anni, e poi mi dirai…).
 
Vabbè, saltiamo a piè pari oltre il tuo moto di cinismo da contrappasso, e lascia che provi a spiegarti cosa ha prodotto la “svolta”, in questa storia.
 
Da un lato la crescita, la maturazione della personalità del ragazzo. Le neuroscienze ci hanno fatto scoprire come la corteccia prefrontale, l’area del cervello deputata alla cosiddetta “regolazione emotiva” tra cui il controllo dell’impulsività, si completa mediamente attorno ai 23 anni, nei maschi.
 
Per Loris è stato molto produttivo anche imparare a “dare un nome” alle proprie emozioni, indicatori infallibili dei bisogni. A diventarne consapevole. Un lavoro che Peter Fonagy, psicanalista e ricercatore ungherese, ha definito “mentalizzazione”.
 
Tutto ciò sarebbe stato scarsamente utile, tuttavia, se anche la mamma non avesse compiuto un passo indietro. Non si fosse cioè resa conto che questo figlio - unico - lo stava soffocando con troppe aspettative. Era sempre andata così, sin da piccolo. Su Loris aveva riversato tutto il desiderio di riscatto da un’infanzia (la propria) povera di opportunità. Povera di libertà.
Loris non era più, dall’età delle scuole medie oramai, il bambino tutto-bravo-tutto-bello-gioia-della-mamma. Stava rivendicando, sia pure in modo estremo attraverso anche le condotte a rischio, il suo doveroso diritto alle dimissioni dall’infanzia. La sua sana voglia di autonomia, indipendenza, individuazione.
 
Un lavoro costoso?
Si, certo. Ma non per il portafoglio.
Per l’attaccamento morboso e compensativo, questo sì.
 
Vuoi che ti dica quando questa mamma l’ha davvero compreso?
In seguito all’ennesimo incidente in moto, nel momento in cui è stata davvero a un passo dal “perderlo”, questo figlio.
 
E’ lì, che, finalmente, l’ha “lasciato andare”.
 
Lo vedi, che talvolta i “capottamenti” portano davvero alle conversioni?
 
 
                 - salagadula megicabula bibbidi bobbidi bu -


0 Comments

April 24th, 2020

24/4/2020

0 Comments

 
Foto
Brutta storia, quelle delle botte in testa.
Le lesioni cerebrali, poi.
 
Eppure – piaccia o no – è “grazie” a questi handicap e traumi, se siamo riusciti a localizzare alcune funzioni della nostra mente. I modi cioè in cui impariamo, ricordiamo, proviamo determinate emozioni.
 
Siamo agli inizi del Novecento. Edouard Claparede ha una paziente che ha perso ogni capacità di creare nuovi ricordi. Chissà, forse in seguito a una scombinata caduta durante qualche passo di Charleston (quanto mi prende questo ballo ritmato, erede del ragtime: one-two-three… five-six-seven-eight). Bah, la storia non lo dice, se sia stata questa proprio, la causa.
 
Anyway, ogni volta in cui il medico entrava nella sua stanza, anche se l’aveva lasciata pochi minuti prima, doveva presentarsi di nuovo perché la signora non ricordava di averlo mai visto. Sconcertante, direte. Ebbene, si. Sconcertante. Guarda quanto poco basta per trasformare una persona, distruggere un’identità. Un’emorragia cerebrale, un incidente stradale, un dannato virus, o più semplicemente l’avanzare impietoso dell’età.
 
Edouard era uno scienziato curioso, prima che un clinico, tanto da ideare questo test: un giorno tese la mano alla paziente, nascondendo però una puntina nel palmo della propria mano. Ovviamente la signora, dopo la stretta, ritrasse subito la sua, di mano, a causa del dolore. Quando Claparede entrò nella stanza la volta successiva, la degente continuò a non riconoscerlo, ma rifiutò di stringergli la mano, anche se non sapeva spiegare il perché.
 
Caspita, una scoperta fondamentale. Il nostro cervello è fatto “a strati”, pensieri – emozioni – ricordi e riflessi seguono quindi circuiti differenti, sebbene normalmente risultino integrati.
Oggi sappiamo che il deficit di quella signora riguardava un danno ippocampale. L’ippocampo è una piccola struttura negli strati più interni della massa cerebrale, simile nella forma a un cavalluccio marino; da qui il nome. Questa della paziente di Claparede è stata forse la prima dimostrazione del fenomeno della memoria emotiva implicita. Che significa, “implicita”? Che è registrata nelle sensazioni, non nelle parole, nei concetti verbali.
 
La questione ancor più notevole è il fatto che a volte non è un incidente fisico a provocare fenomeni di questo tipo, bensì un trauma esistenziale. Per esempio nel Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD): il caso più noto degli effetti patologici di memorie registrate in modo implicito. Cioè immagini, ricordi, eventi solitamente non richiamabili alla coscienza, tuttavia in grado di attivarsi inconsciamente in seguito a un trauma, uno shock, come una cascata improvvisa e dirompente, e di condizionare in modo profondo la percezione, il comportamento e l’affettività di una persona.
 
Mi dirai che questo sconvolgimento nella vita di tutti causato dall’epidemia SARS-CoV-2, la quantità di decessi, la quarantena forzata, così come un terremoto, un attentato, eventi traumatici lo sono. Cui segue un distress emotivo, psicobiologico. Si, è così.
 
Come lo è stato (e con che proporzioni: molto maggiori) il secondo conflitto mondiale, causato dalla delirante follia nazifascista.  Ne ricordiamo giusto oggi, in questi giorni, la Liberazione.
 
Come ne usciamo, come si guarisce, da questi eventi traumatici?
La prima risposta che la nostra mente fornisce, in automatico, si chiama “dissociazione”. E’ un riflesso primordiale, una sorta di “salvavita” che scatta da sè, come quando va via la corrente di casa perché un filo spellato ha “fatto contatto”, o troppi elettrodomestici li hai attivati tutti assieme. Il circuito “non ce la fa”. Si spegne. Salta l’interruttore. Si blocca tutto.
Non è questa, tuttavia, la strada giusta, non è questa la via della guarigione.
 
Un autore moderno, Daniel Hill, li chiama “Stati del Sé”. Avviene che il sistema della memoria, della percezione, dell’attenzione, della capacità di riflessione e giudizio, in seguito ai traumi emotivi vadano in “tilt”. Come la paziente di Claparede, che ritraeva la mano per paura del dolore, senza saperne più il motivo.
 
Mac Lean, un altro neuroscienziato, ci ha mostrato all’inizio dei ’60 del secolo scorso - giusto mentre i Beatles componevano “Love Me Do” - come nella scatola cranica noi umani ci portiamo a spasso ogni giorno non uno, ma tre cervelli. Il primo è quello “rettile” (midollo spinale, tronco encefalico, talamo, nuclei ipotalamici e ipofisari) deputato ai riflessi e agli istinti primari (fame, sete, sonno, istinto sessuale); il secondo cervello è quello “mammifero” (sistema limbico, in sostanza) un “computer” nel quale girano principalmente i “software” delle emozioni, come rabbia, paura, comportamento di autoconservazione; infine la neocorteccia o “terzo cervello” che si occupa dei processi superiori come la riflessione, il ragionamento logico, il pensiero astratto del sapere, le invenzioni, la fantasia.
 
Li leggi, i post su Facebook di gente oramai esasperata da problemi economici, angustie familiari (non se ne può più di stare reclusi in casa che si finisce a litigare per una mosca), paure per come sarà il futuro? Sono sfoghi, grida di angoscia che si fa protesta, spesso indirizzata a caos, verso tutto e verso tutti. Indistintamente. Senza discernimento. Capacità critica, di riflessione e giudizio.
E’ il distress. La reazione al trauma.
 
Come se ne esce?
Beh, la maniera buona esiste. Passa attraverso il recupero del senso di sicurezza, di integrità.
A livello terapeutico, si tratta di far dialogare l’emisfero destro, quello delle emozioni, con il sinistro, sede dei processi razionali e astrattivi. Si tratta di seguire fino in fondo il sentiero delle emozioni, che sono gli indicatori infallibili dei bisogni.
Un bisogno soddisfatto, dà gioia.
Un bisogno frustrato, rabbia e irritazione.
Un bisogno perduto, irrimediabilmente: tristezza, depressione.
Il bisogno primordiale, di sopravvivenza: te lo segnala la paura.
E di bisogni ne abbiamo, tutti, a vari livelli: bisogni fisici, emotivi, intellettivi… spirituali, pur non essendone sempre consapevoli.
 
Che significa recuperare un senso di sicurezza e di integrità nella vita concreta, quella della quotidianità?
Vuol dire guadagnare una prospettiva nella quale le capacità di gestire sé stessi (regolazione emotiva) si sposa con una migliorata resilienza. Vale a dire che uno è disposto a far fatica, a superare i momenti critici, se davanti ha una prospettiva di risultato, cioè se ci vede una “via d’uscita”.
Vuol dire far conto sempre più su sé stessi, piuttosto che alimentare aspettative sui comportamenti altrui. Per poi rimanerne delusi, frustrati, quando (spesso) non si realizzano.
 
Vuol dire coltivare “legami sicuri”: quelli che ti aiutano anche a rinunciare a un tornaconto immediato, se serve, in nome di un traguardo futuro. Pensa a quanto ci sta chiedendo il pianeta Terra, ad esempio. Lo stiamo soffocando - e noi con esso - inseguendo l’idolatria del profitto a tutti i costi. Degli egoismi nazionalistici. Del “vengo prima io!”.
 
Vuol dire gettare il cuore oltre l’ostacolo. Al punto da non considerare nemmeno la propria vita fisica il valore supremo, quando è in gioco quella dei tuoi figli, di una comunità, di una società.
 
Come settantacinque anni fa. Giusti-giusti. Era un venticinque di aprile.
E il “trauma” da cui i nostri nonni e genitori uscivano, era ben peggio del Coronavirus.
 
O Bella, ciao.
Che Liberazione!
 

           - questo amore è una camera a gas -

0 Comments

E SE PER CASO?

16/4/2020

0 Comments

 
Foto
La domanda, adesso, è solo una: quando finirà?
Lo stato di emergenza da Coronavirus, voglio dire.
Quando ne verremo fuori, da questa situazione in cui ci siamo improvvisamente scoperti così vulnerabili, tutti-allo-stesso-modo?
 
Qualcuno ce lo sta ricordando, che l’uscita non sarà così rapida.
Prendo pari-pari da un’analisi di Antonino Michienzi, che leggo in rete e trovo molto chiara, efficace. Messo così, sinteticamente per punti, il concetto risulta chiaro:
 
1. se #stiamoacasa il virus non muore. Non basta. Stare a casa e azzerare i contatti sociali serviva a contenere l’epidemia, non a spegnerla. Molti hanno riposto una fiducia fideistica in questa misura, invocando uno stato di polizia, interpretando la chiusura quasi come un sacrificio attraverso cui redimersi e quanto più grande la sofferenza tanto maggiore l’efficacia e così via. Purtroppo, non è così;

2. possiamo spegnere tutti i casi in Italia ma finché ce ne saranno altri in giro per il mondo, il virus SARS-CoV-2 non ce lo saremo levato dai piedi. Il mondo in cui viviamo è uno solo: siamo tutti nello stesso acquario. L’idea di rimanere chiusi dal resto del mondo è teoricamente possibile. Ma l’idea di rinunciare a qualunque tipo di viaggio all’estero (per lavoro, mica solo per turismo) o viceversa di bloccare ogni tipo di ingresso – a tempo indeterminato – è difficilmente praticabile. Il fatto poi che in moltissimi casi la malattia scatenata da questo virus presenti pochissimi sintomi, significa che tutti noi potremmo esserne affetti senza accorgercene. E quanto più ci allontaneremo dall’emergenza tanto più tenderemo a dare poca importanza a sintomi lievi. Quindi, anche quando il Ministero della Salute ci dicesse che non ci sono più casi in Italia, è quasi certo che il virus sta ancora passeggiando con noi e tra di noi e che da un momento all’altro emergerà in qualche persona che presenterà sintomi gravi;

3. grosso modo - prosegue Michienzi - ogni epidemia è come un incendio: finché ci sono alberi da bruciare il fuoco si propaga passando da un albero all’altro. Noi siamo gli alberi che il fuoco (il virus) usa per propagarsi. L’unico modo per impedire al fuoco di propagarsi è sottrargli gli alberi o renderli ignifughi. A sottrarli ci abbiamo provato con lo #stiamoacasa. Per renderli ignifughi (cioè immuni all’infezione) ci sono due opzioni: il vaccino o l’immunità sviluppata come conseguenza della malattia. Ora, il vaccino non lo abbiamo (e non siamo ancora in grado di prevedere in che tempi diverrà disponibile) mentre sull’immunità naturale non sappiamo se si sviluppa e quanto duri (1 mese? 1 anno? Una vita?). Se anche si sviluppasse e fosse duratura, però, il fatto che da un mese siamo chiusi in casa ha fatto sì che una porzione enorme della popolazione non sia entrata in contatto con il virus e che quindi sia ancora suscettibile all’infezione. Insomma, ci sono milioni di alberi secchi pronti a prendere fuoco non appena entrassero in contatto con una scintilla.

Queste sono grosso modo le ragioni per cui #stiamoacasa è necessario, ma non sufficiente a superare l’emergenza.
 
E allora?
Come risolvere l’equazione “paura del contagio/necessità di ricominciare a vivere”?
La nostra mente è capace di ragionamenti piuttosto contorti, quando andiamo in ansia.
Cerchiamo soluzioni complicate quando basterebbero atteggiamenti più semplici, elementari.
Talvolta, costruiamo inutilmente delle vere e proprie fobie.
 
Ti racconto la storia di Mario. Mario Littlewood.
La sua famiglia vive in America, oramai più di due generazioni. Antiche radici di pescatori nati a Sottomarina, tant’è che l’originario “Boscolo” si vide trasformato, appunto, nel più consono “Littlewood”, una volta integratisi a tutti gli effetti, e con successo, nel Nuovo Mondo. E nella sua economia.
 
Mario gestiva una fiorente attività di commercio all’ingrosso del pescato, nella mitica San Francisco Bay.
Ma la sua passione era un’altra. Lo era sempre stata, tanto da considerarla una vocazione, quasi.
Mario era appassionato d’arte. Specie del Rinascimento Italiano. Firenze, gli Uffizi, il suo sogno proibito.
Perché proibito, mi dirai? C’era un problema. Un grosso, problema. Ma grosso davvero.
 
Mario “Boscolo” Littlewood soffriva di attacchi di panico. Un disturbo di grado invalidante, con dei veri e tratti fobici nei confronti del volo in aereo. Vabbè, che c’entra con l’arte, mi stai obiettando.
Pischello che non sei altro, secondo te un miliardario italo-americano, self-made man, gli Uffizi si accontenta di guardarli su Youtube? Credi non desideri sopra ogni cosa riuscire a infilarsi una buona volta in quel dannatissimo aereoplano, vincere la paura di morire, di precipitare, scovando il coraggio per il viaggio di ritorno verso la terra dei suoi avi, e correre dritto al corridoio vasariano, a Palazzo Vecchio, ai Boboli?
 
Era una vera e propria nevrosi fobica, quella di Mario. Sviluppatasi e ingigantitasi dopo gli attentati dell’undici settembre 2001, l’attentato alle torri gemelle con quei due jet che, uno dopo l’altro, si erano infilati dentro i grattacieli, provocando l’ecatombe.
Più precisamente, l’ossessione che lo inchiodava era che nell’aereo qualcuno potesse piazzarci una bomba. Da far esplodere in volo.
 
Te l’ho detto, era anche uno che coi soldi, l’economia, i numeri ci sapeva fare, Mario. I calcoli, li maneggiava molto bene. Perciò si mise a telefonare, una ad una, a tutte le compagnie aeree degli Stati Uniti che gestivano i voli verso l’Italia. E poi quelle europee, e poi quelle arabe, e di tutto il mondo. Era diventato un vero e proprio incubo, per le centraliniste. Voleva conoscere, con precisione chirurgica, il numero di incidenti subiti da ciascuna compagnia aerea a causa di un’esplosione avvenuta a bordo.
Perlopiù, lo mandavano a quel paese.
 
Finché ebbe la fortuna di incontrare un agente di viaggio – come lui – appassionato di calcolo delle probabilità. Un agente di viaggio – come lui – probabilmente affetto da qualche forma di disturbo ossessivo compulsivo. L’operatore stavolta gli rispose prontamente: “Una probabilità su centomila”.
Mario ci pensò su un attimo, e poi chiese: “Scusi, e due, di bombe? Quante probabilità ho di trovare due bombe contemporaneamente, sullo stesso aereo?”.
L’agente, per nulla intimorito, gli rispose: “Mi lasci mezz’ora di tempo che devo impostare un calcolo esponenziale. Mi richiami tra mezz’ora esatta”.
Mario richiama, dopo trenta minuti spaccati.
“Ecco il risultato: si tratta di una probabilità su 100.000.000. Una probabilità su cento milioni, che lei possa trovare due bombe sullo stesso aereo”.
“Perfetto, prenoto subito il volo per Venezia, aeroporto Marco Polo!” fa Mario, entusiasta.
 
Te la faccio breve: sai com’è finita?
Mario Boscolo venne arrestato all’imbarco di San Francisco, al check-in della TWA. Aveva una bomba in borsa.
Una bomba? L’oggetto che così tanto temeva?
Si, una bomba. Sosteneva, con la massima convinzione, che così agiva per il bene di tutti.
Perché? Semplice, dal suo punto di vista: riduceva di gran lunga l’ipotesi di trovare un'altra bomba sull’aereo.
 
E’ un aneddoto che Giorgio Nardone, specialista e maestro in Terapia Strategica, ha inserito in uno dei suoi libri. Illustra bene come molto spesso noi costruiamo la realtà sulla base della nostra immaginazione, più che sui dati di fatto, specie quando l’impresario si chiama: paura.
 
Mi stai dicendo che anche quando avremo disponibile (speriamo presto, prima possibile) un vaccino, ci sarà qualcuno che si sottrarrà all’obbligo, “per paura” dei possibili effetti collaterali?
 
Come darti torto. Avviene già oggi, nei confronti di epidemie ancor più pericolose, come il morbillo, non lo vedi? E’ il ragionamento di Mario “Boscolo” Littlewood: piuttosto di correre un possibile rischio, seppur ultra-remoto, mi assicuro una certezza. Che poi sia una certezza “di Pirro”, cioè legata al controllo, più che al risultato, questo è ciò che la mente va a produrre, quando la nebbia dell’ansia sale e oscura gli irti colli della ragionevolezza.
 
In conclusione, ciò che voglio dirti è questo: la fiducia si basa sul rischio. E’ inevitabile: la vita comporta infinite tonalità di colore, e transizioni d’intensità. La vita non è solo bianco/nero. O al massimo sfumature di grigio. Il controllo su ogni cosa ci è umanamente interdetto: si tratta di mera illusione. Il risultato, quando non accettiamo questa inesorabile legge del vivere, sono le storie alla Mario Boscolo, o le fobie paranoidi alla “no vax”.
 
E l’altra è questa: a volte una paura viene sconfitta in un solo modo, paradossale: da un’altra paura, basta sia più grossa.
E’ probabile arriveremo a condizioni socio-economiche, per una notevole percentuale della popolazione, simili ai periodi post-bellici. Dove i bisogni primari (cibo, vestiti, abitazione, reddito) si imporranno su tutto il resto. Hai visto la corsa “all’arme” (l’impennata nella vendita di pistole e fucili) in una nazione “disperata” come gli USA? Disperata perché manco il servizio sanitario nazionale, per il quale tanto si era battuto e speso l’ex presidente Barack Obama, viene assicurato? Si assiste al ritorno allo stato selvaggio, primordiale. In situazione di minaccia alla sopravvivenza, la regola che si impone è “mors tua, vita mea”.
 
Quindi: agli scienziati, fornire soluzioni cliniche.
 
Ai governanti, indicazioni chiare e coraggiose.
Oh: basterebbe anche solo non ci sciacallassero ancora, sul redditizio (per loro, a livello elettorale) tema della paura. Adesso che gli immigrati sono retrocessi inesorabilmente in secondo piano, anzi sono quelli che ci aiutano e soccorrono in modo così prezioso (vedi Inghilterra post-Brexit, e non solo): medici, infermieri, operatori, corrieri, assistenti, operai…
 
Ai genitori e agli educatori, la capacità di “prendersi cura”. Che vuol dire informare correttamente, e sostenere, e rassicurare, e accompagnare, e portare – tanta – pazienza, non di rado. Considerando che anche i genitori e gli educatori sono in primis degli esseri umani. Fatti anch’essi (anche noi, cioè) di emozioni, sentimenti, desideri e paure. Vulnerabili, quindi. In condizioni estreme, “Più che 'l dolor, poté 'l digiuno”: te la ricordi, quella?
Coraggio, quindi, e avanti tutta. Bomba o non bomba, come cantavano due giovanissimi Antonello Venditti e Francesco De Gregori, sul finire degli anni ’70.
 

       - ma il coccodrillo, come fa? –

0 Comments
    Immagine

    Noneto Circin

    La parola, il suono, l’immagine, sono l’oggetto dei miei interessi nel tempo libero. 
    A volte, tentano di diventare voce. 
    Nella scrittura, nella musica, nella fotografia. 
    Per passione, per divertimento.
    Insomma, per una delle cose più serie nella vita: il gioco. 
    Tramite i tasti di un pianoforte, una penna che scorre veloce, le lenti di un vecchio obiettivo. 

    Archives

    Giugno 2024
    Novembre 2023
    Dicembre 2022
    Agosto 2022
    Luglio 2022
    Febbraio 2022
    Gennaio 2021
    Dicembre 2020
    Novembre 2020
    Ottobre 2020
    Settembre 2020
    Agosto 2020
    Maggio 2020
    Aprile 2020
    Marzo 2020
    Dicembre 2019
    Ottobre 2019
    Agosto 2019
    Luglio 2019
    Giugno 2019
    Maggio 2019
    Marzo 2019
    Dicembre 2018
    Settembre 2018
    Luglio 2018
    Giugno 2018
    Maggio 2018
    Febbraio 2018
    Gennaio 2018
    Dicembre 2017
    Ottobre 2017
    Giugno 2017
    Marzo 2017
    Febbraio 2017
    Gennaio 2017
    Dicembre 2016
    Ottobre 2016
    Agosto 2016
    Giugno 2016
    Aprile 2016
    Marzo 2016
    Gennaio 2016
    Dicembre 2015
    Ottobre 2015
    Agosto 2015
    Luglio 2015
    Giugno 2015
    Marzo 2015
    Febbraio 2015
    Gennaio 2015
    Settembre 2014
    Luglio 2014
    Aprile 2014
    Ottobre 2013
    Settembre 2013

    Categories

    Tutti

    Feed RSS

© copyright dei fotogrammi protetto nei dati Exif 
[email protected]